Originale: The Indipendent
http://znetitaly.altervista.org
23 agosto 2012

 

L’esercito dei ribelli? Sono una banda di stranieri
di Robert Fisk
Traduzione di Maria Chiara Starace

Un esercito vittorioso? C’erano porta cartucce lungo tutti gli  antichi vicoli di pietra, sulle finestre “sfregiate”e fori di pallottole  sul lato della Moschea Sharaf dove un uomo armato aveva sparato dal minareto. Un cecchino sparava ancora  appena a circa 130 metri di distanza – tutto quello che era rimasto di più di cento ribelli  che avevano quasi, ma non del tutto accerchiato la cittadella di Aleppo  che ha 4.000 anni.

“Non ci crederà,”  ha gridato il Maggiore Somar. eccitato. “Uno dei miei prigionieri mi ha detto: ‘Non mi ero reso conto che la Palestina fosse così bella.’ Pensava di essere in Palestina a combattere contro gli Isaeliani!”

Devo crederci? Certamente, i combattenti che si sono fatti strada nelle vecchie stradine deliziose a ovest della grande cittadella erano in tutti i modi una banda di organizzata alla meglio. I loro graffiti  – “Siamo le Brigate del 1980″, l’anno in cui la prima insurrezione  dei Fratelli Musulmani aveva minacciato l’impero del padre del presidente siriano Bashar-al-Assad, Hafez, erano ancora sui muri degli alberghi e dei negozi di argenteria siriano-armeni. Un generale di 51 anni mi ha porto una delle granate di fabbricazione domestica che erano sparse sul  pavimento della moschea Sharaf; era un fusibile  lanoso  che spuntava fuori  dall’estremità di  un pezzo di  scheggia di granata, ricoperto di plastica bianca e coperto di nastro adesivo nero.

All’interno della moschea c’erano proiettili, latte vuote di formaggio, mozziconi di sigarette, e pile di tappeti da preghiera che i ribelli avevano usato come giaciglio e coperte. La battaglia fino a quel momento era durata 24 ore. Una pallottola inesplosa aveva fatto un taglio nella lastra tombale in stile bosniaco della tomba di un imam musulmano, con un delicato turbante di pietra intagliato nella parte superiore. I documenti della moschea- elenchi lagnanze dei fedeli, Corani e documenti finanziari -giacevano in un stanza che evidentemente aveva segnato l’ultima posizione di numerosi uomini. C’era poco sangue. 10/15 dei difensori -tutti Siriani- si erano arresi dopo che gli avevano offerto di risparmiarli  se avessero deposto le armi. La qualità di questo atto  di  pietà, naturalmente, non ci è stata rivelata.

I soldati siriani erano esaltati, ma hanno ammesso che condividevano un’immensa tristezza per la storia di una città la cui struttura era stata fatta a pezzi , un sito patrimonio dell’umanità che viene fatto a pezzi dai razzi  e da pallottole  ad alta velocità. Gli ufficiali hanno scosso la testa quando ci hanno condotto sui bastioni  dell’immensa cittadella. “I terroristi hanno tentato di conquistarla 20 giorni fa ai nostri soldati che la stavano difendendo,” mi ha detto il maggiore Somar. “Hanno riempito delle bombole di gas con l’esplosivo – 300 chili – e lo hanno fatto  esplodere  presso prima entrata  al di sopra del fossato.

Ahimé, lo hanno fatto davvero. L’enorme porta  medievale di ferro e legno, i suoi cardini e architravi decorati – un’opera difensiva che era rimasta in piedi per 700 anni – è stata letteralmente fatta a pezzi. Mi sono inerpicato  su  grossi pezzi di legno carbonizzato e di pietra che recano delicate iscrizioni coraniche. Centinaia di fori di proiettili hanno bucherellato il la parte in pietra della porta interna.  Sotto ho trovato un carro armato T-72 il cui serbatoio era stato scorticato dalla pallottola di un cecchino che era ancora conficcata nella guaina, e la cui la sua blindatura era stata spaccata da una granata.  “Ero dentro, allora” ha detto chi lo guidava. “Bang! – ma il mio carro armato funzionava ancora!”.

Quindi ecco la scheda ufficiale della battaglia per il lato orientale della città vecchia di Aleppo, il conflitto che si svolge in mezzo a strade strette e mura di pietra pallide e sbiancate che ancora veniva combattuta ieri pomeriggio; il crepitio di ogni pallottola dei ribelli riceveva  un lungo raffica di fuoco dalle  mitragliatrici dei soldati del Maggiore Somar.  Mentre l’esercito accerchiava gli uomini armati da entrambi i lati, 30 ribelli, o “Libero esercito siriano” o “combattenti stranieri” venivano uccisi e un numero non reso noto di questi  veniva feriti. Secondo il generale del maggiore Somar, un ufficiale di nome Saber, le forze del governo siriano hanno avuto soltanto otto feriti. Ne ho incontrati tre di loro, uno era un ufficiale di 51 anni che si è rifiutato di essere portato in ospedale.

