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9 marzo 2012

Lettera aperta a una No-Tav: proviamo a rifutare le parole del potere violento
di Carlo Gubitosa

RIflessione a voce alta sull’idea del nemico. Cosa ha da insegnare alla Val di Susa la storia delle lotte nonviolente?

 Carissima amica No-Tav,

Oggi ho trovato questa immagine sulla tua bacheca Facebook, e ti confesso che ne sono rimasto un po’ dispiaciuto.

Il motivo e’ semplice: sono talmente contrario alle guerre che rifiuto anche il loro vocabolario, non mi piace parlare di “nemici” e di “combattimenti”, e lascio queste parole ai generali che le utilizzano per descrivere in questo modo altri esseri umani e le azioni che vogliono annientarli.

Questa scelta di linguaggio non mi impedisce di prendere posizione sul conflitto in atto in Val Susa, riconoscendo la prevaricazione, la prepotenza e anche la violenza fisica con cui si vogliono imporre decisioni contrarie al buon senso, all’interesse dei cittadini e alla tutela dell’ambiente.

Ma questo non e’ sufficiente per farmi scendere in guerra con le stesse armi del nemico. Da vari giorni, per rendere palese questa mia convinzione anche nella vita quotidiana, ho appeso allo zainetto con cui vado in giro a Bologna il fazzoletto “No Tav”, quello che ho portato con me di ritorno da Chiomonte dopo la manifestazione del tre luglio.

Dopo aver manifestato la mia vicinanza affettiva alle vostre proteste, spero che non me ne vorrai se ti trasmetto anche la mia speranza che i cittadini in lotta nonviolenta contro una decisione ingiusta non si facciano sedurre dal “lato oscuro” della lotta, e non cedano alla tentazione di “militarizzare il linguaggio”, dopo che altri hanno deciso di militarizzare una valle.

Sarebbe un cedimento alla logica e alla cultura della guerra che non porterebbe nulla di buono. Lo so che nella vostra situazione i ragionamenti sulla violenza nascosta nelle parole possono sembrare sterili esercizi di dialettica e filosofia, soprattutto dopo che tu e i tuoi compagni di lotta, per difendere anche me da un debito insostenibile e tutti voi dai rischi per la salute collegati ai trafori, avete affrontato senza armi la violenza di Stato, rischiato la vita con scariche elettriche da migliaia di volt, subito lanci di lacrimogeni in pieno viso, insulti, manganellate, lanci di sassi dal cavalcavia, distruzione di tende, macchine, vetrine e proprieta’ privata.

Anche sapendo tutto questo, se mi permetto comunque di porgerti questi ragionamenti non e’ per moralismo, ma per la convinzione profonda che voi abbiate qualcosa di meglio, di piu’ bello, di piu’ vivo e di piu’ vero da dire, da dare e da offire al mondo. Mi riferisco a quella accoglienza che io stesso ho sperimentato, quella generosita’ nel dedicarsi al bene comune, quel cuore grande che vuole difendere la bellezza della valle dalla devastazione di un’opera inutile e vorrebbe costruire un progresso fatto di infrastrutture sostenibili, rispettose dell’uomo, dell’ambiente e della comunita’ locale.

Come ti ho gia’ detto, non mi piace parlare di nemici e battaglie, e voglio dirti come inizierei la mia lettera se dovessi scrivere a Monti, a Fassino, agli industriali del cemento coinvolti nel progetto TAV, agli operatori delle forze dell’ordine e a tutti i poteri che difenderanno ad ogni costo la “grande opera” piu’ controversa d’Italia. Io scriverei cosi’:

Caro amico,se vi chiamo amico, non è per formalismo. Io non ho nemici. Il lavoro della mia vita da più di trentatre’ anni è stato quello di assicurarmi l’amicizia di tutta l’umanità, senza distinzione di razza, di colore o di credo. Spero che avrete il tempo e la voglia di sapere come una parte importante dell’umanità che vive sotto l’influenza di questa dottrina di amicizia universale considera le vostre azioni“.

