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martedì 31 gennaio 2012 14:59

L'atlante del rischio nucleare dal Giappone all'Italia
di Luca Scarnati

Una mappa ragionata sulle politiche energetiche di alcuni dei paesi impegnati nel nucleare. Dall'Italia al Giappone, passando per Cina, Germania e Francia

È recente la notizia di una nuova perdita radioattiva dalla centrale di Fukushima. Solo un paio di litri di acqua contaminata fuoriusciti da un reattore... Poca cosa in confronto allo sforzo e ai pericoli connessi allo smaltimento dei reattori interessati dal catastrofico incidente dello scorso anno. Ma che però non sembra essere bastato al Giappone a far cambiare idea. Dei 54 reattori presenti nel paese solo 5 sono attualmente in funzione, ma l'Agenzia di sicurezza nucleare e industriale del Giappone, ha cominciato a diffondere i dati degli stress-test effettuati su quelli temporaneamente fermi: sembra che siano in grado di resistere a maremoti e terremoti di entità molto superiore a quelli che hanno devastato la centrale di Fukushima.

Quindi se l'Agenzia internazionale dell'energia atomica approva i test effettuati, pian piano il nucleare giapponese riprenderà a piena potenza. Non solo: la proposta è di aumentare la vita media di ogni reattore da 40 a 60 anni. Sembra però che molti Giapponesi se ne stiano chiedendo la necessità, dato che nonostante il fermo dei reattori il paese continua a funzionare.



Cina. Anche la Cina aveva staccato la spina, eseguendo approfonditi controlli sulla sicurezza dei 12 reattori presenti nel sud del Paese. Ma difficile pensare che il colosso cinese potesse rinunciare al suo programma energetico basato sul nucleare. Infatti anche qui la giostra dell'atomo ripartirà a breve, con 20 reattori già in costruzione e altri 8 in progetto. Si prevede che in un paio di decenni diventerà il principale produttore di energia atomica del pianeta.



Germania. In controtendenza la Germania, che ha già annunciato la chiusura di tutte le centrali entro il 2022. Già sono stati fermati in modo definitivo 8 reattori, ne rimangono 9. Ma una cosa è fermare i reattori, un'altra è far fronte alle necessità energetiche tenendo conto dei costi ambientali e economici. Così si punta sulle energie rinnovabili (in ordine eolico, biomasse e fotovoltaico), arrivate a coprire alla fine del 2011 il 20% del fabbisogno, ma destinate, secondo le previsioni della BDEW (l'associazione tedesca degli operatori delle reti di distribuzione), a raggiungere l'80% per il 2050. Così il paese si affrancherà gradualmente dalla dipendenza dai combustibili fossili, facendo un grosso favore all'ambiente e al proprio debito estero. Ci riuscirà? Non tutti ne sono sicuri, a cominciare da chi sostiene che i costi dell'uscita dal programma nucleare sono almeno 5 volte superiori ai 300 miliardi di € previsti, di certo qualsiasi cosa succeda sarà di esempio a tutti i paesi legati al nucleare.



Francia. I nostri vicini francesi come è noto non hanno mai badato a spese per il nucleare, tanto che hanno all'attivo ben 58 centrali, che coprono il 75% delle necessità energetiche del paese. E non intendono rinunciarvi. Certo anche in Francia, in seguito a Fukushima, sono stati eseguiti gli stress-test, ma l'Autorità di sicurezza nucleare (Asn) ha recentemente annunciato che nessuna delle centrali francesi dovrà essere chiusa per motivi di sicurezza. O meglio: "presentano un livello di sicurezza sufficiente da non richiedere l'arresto immediato di alcuna di esse", magari per alcune "il rafforzamento oltre gli attuali limiti di sicurezza, il più presto possibile". Così sono previsti 40 miliardi di euro di investimenti.



Italia. Dopo due referendum in cui gli italiani si sono espressi contro il nucleare, sembrava fosse arrivato il momento di scrivere la parola fine sulla produzione di energia atomica. Ma parte del mondo della ricerca non intende rinunciare al sogno del nucleare pulito: la fusione nucleare, enormi quantità di energia senza produrre scorie radioattive. Un po' come pensare di salvare il mondo. Così l'ENEA mette in cantiere un nuovo reattore sperimentale per la fusione, il Fast, che dovrebbe contribuire allo sforzo mondiale per liberare l'uomo dalla schiavitù energetica. Mancano solo i finanziamenti, 'appena' 400 milioni di euro.

In conclusione la percezione negativa del nucleare, legata all'incidente di Fukushima, ha portato molti proclami e pochi fatti. Magari una bella revisione degli impianti esistenti, anche se chissà con quali garanzie. Forse se la Germania riuscirà in tempi brevi a presentare al mondo risultati positivi nella sua politica energetica ci potranno essere inversioni di tendenza. Fino ad allora viviamo nella speranza che eventuali terremoti, alluvioni, uragani, maremoti e quanto altro, non se la prendano proprio con la centrale meno sicura, come la povera Fukushima.

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