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26 marzo 2012

Primavera araba a stelle e strisce

Stavolta ci sarebbero le prove. Documenti ufficiali, raccolti nel libro “Rivoluzioni S.p.A.” del giornalista Alfredo Macchi (in uscita mercoledì per Alpine Studio Editore e in anteprima su Dagospia), dimostrerebbero per la prima volta come, dietro alle rivolte che hanno caratterizzato la cosiddetta “Primavera Araba”, ci sia lo zampino degli Stati Uniti, interessati a rovesciare i regimi ostili al libero mercato per imporre la propria influenza economica e mantenere il controllo su una zona ricca di risorse energetiche.

Un ruolo fondamentale sarebbe stato giocato dall’Alliance of Youth Movements, organizzazione creata nel 2008, circa due anni prima della vera e propria esplosione della Primavera Araba, dal Dipartimento di Stato di Washington e sponsorizzata dalle maggiori aziende americane.

A quella che da lì a pochi mesi sarebbe diventata la “Movements.org”, partecipano diversi gruppi di giovani attivisti provenienti da tutto il mondo (fra gli altri: Colombia, ex Birmania, Venezuela), compresi quelli del “Movimento 6 Aprile“, protagonista della rivolta in Egitto. Movements.org, che si prefigge di “aiutare gli attivisti per ottenere un più rilevante impatto sulla scena mondiale”, tramite il suo sito internet offre suggerimenti su come aggirare la censura informatica dei regimi, organizza incontri con esperti di software e corsi per usare al meglio i social network. Apparentemente, tutto questo in nome della democrazia e della libertà di pensiero.

Nella pratica, gli americani hanno capito quale potente strumento possa essere la comunicazione 2.0, e quindi in primis i social network come Twitter, Facebook e YouTube. Strumenti in grado di mobilitare i giovani e, se necessario, di rovesciare un regime. Proprio quello che serviva agli Stati Uniti nel caso della Tunisia, dell’Egitto, della Libia, dello Yemen, della Siria. Come scrive Macchi, sulla base delle analisi dei centri di ricerca strategica della Casa Bianca, “sacrificare vecchi amici come Ben Alì, Mubarak, Saleh e tradizionali nemici, come Gheddafi e Assad, in nome del libero mercato, è una scelta obbligata per Washington.

Un cambio di rotta, per gli Stati Uniti, nei confronti dei loro tradizionali alleati, non privo di rischi, ma che doveva essere affrontato prima che lo facessero frange estremiste più ostili”.

Nelle rivolte nei vari paesi, diversi attivisti dell’opposizione sarebbero stati addestrati negli Stati Uniti e in una scuola di Belgrado in particolare alla disobbedienza civile e alle tattiche di azione non violenta, molto simili alle tecniche di guerriglia non armata studiate dalla Cia.

Nei giorni delle proteste vennero diffusi, da Anonymous e da altre ignote fonti, alcuni manuali che spiegavano nel dettaglio ai manifestanti come organizzarsi, cosa indossare, cosa scrivere sui muri, quali bandiere portare. Parallelamente alcuni sceicchi arabi hanno finanziato movimenti e loro uomini tra gli insorti. Nei più difficili scenari sarebbero stati inviati sul posto alcuni esperti combattenti per affiancare i ribelli. Macchi racconta di personaggi che hanno combattuto con i ribelli in Libia ricomparsi dopo alcuni mesi in Siria.

Gli Stati Uniti starebbero in pratica sostenendo i moti di rivolta in alcuni paesi del Medio Oriente per evitare che l’area d’influenza cada nelle mani sbagliate. Una partita tra le grandi Potenze per le risorse strategiche che si gioca sulla testa della popolazione civile che, oppressa, combatte per la propria libertà, mentre in gioco c’è soprattutto la competizione tra Stati Uniti, Russia e Cina.

Americani che, pur di raggiungere il loro scopo, si stanno esponendo al rischio di appoggiare movimenti come quello dei Fratelli Musulmani, che hanno comunque importanti (e ingombranti) radici integraliste e che non hanno mai nascosto la loro aspirazione al “trionfo dell’egemonia islamica nel mondo”. Lo stesso rischio che si assunsero nell’armare Osama Bin Laden.

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