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12/3/12

Zucchetti: il Tav farà 200 morti, ma per Monti è tutto ok

Diciassettemila Tir, e solo per portare via l’amianto dai primi 500 metri di un traforo lungo oltre 50 chilometri che provocherà non meno di duecento morti. Non sarebbe ora che il governo, al posto delle surreali barzellette di Mario Monti, si decidesse a dire qualcosa di serio sulla Torino-Lione? Dopo le nove paginette prodotte dall’esecutivo per balbettare qualche spiegazione in seguito alle forti proteste della valle di Susa, il professor Massimo Zucchetti del Politecnico di Torino chiede al premier di fare uno sforzo: perlomeno, eviti di sottoscrivere stupidaggini. Nel mondo scientifico, dice Zucchetti, quel documento ha causato innanzitutto imbarazzo, perché il testo prodotto dal “tecnico” Monti «affastella affermazioni approssimative, errate, e soprattutto – questa la cosa più grave – prive di fonti e studi verificabili a loro supporto».

«Imbarazzante pochezza», allarga le braccia Zucchetti, esaminando quel «compitino di nove pagine», che pare opera del più sfaticato degli studenti. «Com’è possibile che il governo ancora oggi non faccia uscire uno studio o un complesso di studi a supporto delle sue affermazioni che siano analizzabili e criticabili da esperti indipendenti?», si domanda il docente del Politecnico torinese sul “Fatto Quotidiano”, citando alla lettera la sbalorditiva superficialità di chi si pretende autorevole nel motivare un’opera devastante, finanziariamente sanguinosa e totalmente inutile. «Il progetto – assicura incredibilmente il documento del governo – non genera danni ambientali diretti ed indiretti». Inoltre: «L’impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori sia per il rapporto della vita delle comunità locali e dei territori attraversati è assolutamente sostenibile». Non è la realtà, è un film: il favoloso mondo di Mario Monti.

La valle di Susa, ricorda Zucchetti, per quarant’anni è stata sconvolta da pesanti cantieri per grandi opere: prima la diga idroelettrica del Moncenisio, poi il raddoppio della ferrovia internazionale Torino-Modane e quindi il raddoppio del traforo ferroviario del Fréjus, dopo la costruzione di una maxi-opera ad altissimo impatto ambientale come l’autostrada A-32 Torino-Bardonecchia. Non è finita: per lo sfruttamento idroelettrico delle acque della Dora Riparia è stato realizzato dalla torinese Aem il gigantesco impianto di Pont Ventoux, che ha semi-prosciugato il fiume: una diga ad Oulx e un’altra alle porte di Susa, con condutture interrate per chilometri che hanno “tagliato” le falde acquifere lasciando all’asciutto svariati paesi. Già oggi, in valle di Susa, di “sostenibile” non c’è proprio niente. Ma secondo Mario Monti quest’area così sovraccarica di maxi-infrastrutture subirebbe tranquillamente anche la peggiore di tutte, quella dell’alta velocità: con un bel brindisi, alla salute dei valsusini.

«I cantieri – scrive Zucchetti – danneggiano gravemente la salute degli abitanti: la stessa valutazione di impatto ambientale presentata dalla società Ltf, Lyon-Turin Ferroviaire, calcola un incremento del 10% nell’incidenza di malattie respiratorie e cardiovascolari a causa dei livelli di polveri sottili prodotte dai cantieri». In base alle statistiche, aggiunge il professore, il conto è presto fatto: sono circa 200 morti in dieci anni. «I documenti – aggiunge Zucchetti – considerano le polveri sottili Pm-10, senza considerare, ad esempio per la tratta italiana, le polveri sottilissime Pm-2,5 e altri inquinanti: attendiamo quindi una valutazione seria su questi aspetti, che tuttora manca».

Il problema dell’amianto, poi, è stato minimizzato: si ammette la presenza di amianto solo per i primi 500 metri, in una zona dove per anni Ltf ha persino negato che si potessero trovare rocce amiantifere. Salvo poi ammettere che «la presenza di rocce potenzialmente contaminate da presenza naturale di vene asbestiformi», cioè a base di amianto, può effettivamente «determinare una contaminazione ambientale in aria e su superfici di entità non trascurabile», durante le fasi di scavo e movimentazione di materiale di risulta. Le misure di cautela per lo smarino amiantifero, poi, sono addirittura incredibili: «Dire che lo si chiuderà in sacchi per spedirlo all’estero – protesta Zucchetti – significa non rendersi conto che anche solo 500 metri di tunnel di base corrispondono a 170.000 metri cubi, pari al carico di 17.000 Tir». Inoltre, per lo scavo del tunnel nella tratta italiana si definisce “tenore molto basso” un livello inferiore al 5% di rocce amiantifere incontrabili: «Che ne è del limite di legge, che parla di 0,1%?».

E oltre all’amianto, l’uranio: le mineralizzazioni radioattive in valle di Susa sono una realtà documentata fin dagli anni ‘60, aggiunge il professor Zucchetti, che cita la presenza di uranio nelle rocce del massiccio dell’Ambin, alle falde del quale dovrebbe aprirsi il “tunnel di base” della Torino-Lione. Prove certe: dallo studio del Cnr del 1965 alle prospezioni condotte dall’Agip nel 1978 (imitata sul versante francese dalla società mineraria nucleare Minatome), fino alle più recenti misurazioni dell’Arpa. Chi oggi propone la grande opera ferroviaria, dice Zucchetti, afferma che sono stati effettuati appositi carotaggi nei dintorni del futuro tunnel geognostico di Chiomonte, e che tutti i valori “rientrano nella norma”. Strano che “non risulti” presenza di uranio proprio dove si scaverebbe il tunnel, quando in tutta l’area si segnalano ben 28 affioramenti uraniferi, tanto da fare della zona un giacimento strategico, forse il maggiore delle Alpi occidentali.

«In realtà – dice ancora Zucchetti – nulla si conosce su quello che si incontrerà scavando, se non la ragionevole probabilità di andare ad incocciare in filoni uraniferi grandi e piccoli». Inoltre, a causa dell’emissione di gas radon da parte di queste rocce “normali”, si prevede la necessità di ricambiare ogni ora l’intero contenuto di aria del tunnel in fase di scavo, oltre al problema della risospensione di polveri e al dilavamento del materiale di smarino, con dosi alle popolazioni non trascurabili. Proprio i detriti di risulta ammonterebbero solo per il versante italiano a 15 milioni di metri cubi, «pari al volume di 6 piramidi di Cheope», cioè «il triplo di quanto dichiarato dal progetto» e quindi, «per due terzi, senza alcuna ipotesi di collocazione a discarica».

In ultimo, come insegna il dramma del Mugello, c’è il problema del dissesto idrogeologico in seguito agli scavi: sparizione di fonti, falde e corsi d’acqua, con enorme spreco della preziosa risorsa idrica. «Le belle parole passano, i grandi disastri restano», conclude Zucchetti. Una tremenda eredità, e non solo per il Mugello: la prossima vittima sarebbe la già disastrata valle di Susa, «qualora questa pazzia venisse effettivamente messa in opera». Tutte le evidenze – prove schiaccianti – sono contro la Torino-Lione, e senza neppure toccare il tema-principe, quello dell’utilità: tutti gli studi indipendenti hanno già dimostrato che l’eco-mostro che minaccia la valle di Susa non servirebbe a nulla, dato il tramonto storico del traffico merci fra Italia e Francia. «Occorre soltanto capire – chiude Zucchetti, desolato – quanti ulteriori soldi pubblici verranno sprecati prima che il progetto venga abbandonato».

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