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25 agosot 2012

Assad espugna la roccaforte ribelle. In esclusiva le immagini della battaglia
di Alberto Negri

Un colpo di mortaio frantuma la porta di ingresso della Qalah, la fortezza millenaria, e i soldati festeggiano la presa dell'acropoli di Aleppo con raffiche di mitra, sventolando la bandiera nazionale. Tremila anni di storia sono conservati su questa altura, tra mura che furono distrutte dai mongoli e ricostruite dopo le invasioni dei nipoti di Gengis Khan, di Tamerlano e dei Crociati. Sui bastioni, tra le pietre sbreccate, i frantumi di una lapide dell'Unesco sulla quale è scritto in arabo che questo è un patrimonio dell'umanità.

Così è caduta la cittadella di Aleppo dove da due giorni infuriavano gli scontri tra l'esercito siriano e gli insorti. I soldati di Bashar Assad hanno conquistato anche Salaheddin che era diventata una sorta di Stalingrado dei ribelli. Ma la battaglia non è finita. Questa città ha un alto valore strategico, a soli 60 chilometri dal confine con la Turchia, la retrovia vitale per i rifornimenti della guerriglia.

Difficile dire quanto durerà la guerra civile siriana ma se continua con questa intensità non avrà un vincitore perché chiunque sia dovrà camminare sulle macerie storiche e umane di un popolo. Sulla linea del fuoco, prima dell'assalto finale, si coglie l'ultima fuga dei civili da Aleppo. Un'auto grigia sfreccia veloce, a fianco del guidatore una madre in chador nero tiene il figlio avvinghiato al collo. I cannoni dei T-72 russi scuotono dall'alba le fondamenta delle case di Bab Al Hadid, il suk, le botteghe degli artigiani, una fabbrica famosa in tutto il Medio Oriente per i dolciumi. Nella concitazione della corsa verso la salvezza l'auto grigia quasi sbatte contro i pick-up che trasportano sul fronte i militari di Damasco.

Tutti portano un fiocco giallo al braccio per distinguerli, nella polvere della battaglia, dai lealisti che vestono le stesse mimetiche. Chi non ce l'ha diventa un bersaglio, come il guerrigliero che vedo trascinare sotto i bastioni, colpito da una grandinata di calci allo stomaco. È un uomo magro, quasi esile, con pochi capelli e la pelle scura: un soldato agita, tra grida e insulti, il suo passaporto saudita. Mani e braccia lo sollevano in aria come un foglio di carta fino a quando sparisce nell'oscurità di un'arcata medioevale. Nelle guerre civili le contrapposizioni sono feroci, ingigantite da ogni genere di propaganda - settaria, etnica, tribale - ma a volte vengono segnate da confini sottili come un banale nastro giallo.

Carri armati e truppe scelte stanno per entrare nella vecchia cittadella di Aleppo. Assad ha appena nominato un nuovo premier, Wael al Halaki, ex ministro dell sanità, al posto del fuggitivo Riad Hijab ma le defezioni aumentano: anche il capo del cerimoniale lo ha abbandonato. I soldati avanzano con la copertura dei cannoni che sbriciolano i palazzi dove sono appostati i cecchini. A ogni piazza conquistata esultano con raffiche di mitra e qualcuno accende lo stereo del pick-up, per festeggiare ma forse anche per scacciare la paura.

Gli insorti rispondono con armi leggere da un edificio basso in pietra tra un fast food e il lussuoso Hotel Carlton, davanti alla moschea costruita da Sinan, il più famoso architetto ottomano. I cecchini continuano a tenere sotto tiro i lealisti che chiamano rinforzi. Arriva un plotone, un soldato di Assad si inginocchia e prende la mira con un lanciagranate che polverizza il cancello con un boato, proiettando a un centinaio di metri il cartello del fast food al-Khaizan. Dalle macerie, poco dopo, spunta un militare con il suo trofeo: in una mano stringe il kalashnikov, nell'altra un narghilè d'argento, nella mimetica ha infilato la lama di una scimitarra con l'impugnatura in madreperla. Un souvenir della battaglia di Aleppo.

Non si può dire però che la città sia già caduta. Gli insorti occupano i quartieri orientali come Hamdania e Seif Al Dawla. «Questo - dice un portavoce dell'Esercito libero siriano (Els) - è solo un "ripiegamento tattico" verso l'area di Sukari». Sostiene che la vittoria di Salaheddin è costata cara ai militari di Damasco: «Hanno perso molti uomini e abbiamo ucciso un loro generale, Issam Zahr ad Din, che guidava l'offensiva».

Ogni vicenda ha la sua versione degli eventi ma ieri sulla cittadella medioevale per un attimo, di fronte alla battaglia, si è fermato il cuore pulsante di Aleppo. Un battito millenario che è sopravvissuto alle alterne fortune di grandi imperi e di dinastie effimere. Aleppo, dopo il Cairo e Beirut terza città cristiana del Medio Oriente, sfregiata da questa guerra, è stata per secoli un esempio di convivenza e tolleranza. Passo davanti alla Grande Moschea dove è conservata la tomba del profeta Zaccaria. Per 700 anni moschea e cattedrale cristiana sono state una a fianco dell'altra e i fedeli delle due religioni seguivano il proprio culto in armonia.

Ma è anche sorprendente come Aleppo sia capace di riprendere il suo ritmo interiore. Terminato l'assalto, intorno alla fortezza le botteghe del suk rialzano le serrande, i piccoli commercianti espongono la merce, ricompaiono le bancarelle di frutta e verdura sulla piazza dell'Orologio. Li muove un'intima speranza, anche se tutti sanno che quella di Qalah non è l'ultima battaglia per Aleppo.

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