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02/5/12

Rigore, anche l’Onu ci boccia: sofferenze inutili e dannose

“Rigore” fa rima con recessione, anticamera della depressione. Specie nell’Europa meridionale, «nei paesi che hanno maggiormente cercato l’austerity», la situazione economica «ha continuato a peggiorare», facendo crollare l’occupazione. A parlare, testualmente, di “fallimento”, sono nientemeno che gli analisti delle Nazioni Unite. Una dura sentenza: le politiche fondate sui tagli selvaggi alla spesa sociale promossi dall’Europa guidata da Merkel e Sarkozy, cui ora – buon ultimo – si accoda anche Mario Monti, sono «incapaci di stimolare gli investimenti privati». Per gli economisti dell’Ilo, l’International Labour Organization dell’Onu, nel corso del 2012 il numero dei disoccupati nel mondo aumenterà ancora, raggiungendo la cifra di 202 milioni di persone contro i 196 attuali. Il problema principale: accesso al lavoro sempre più difficile, per i giovani.

«In Italia – scrive Matteo Cavallito sul “Fatto Quotidiano” – nell’ultimo trimestre 2011 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9,7%», cioè il livello più alto dal 2001. «Il tasso reale, tuttavia, potrebbe essere più alto considerando anche i 250.000 lavoratori in cassa integrazione». Dati impietosi, un po’ ovunque, forniti dal dipartimento dell’Onu diretto dal cileno Juan Somavìa: «Dal 2008 ad oggi, in pratica, la crisi ha bruciato da sola circa 50 milioni di posti di lavoro che mancano ancora all’appello». E nei prossimi due anni, continua Cavallito, almeno 80 milioni di giovani si affacceranno per la prima volta sul mercato dal lavoro ma, alle attuali condizioni di crescita, è assai improbabile che possano essere facilmente collocati. La situazione, precisa il report delle Nazioni Unite, è particolarmente preoccupante in Europa, «dove dal 2010 la disoccupazione è aumentata in due terzi dei Paesi», anche se l’assenza di lavoro non manca di colpire Usa e Giappone, nonché Africa e paesi arabi. Una malattia che sta diventando cronica: «I disoccupati di lungo periodo sono a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, il che significa che potrebbero non essere in grado di ritrovare un nuovo impiego nemmeno nel caso di una forte ripresa economica».

A far riflettere, inoltre, c’è il tema della qualità del lavoro. Mentre nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo il peso degli impieghi informali continua ad essere piuttosto evidente, nelle economie avanzate continua ad aumentare il lavoro temporaneo e precario che interessa soprattutto i giovani e le donne. E qui, sottolinea il “Fatto”, si torna al fallimento delle politiche anti-crisi, visto che in Europa la situazione sembra riguardare soprattutto le cosiddette periferie. In Grecia, Italia e Spagna, la sotto-occupazione dei part-time non volontari raggiunge il 50%, mentre in Grecia, Spagna e Portogallo il tasso di lavoro temporaneo ha ormai raggiunto l’80%”. In sostanza, in alcune nazioni europee, tra cui l’Italia, «il livello di occupazione non è migliorato, mentre il lavoro precario è in realtà aumentato», alla faccia del vecchio adagio “più flessibilità uguale più occupazione”.

Dal 2008 al 2012, continua Cavallito, 40 paesi (su 131 presi in esame) hanno modificato la propria legislazione sul lavoro: nella maggioranza dei casi, il 60%, queste “riforme strutturali” non hanno fatto altro che colpire i lavoratori, riducendo la protezione dell’impiego per i dipendenti a tempo indeterminato. E il peggio è che questa tendenza si aggrava nelle economie più forti, dove la percentuale di “peggioramento” sale al 76%. «Come a dire – osserva il “Fatto” – che tre nuovi provvedimenti su quattro hanno implicato un aumento della precarietà». In almeno 26 paesi, la percentuale dei lavoratori coperti da un contratto collettivo è diminuita regolarmente, dal 2000 al 2009. E il processo «ha subito un’accelerazione con l’avvio della crisi globale». I “suggerimenti” dello staff tecnico dell’Onu? Sono esattamente il contrario delle “ricette” prescritte da Bruxelles, Bce, Merkel e Monti: aumento dei salari minimi, miglior accesso al credito e investimenti pubblici per la protezione sociale del welfare. L’Europa dei tecnocrati sbaglia tutto: a dirlo, ora, è anche l’Onu.