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mercoledì 12 dicembre 2012 08:36

La libertà, non le sovvenzioni, salverà la Palestina
di Sam Bahour


traduzione di Stefania Fusero

L'Anp, scrive Sam Bahour, elemosina l'aiuto internazionale e i Paesi donatori tacciono sul fatto che la Palestina ha le risorse naturali ed economiche per essere libera da Israele

Roma, 12 dicembre 2012 - Nena News Finché la comunità internazionale nel suo complesso -non soltanto gli USA - non comincerà ad utilizzare il suo peso politico per richiamare Israele, che tiene in ostaggio una intera economia - e popolo, alle proprie responsabilità, la situazione concreta è destinata a peggiorare e dobbiamo aspettarci che i prossimi scoppi di violenza avvengano con modalità più devastanti e letali.
Il primo bene potenziale è lo spettro elettromagnetico, meglio noto come frequenze di trasmissione. Queste frequenze sono il mezzo attraverso cui funzionano telefoni, radio e televisione. In Palestina queste frequenze che si trovano al di sopra della superficie sono occupate dall'esercito israeliano, esattamente come lo sono la terra e l'acqua sottostanti.

L'Accordo israelo-palestinese ad interim firmato il 28 settembre 1995 regola le relazioni bilaterali fra Palestinesi ed Israeliani e dedica un intero allegato specificamente al tema delle telecomunicazioni. Dichiara come primo principio che "Israele riconosce che il contraente palestinese ha il diritto di costruire e gestire sistemi e infrastrutture separati ed indipendenti, incluse le reti di telecomunicazione." (allegato 3, articolo 36). Ottimo - finché non si prosegue nella lettura. Il resto dell'allegato si impegna a chiarire che l'utilizzo di qualsiasi risorsa economica necessaria per costruire tali reti necessita dell'approvazione unilaterale di Israele. Così i Palestinesi hanno sì il "diritto" di costruirsi una rete cellulare, ma per fare ciò devono richiedere le frequenze che Israele, la Potenza occupante, ha la facoltà di concedere loro. Sarebbe come se si permettesse ad un figlio adolescente di usare la macchina, costringendolo però a chiedere le chiavi ogniqualvolta la volesse usare.

I Palestinesi hanno un disperato bisogno di disporre dei servizi di telecomunicazione di terza generazione (3G) e per farlo hanno bisogno delle frequenze specifiche che consentano a tutti quegli smartphone di collegarsi a reti di dati ad alta velocità. Negli ultimi anni Israele ha negato la sua approvazione a diverse richieste di Palestinesi di utilizzare le proprie frequenze 3G, anche se quello stesso articolo dell'Accordo ad Interim dichiara che il contraente israeliano "deve soddisfare tali richieste entro un periodo non superiore ad un mese.". Nel frattempo Israele permette ai propri operatori di telefonia mobile, che non sono autorizzati all'interno della zona sotto l'Autorità Palestinese, ad utilizzare le frequenze 3G palestinesi, soffocando così le potenzialità di crescita del settore delle telecomunicazioni palestinese, ed insieme quelle dell'intera economia.

Viene tolta in pratica agli operatori palestinesi la possibilità di fornire servizi, di creare i relativi posti di lavoro, di pagare le tasse che andrebbero a sostegno dell'AP (Autorità Palestinese) e via dicendo. In parole povere, l'economia palestinese sta soffocando a causa della museruola imposta da Israele.

A Gaza la situazione è persino peggiore. Israele rifiuta ad un secondo operatore palestinese la licenza per importare le strutture per impiantare una propria rete, lasciando i Gazawi in una situazione di monopolio, che si traduce in minori opportunità di lavoro e maggiori costi.

Come se impedire la crescita del settore delle telecomunicazioni palestinesi non fosse sufficiente, Israele si sta assicurando che l'economia palestinese non possa sfruttare la sua risorsa più preziosa, che si trova al largo della costa di Gaza: una riserva di gas naturale che si calcola valga 6.5 miliardi di dollari.

Secondo le stime del PIF (Fondo Palestinese di Investimenti), uno dei partner del progetto di sviluppo di questa risorsa strategica, ci sono 30 miliardi di metri cubi di gas naturale disponibile in due giacimenti offshore. I soci di PIF nell'esplorazione delle risorse sono BG Group e Consolidated Contractors Company.



Il cielo è sotto occupazione. Il mare è sotto occupazione. Nessuna speranza per il suolo.

Una Palestina libera avrebbe molto da offrire - da una vivace agricoltura ad un turismo incentrato sugli splendidi siti archeologici della Terra Santa, quali la Chiesa della Natività, la Cupola della Roccia, la Chiesa del Santo Sepolcro e centinaia ancora. Si aggiunga a ciò una scena artistica e culturale che può essere economicamente appetibile per il resto della regione. Ma nessuna di esse può avere sviluppo fino a quando Israele manterrà un muro di separazione alto 10 metri e centinaia di posti di blocco dentro le terre dei Palestinesi, e fino a quando Israele controllerà i confini, praticamente impedendo le visite dei Musulmani di qualsiasi parte del mondo, e frequentemente allontanando dai propri confini anche i Cristiani - e persino gli Ebrei.

Dal momento che l'Autorità Palestinese si trova a dovere elemosinare l'assistenza finanziaria per rimanere a galla, i Paesi donatori come gli USA chiudono un occhio sul fatto che la Palestina avrebbe invece le risorse naturali ed economiche per essere autonoma. Invece di gettare i dollari delle tasse dei propri contribuenti nel pozzo senza fondo necessario per sostenere la AP, le autorità in carica farebbero meglio a chiedere i conti ad Israele.

Se per farlo bisogna arrivare ad imporre sanzioni ad Israele finché non ponga fine ad una occupazione militare che dura da 45 anni, allora sanzioni siano. Le sanzioni, per quanto possano essere uno strumento duro da applicare, sono comunque un metodo nonviolento e certamente preferibile ad un deterioramento della situazione in Gaza e Cisgiordania, che sfoci in una nuova guerra. Nena News