Ti piace questo testo? Non e’ mio, ma e’ del Mahatma Gandhi. E’ l’inizio della lettera che ha scritto a Hitler, denunciando con grande chiarezza e fermezza le violenze del regime nazista (“sono consapevole - scriveva Gandhi riferendosi alle occupazioni naziste – del fatto che, secondo la vostra concezione della vita, quelle spoliazioni sono atti lodevoli. Ma noi abbiamo imparato sin dall’infanzia a considerarli come atti che degradano l’umanità. (…) Non possiamo augurarci il successo delle vostre armi. Noi resistiamo all’imperialismo britannico quanto al nazismo“.

Ma anche nel denunciare senza sconti le spoliazioni e i soprusi del nazismo, Gandhi non ha mai voluto cedere alla rabbia o alla logica della violenza e della guerra, e ha sempre esercitato il diritto di restare amico di tutta l’umanita’ anche di fronte al protagonista di un genocidio aberrante. Parafrasando Vittorio Arrigoni, Gandhi ha deciso di “restare umano” senza farsi corrompere dalla violenza che combatteva, una scelta che ha segnato la vita di tanti testimoni della lotta nonviolenta come Martin Luther King, Nelson Mandela, Bobby Sands, e i “nostri” Lorenzo Milani, Aldo Capitini e Danilo Dolci, il cui spirito rivive oggi nelle azioni di Turi Vaccaro.

Rileggendo per l’ennesima volta la lettera scritta da Gandhi ad Adolf Hitler il 24 dicembre 1940 (la rileggo tutte le volte che rischio di essere sopraffatto dalla rabbia o dall’odio per una ingiustizia) ho ritrovato dei passaggi che gettano una luce calda e limpidissima su tutto il vostro impegno a difesa della valle.

Vorrei porgerti queste parole aggiungendole in coda alle mie considerazioni, con l’augurio di rimanere saldi nelle vostre persuasioni, continuando ad ascoltare la voce della vostra coscienza senza mai cedere alle trappole dell’odio e della rabbia, perche’ gettano semi avvelenati i cui frutti non fanno bene a nessuno.

Un caro abbraccio a tutti voi, e grazie per il vostro impegno sincero.

Carlo Gubitosa


Dalla lettera di Mohandas Gandhi ad Adolf Hitler del 24/12/1940 (…) La nostra resistenza a questa oppressione non significa che noi vogliamo del male al popolo britannico. Noi cerchiamo di convertirlo, non di batterlo sul campo di battaglia. La nostra rivolta contro il dominio britannico è fatta senza armi. Ma che noi si riesca a convertire o meno i britannici, siamo comunque decisi a rendere il loro dominio impossibile con la noncollaborazione nonviolenta. Si tratta di un metodo invincibile per sua natura. Si basa sul fatto che nessun sfruttatore potrà mai raggiungere il suo scopo senza un minimo di collaborazione, volontaria o forzata, da parte della vittima.

I nostri padroni possono possedere le nostre terre e i nostri corpi, ma non le nostre anime. Essi non possono possedere queste ultime che sterminando tutti gli indiani, uomini, donne e bambini. E’ vero che tutti non possono elevarsi a tale grado di eroismo e che la forza può disperdere la rivolta, ma non è questa la questione. Perché se sarà possibile trovare in India un numero conveniente di uomini e di donne pronti, senza alcuna animosità verso gli sfruttatori, a sacrificare la loro vita piuttosto che piegare il ginocchio di fronte a loro, queste persone avranno mostrato il cammino che porta alla liberazione dalla tirannia violenta.

Vi prego di credermi quando affermo che in India trovereste un numero inaspettato di uomini e donne simili. Essi hanno ricevuto questa formazione da più di vent’ anni. Con la tecnica della nonviolenza, come ho detto, la sconfitta non esiste. Si tratta di un “agire o morire” senza uccidere nè ferire. Essa può essere utilizzata praticamente senza denaro e senza l’aiuto di quella scienza della distruzione che voi avete portato a un tale grado di perfezione. (…) Non lascerete al vostro popolo un’eredità di cui potrà andare fiero. Non potrà andare orgoglioso raccontando atti crudeli, anche se abilmente preparati. Vi chiedo dunque in nome dell’umanità di cessare la guerra.

Il suo amico sincero
M.K. Gandhi

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