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sabato 21 aprile 2012

La Siria di padre Paolo Dall'Oglio
di Riccardo Cristiano 


"Tra le giovani generazioni c'è una propensione per la democrazia che non può essere ignorata. Il passato è passato, per tutti."

Padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, animatore da decenni della comunità monastica di Mar Musa, ha rischiato più volte l'espulsione dalla sua amata Siria. Ma è riuscito a rimanere in quello che ormai considera il suo Paese senza rinunciare a dare anche una testimonianza su quella che è una delle pagine più dolorose, sanguinose, della storia araba contemporanea. Superata l'incredibile soglia delle 11mila vittime, senza parlare di feriti, deportati, internati, torturati, questa storia è parsa per un momento incamminarsi verso un cessate-il-fuoco. Nel quale però, sin dall'inizio va detto, hanno creduto in pochissimi. Perché tanto pessimismo? Perché un cessate il fuoco ha bisogno di un orizzonte comune per reggere. E francamente oggi è difficile vederlo. Anche per numerosi fattori esterni che non concorrono a determinarlo. Possono essere facilmente enumerati. Putin non si è ancora pienamente reinstallato alla testa della Russia, lo farà presto, ma per ora non è così e questo non aiuta. Come non aiuta il fatto che per gli Stati Uniti questi siano i mesi della campagna elettorale e che le preoccupazioni di Obama siano ovviamente concentrate su questo. La questione iraniana poi è ancora tutta aperta e la tensione tra sunniti e sciiti è altissima, si sta radicalizzando, nel senso che prevalgono le posizioni dei radicali. Israele poi a mio avviso non ha interesse a un mutamento, questa radicalizzazione non la vede male perché sposta l'attenzione, occupa i radicali e consente di procedere con minori tensioni alla colonizzazione della Cisgiordania. Quindi come si potrebbe essere ottimisti? L'ottimismo dovrebbero crearlo i siriani, ma una discussione aperta all'interno della Siria è impossibile, perché gli spazi di discussione in questo Paese sono più angusti di quel che qualche osservatore italiano può immaginare o ritenere. E allora mi sono permesso di proporre che questa discussione avvenga all'estero. I media del mondo libero, dovunque siano presenti cittadini siriani, dovrebbero offrire lo spazio per un libero confronto tra di loro, ponendogli una semplice domanda: siete contenti? Vi piace la guerra civile? A chi può far piacere la prospettiva di arrivare a centinaia di migliaia di morti ammazzati? Ecco, allora prima di arrivare a questo, a centinaia di migliaia di morti, discutete, cercate di inventarvi un nuovo accordo nazionale.

Lei parla di guerra civile. Ma in Siria c'è la guerra civile, o c'è una sollevazione popolare?

-Io parlo di guerra civile da giugno del 2011. Perché se c'è una sollevazione popolare non si può non dire che c'è anche una parte della società solidale con il governo del presidente Bashar al-Assad. Stiamo assistendo a un parto difficile in un momento molto complesso da parte di una società divisa e ormai armata. Quindi parlo di guerra civile 

Eppure questa insurrezione ha già prodotto delle novità. Mentre il Baath, il partito-stato, offriva una società strutturata verticalmente, i comitati di coordinamento degli insorti ci dicono che è nata una società con legami orizzontali.

-Su questo non c'è dubbio. Anche noi abbiamo lavorato, abbiamo fatto di tutto per dare il nostro contributo alla nascita, alla creazione di una società civile. Su questo devo dire che anche l'Europa ha fatto molto, svolgendo un ruolo molto positivo. Soprattutto tra le giovani generazioni arabe oggi constatiamo il diffondersi di una apertura, di un crescente interesse per la democrazia. Si tratta di un fiore delicato, da curare. Ma questo riguarda anche i settori di società filo-governativi che hanno detto sì alle riforme e quindi no al partito-stato. Anche loro hanno scelto il cambiamento. 

-Veniamo ai cristiani. Perché i vertici ecclesiastici, i vescovi, i patriarchi, sono così contrari al cambiamento. Sembrano quasi nostalgici di quel sistema di minoranza "protetta" che condannano dalla fin dell'Impero Ottomano. 

- Guardiamo la realtà che circonda i cristiani di Siria. Abbiamo da una parte l'Iraq, dove i cristiani sono stati triturati da una guerra civile che si è svolta durante l'occupazione del Paese. Dall'altra parte abbiamo il Libano, dove la guerra civile è durata 18 anni. A sud ci sono Israele e Territori Palestinesi, da dove i cristiani fuggono schiacciati dall'attrito. E infine a nord c'è la Turchia, dove i cristiani sono una reliquia. Dunque la Siria sembrava "l'ultimo paradiso", per dir così. Ma il passato è passato per tutti, lo dice anche il governo del Presidente Assad. I cristiani quindi dovrebbero ascoltare quanto dice il Papa, che ha ricordato come in Siria ci siano delle legittime aspettative della popolazione siriana che devono essere ricevute. Vede, come dubitare che la storia valga per tutti. Anche i cristiani qui non hanno una grande esperienza della democrazia, visto che prima c'è stato l'impero ottomano, poi il mandato coloniale francese, poi una breve e fragile esperienza democratica e quindi questi quarant'anni famosi. Quindi la democrazia è una dimensione da scoprire ed è normale che in una situazione del genere provochi più preoccupazioni che speranza e serenità.. Molti cristiani, soprattutto i giovani, sono per la democrazia, per il cambiamento: noi speriamo che ci sia ancora spazio per un cambiamento diverso da quello provocato dalla guerra civile. Infatti quel fiore delicato di cui parlavamo poco fa c'è e riguarda tutti. Giorni fa a Damasco un gruppo di giovani ragazze ha messo in atto una manifestazione pacifista. Per dire di no alla guerra civile, alla violenza e allo spargimento di sangue si sono stese per terra in un centro commerciale, cristiane e musulmane; e sono rimasti così, tenendo alti i loro cartelli contro la violenza finché non le hanno portate via di peso.

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