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8 Marzo 2012

Un'Italia a due velocità: la follia del potere, la resistenza No Tav
di Andrea Degl'Innocenti

Esistono in Italia due velocità. C'è la velocità del governo e la velocità dei No Tav. La prima è la velocità di un potere sempre più internazionale che si distacca ad accelerazione crescente dal territorio e necessita di collegamenti europei per coprire in tempo breve enormi distanze. La seconda è quella di un popolo - valsusino come italiano - che trova difficoltà sempre maggiori negli spostamenti brevi, è costretto a muoversi su mezzi sporchi e scalcinati, ma nonostante tutto cerca di mantenere la propria sovranità, almeno sul territorio.

Riflettere su questo schema è funzionale ad una migliore comprensione delle dinamiche che ruotano attorno alla Torino -Lione, perché lo si può riproporre su vari livelli. Quello delle persone innanzitutto. Chi è immischiato nella costruzione della Tav? Nomi e cognomi alla mano, sono i rappresentanti del capitalismo edilizio italiano. Ci sono tutti, come spiega il blogger e urbanista Paolo Baldeschi: Caltagirone, Lodigiani, Todini, Ligresti, passando per la Lega delle cooperative, Impregilo ecc. “Il tutto – continua il blogger - senza gare d'appalto e via 'per li rami', cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra”.

E poi c'è la politica. Anche la casta guadagna la sua buona fetta di profitti dalla realizzazione dell'opera. Attraverso l'architettura sottile della Tav, basata sul project financing, i privati massimizzano i profitti legati alla costruzione dell'opera, mentre la gestione, probabilmente in passivo, sarà a carico dello Stato. Dunque, afferma Baldeschi, “più alti sono i costi di costruzione, più si guadagna, mentre che l’opera funzioni e faccia profitti non interessa”. Questo spiega il lievitare dei costi al chilometro, che in Italia hanno raggiunto i 60 milioni di euro contro i 10 di Francia e Spagna.

E spiega anche perché, sulla stampa e nell'intera classe politica, nessuno – come lamenta sul Giornale Marcello Foa – è ancora in grado di fornire convincenti motivazioni a favore della Tav. Le rimostranze di Foa muovono da uno studio che un professore dell’Università di Ancona, Antonio Calafati, realizzò assieme ai suoi studenti nel 2006. Calafati analizzò i giornali italiani che si schieravano a favore della Tav cercando di trovare le motivazioni di questa scelta. Risultato? Nessuna motivazione, si trattava di pura presa di posizione ideologica, senza che nessun direttore o editorialista si fosse degnato di spiegare ai lettori un briciolo di motivazione.

“Iniziare cercando le ragioni del sì alla Tav in Val di Susa e terminare riflettendo, sconfortati, su che cosa possa essere accaduto ai nostri maggiori quotidiani. Giungere a pensare che, forse, il declino italiano nasce da qui, da questa incapacità del giornalismo italiano di fornire un resoconto attendibile, pertinente e fondato, degli effetti delle politiche pubbliche”, scrisse sconfortato Calafati.

Foa riconduce il problema ad una sorta di atteggiamento fideistico che i quotidiani assumono, e da una mancanza di umiltà nei confronti dei lettori. Più probabilmente – e semplicemente – la mancanza sui giornali di valide tesi a supporto della Tav, capaci di smontare le rimostranze dei valsusini, è dovuta al fatto che non ve ne sono. La presa di posizione dei media è dovuta al loro inserimento nella rete di relazioni del potere.

E le persone sul fronte dei No Tav? Chi sono? Come è stato sempre più chiaro negli ultimi giorni, non sono soltanto gli abitanti della Valsusa. Sono piuttosto, un'ampia rappresentazione di quell'umanità stanca di un potere sempre più distante e veloce, a fronte di un popolo lento e inerme. A chi serve raggiungere Parigi in 4 ore – come ha recentemente annunciato Monti – se poi diventa sempre più difficile andare a lavorare ogni giorno nella città adiacente?

Il discorso delle due velocità, poi si può facilmente estendere ad una visione più complessa della società. Vi è una società veloce che corre a rotta di collo verso il progresso, ed una lenta, che riflette, per cui il progresso non è una corsa sfrenata ma una ponderata ricerca di un benessere collettivo.

La prima si è persa per strada ogni idea di collettività, ed il concetto stesso di società non le si addice poi così bene - si tratta piuttosto di un'aggregazione, una unione di interessi. La seconda invece, proprio in virtù della minore velocità, ha riscoperto il valore della condivisione, della partecipazione; quella sensazione contagiosa che fa sentire tutti parte di un progetto comune.

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