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24 Gen 2012

Se un emendamento mette il bavaglio al web
di Carmine Saviano

Contro la censura all’italiana. Uno schieramento trasversale. Per cancellare l’emendamento Fava. Ovvero la norma, inserita nella legge Comunitaria, che prevede la possibilità per chiunque di chiedere a qualsiasi hosting provider la rimozione dei contenuti pubblicati in rete. Un emendamento soppressivo è stato presentato da deputati di tutti i partiti, per eliminare una misura, sottolinea Roberto Rao, dell’Udc, tipica «degli Stati totalitari». Per Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, si tratterebbe di «una rimozione selvaggia di contenuti in base ad una semplice segnalazione». E Antonio Palmieri, responsabile internet del Pdl: “la convinzione che Internet sia un bene da tutelare appartiene a tutte le forze politiche”.

#nofava. In rete l’emendamento Fava è stato già ribattezzato il “Sopa italiano”. E la mobilitazione è scattata subito. Per Articolo 21 eIl Futurista “il ‘Fava’ è peggiore del Sopa americano, che almeno prevede l’intervento di una autorità competente. E poi a chi spetterebbe il compito di stabilire il confine tra lecito e illecito? E secondo quali criteri?”. E l’iniziativa “Contro il bavaglio al web” è già partita. Oltre ad Articolo 21, Il Futurista e Agorà Digitale, in prima linea anche Libertiamo. E proprio Agorà Digitale ha lanciato #nofava – No al bavaglio a internet e al Sopa italiano. Si tratta di una petizione per “abrogare dalla legge comunitaria l’emendamento che, in contrasto con le direttive europee vuole obbligare i siti web a controllare preventivamente i contenuti pubblicati dagli utenti, rimuovendoli in base ad una semplice segnalazione di una parte interessata”. E se la difesa del diritto d’autore resta una questione aperta, “questa non può avvenire a scapito dei diritti degli utenti e degli hosting provider (siti come Wikipedia, Google, Facebook) che saranno costretti ad una rimozione selvaggia di contenuti”.

Qui la pagina Facebook #nofava. Qui “Chi è contro la Sopa italiana” sul blog Il Nichilista di Fabio Chiusi. E qui l’analisi di Guido Scorza.

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