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5 marzo 2012

Val di Susa, la resistenza del popolo delle montagne
di Luca Galassi

Ci provano in tutti i modi a screditarli. Giornalisti, politici (tecnici e ‘tradizionali’), industriali, opinionisti della domenica. Ma la forza della Val di Susa è nella solidità delle sue montagne e nella grande tranquillità del suo popolo. La tranquillità, una qualità difficile da esibire, quando fanno di tutto per farti apparire come quello che non sei. Da queste parti, non si rifiuta il confronto e ci si mostra ospitali nei confronti di chi viene da fuori. Chiunque da queste parti, dal ragazzino alla pensionata, sarebbe in grado di smontare un qualsiasi discorso favorevole all’Alta Velocità. Con lo sguardo di chi sta dicendo delle ovvietà e proprio non riesce a comprendere quelli che vogliono a tutti i costi una nuova line a per far sfrecciare delle merci sulla ferrovia. “I Sì Tav – spiegano i valsusini – rifiutano sempre i confronti tecnici”. In effetti, nella mattinata di domenica, a Susa, era previsto un incontro tra docenti universitari e studenti per discutere pro e contro della Tav, ma tutti quelli che si sono sempre detti favorevoli alla grande opera hanno disertato l’appuntamento. Così come è indicativo il fatto che, ormai, è il solo aggettivo ‘strategico’ ad essere usato come giustificazione per la nuova tratta Torino-Lione. Oltre la strategia, però, non c’è niente.

Sbaglia anche chi cerca di dipingere la Val di Susa come un territorio selvaggio, in cui ancora la civiltà non ha lasciato i suoi segni: qui ci sono due statali, un’autostrada e una linea ferroviaria. Certamente, nessuno ha mai avuto problemi con i trasporti e anche in questi giorni caldi di protesta, i disagi si sono fermati a un casello chiuso o poco più. Per il resto, la vita scorre serena come sempre: per i valsusini marciare contro la Tav è diventata una prassi, quasi uno stile di vita. Da fuori, manifestanti e giornalisti, vengono una volta ogni tanto, in Valle, invece, la lotta non finisce mai, neanche quando i riflettori si spengono. D’altra parte, la protesta, a detta di molti, ha un significato prettamente simbolico visto che “l’Alta Velocità non si farà mai”. “Ne siamo convinti – dicono –, non si andrà da nessuna parte, finirà come il Ponte di Messina. E non sarà per merito nostro, nessuno ha veramente un interesse a far partire il progetto, anche tra chi la sta costruendo”. E tutto quello che si è detto su appalti e ‘ndrangheta riaffiora dietro le parole dei tecnici: “Si deve fare. E basta”.

Dopo la caduta di Luca Abbà da un traliccio dell’alta tensione, all’inizio della scorsa settimana, l’atmosfera si è surriscaldata: blocchi stradali, cortei, manifestazioni spontanee. Sabato, il casello di Avigliana sulla A32, è stato aperto, con i No Tav che facevano passare le automobili al grido di “oggi paga Monti”. Mezzora di blitz e poi tutti via. La protesta si consuma in un lampo, con l’obiettivo di scatenare un temporale. Il giorno successivo, a Giaglione, l’iniziativa era altrettanto semplice: polenta per tutti e poi passeggiata fino ai blocchi di polizia e carabinieri, con guardie anche a presidiare i boschi circostanti, che difendono il cantiere ‘fantasma’, la culla della Tav. Cinquemila persone che sfilano in un sentiero di montagna. Senza dubbio, uno scenario insolito per un corteo. Fino alla trentina scarsa di carabinieri in tenuta da battaglia appostata dietro una curva. Alcuni salgono su una collinetta per aggirare il blocco, altri si occupano di tagliare il filo spinato di fabbricazione israeliana che blocca la strada. Sembra una scena tratta da Ionesco: gli uomini in divisa davanti ai manifestanti, qualche insulto, la spintarella di un carabiniere a un ragazzo, altri insulti, un altro carabiniere che porta via il collega un po’ troppo nervoso. Si rimane così un’oretta, arriva una delegazione di clown che bela davanti alle forze dell’ordine, ricordando quel ‘percorelle’ che tanto ha fatto discutere. Altri ragazzi arrivano dal fondo del corteo con tamburi, scandendo slogan contro la Tav. Ma nulla si muove, la situazione resta sospesa, i carabinieri non sembrano avere intenzione di sgomberare, in prima linea i volti sono quelli attempati degli uomini di lungo corso, quelli che ne hanno viste tante e che, certamente, non cedono a qualche provocazione. Alla fine il filo spinato va giù per la valle: “L’obiettivo è stato raggiunto, adesso torniamo indietro. Nessuno resti indietro, non lasciamo ostaggi” dicono i megafoni. Lentamente si torna verso il paese, a un paio di chilometri. E’ stata solo un’altra giornata contro la Tav, una delle tante. I manifestanti sorridono, a Giaglione si balla e ci si gode l’ultimo sole che tramonta dietro le Alpi. Dalle parti dei blocchi rimarrà soltanto il pacifista Turi Vaccaro, appeso allo stesso traliccio dal quale è caduto Abbà, a sventolare come ultima bandiera di una protesta che non ha alcuna intenzione di fermarsi.

E’ stata una testimonianza, come a dire: noi siamo sempre qui, nessuno ha intenzione di fare passi indietro. Anche se, da più parti, si dice che il tempo dei blocchi stradali sia finito (“Si va sul civile lì…”, dice Perino), ma che la protesta continuerà in altre forme. Insomma, la Valle c’è, l’Alta Velocità, forse, non ci sarà mai.

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