Molte delle armi dei ribelli  erano state prelevate dalla scena dai militari dei servizi segreti “mukhbarat”  ?? prima che arrivassero: si dice che comprendessero tre fucili di precisione modello  NATO, un mortaio, otto pistole mitragliatrici austriache e una quantità  di Kalashnikov, che possono essere state rubate dai disertori siriani. Ma è lo sconvolgimento di trovare questa battaglie accanite in questo sito patrimonio mondiale che è più terribile che gli armamenti di entrambe le fazioni. Camminare facendo scricchiolare  pietre e vetri rotti con le truppe siriane per miglia e miglia intorno alla città vecchia, un luogo di musei e di moschee – la Gemmaya Ommaiade, (la Grande Mosche di Aleppo, n.d.t.) con magnifici minareti  si erge di fianco al campo di battaglia – è motivo di  infinito dolore. Molti dei soldati che si sentivano incoraggiati  a parlarmi anche quando dovevano inginocchiarsi   alle estremità delle strade strette mentre le pallottole crepitavano dalle mura,  parlavano del loro stupore per il fatto che così tanti “combattenti stranieri” dovessero trovarsi ad Aleppo. “Aleppo ha cinque milioni di persone ,” uno mi ha detto. “Se il nemico è così sicuro che vincerà la battaglia, allora sicuramente non c’è bisogno di far venire questi stranieri; perderanno.”

Il Maggiore Somar, che parlava un inglese eccellente, capiva fin troppo bene la situazione. “I nostri confini con la Turchia sono un grosso problema,” ha ammesso. “Bisogna chiudere il confine. La chiusura della frontiera deve essere coordinata dai due governi. Il governo turco, però, è dalla parte del nemico. Erdogan è contro la Siria.” Naturalmente, gli ho chiesto di che religione fosse, una domanda che è tutta innocenza e veleno in Siria in questi giorni. Somar, il cui padre era un generale e la madre un’insegnante, e che fa pratica di inglese leggendo i romanzi di Dan Brown, è stato rapido come un gatto. “Non sin tratta di dove si è nati o di quale è la propria religione,” ha detto. “E’ quello che si ha nella mente. L’Islam viene da questa terra, i Cristiani vengono da questa terra, gli Ebrei vengono da questa terra. Ecco perché è nostro dovere proteggere questa terra.”

Numerosi soldati credevano che i ribelli stessero tentando di convertire i Cristiani di Aleppo -Gente pacifica”, continuavano a chiamarli – e c’era un storiella diventata popolare che ieri circolava riguardo a un negoziante cristiano che era  costretto a indossare abiti musulmani e ad annunciare la sua conversione davanti  a una video camera. Ma nelle città in tempo di guerra si trovano soldati chiacchieroni. Un degli uomini che aveva ripreso l’entrata alla cittadella, era Abul Fidar, famoso per essere andato a piedi da Aleppo, a Palmira e a Damasco in 10 giorni, l’anno scorso, all’inizio dell’attuale conflitto per propagandare la necessità della pace. Il presidente, inutile dirlo, lo ha salutato con calore quando è arrivato alla sua meta finale.

E poi c’era il Sergente Mahmoud Dawoud, di Hama, che aveva combattuto proprio ad Hama, a Homs, a Jebel Zawi e a Idlib. “Voglio essere intervistato da un giornalista,” ha annunciato, e, naturalmente ci è riuscito. “Siamo  tristi per i civili di questa terra”, ha detto.  “Prima vivevano in pace.  In quanto soldati promettiamo che ci assicureremo che tornino ad avere una vita buona, anche a costo di perdere la nostra vita.” Non parla di tutti quei civili uccisi dalle bombe dell’esercito o dalla “shabiha” *,  o di quelle migliaia che hanno sofferto la tortura in questa terra. Dawoud ha una fidanzata che studia francese a Latakia, suo  padre è insegnante; dice che vuole “servire la sua patria”.

Ma non  possiamo non pensare  che il proposito di uomini come il Sergente Dawoud -e di tutti i suoi commilitoni qui – non era certamente di liberare Aleppo ma di liberare  le Alture del Golan occupate, proprio accanto alla terra che sembra gli “jiadisti”  pensavano stessero “liberando” ieri – fino a quando hanno scoperto  che Aleppo non era Gerusalemme.


* http://it.wikipedia.org/wiki/Shabiha

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/rebel-army-theyre-a-gang-of-foreigners-by-robert-fisk

top