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06-11-2012

Siria - Paralleli incontra Padre Paolo Dall'Oglio
di Elisa Adorno

Nell'ultimo numero dell'Osservatorio Mediterraneo Padre Paolo Dall'Oglio racconta la condizione delle minoranze religiose in Medio Oriente e la situazione particolare della Siria.

Come spesso accade, e la storia antica e recente ce ne dà conferma, le minoranze, siano esse etniche e/o religiose, sono costrette a subire persecuzioni, umiliazioni, a non vedere riconosciuti i loro diritti fondamentali: non possono professare il loro credo religioso; non possono parlare la loro lingua; non possono vivere secondo i loro "usi e costumi". La storia e gli eventi, anche recentissimi, delle Primavere Arabe, non fanno che ricordarci questa triste sorte. Sarebbe interessante che Lei ci aiutasse a comparare la situazione dei cristiani in Siria con quella di altri paesi del Medio Oriente, dove i cristiani sono una cospicua minoranza, come l’ Egitto e l’ Iraq.

E’ utile il paragone tra la situazione dei cristiani in Siria con quella di altri. La discriminante è data dal fatto che ci si trovi in una società conflittuale, o no. In Egitto, per fare l’esempio più semplice, abbiamo un paese tutto sunnita, senza antagonismi tra i musulmani ed un cristianesimo sostanzialmente omogeneo, nel paese che è tutto copto. Dunque, il paese tende alla stabilità inter religiosa, anche se, purtroppo, la mancanza di maturazione teologica, di un significato dell’”essere insieme”, porta alla crescita di tensioni di tipo settario. Per esempio, i copti, all’estero, ragionano in termini nazionalistici, anti islamici, e hanno prodotto quello schifo di video su Maometto, anti Islam. Sull’altro versante, la crescita dei soggetti musulmani estremisti fondamentalisti, in alcuni casi, rende molto difficile la coesistenza cristiano-musulmana. Addirittura, si fa dell’Egitto un esempio negativo: “guarda come soffrono i cristiani, sono perseguitati…” Direi che, a prescindere dall’uso strumentale del regime di Mubarak e della tensione copto musulmana, come volano del potere dittatoriale dello stato, come magnete del consenso internazionale favorevole al regime, a prescindere da questo meccanismo perverso, l’evoluzione dell’Egitto va verso una riedizione dell’armonia islamo-cristiana. Dipende da che tipo di evoluzione avrà l’Islam ed il conflitto arabo – israeliano. Se l’evoluzione sarà positiva, ed io prevedo che lo sarà, allora lo sarà anche la relazione islamo-cristiana, a patto che gli elementi più capaci di produrre culturalmente e teologicamente un riavvicinamento siano attivi all’interno della chiesa copto ortodossa. Se sono attivi solo gli esclusivisti, i settari, gli islamofobi, non si creerebbero le condizioni adatte. In Giordania siamo in una situazione sostanzialmente analoga. Abbiamo un paese tutto sunnita, con delle minoranze cristiane. Il vantaggio, rispetto all’Egitto, è che la coscienza profonda dei cristiani di Giordania è una coscienza araba: i cristiani giordani si sanno arabi da prima dell’Islam, perché già erano arabi. Sono arabi cristianizzati preislamici e, per questa ragione, hanno una coscienza nazionale più sottolineata. Una realtà condivisa con i musulmani locali, ovvero proprio l’identità araba. In Palestina e Israele le cose, naturalmente, sono complicate dal fatto che ci si trovi all’interno di una fortissima conflittualità tra palestinesi ed israeliani, dove la grande maggioranza è musulmana. I cristiani sono solidali con il combattimento arabo, con i sentimenti arabi dell’”essere vittime”, ma non sono interessati al conflitto; non hanno una mentalità conflittuale e quindi tendono ad emigrare. In Libano, c’è una situazione di tipo conflittuale comunitaria, una lunga guerra civile. Per certi aspetti, la situazione libanese si prolunga in Siria e la situazione siriana si prolunga in Libano. In questi due paesi, ci sono gli stessi attori: i cristiani maroniti che sono particolarità libanese, ma che ritroviamo anche in Siria;  gli sciiti sono presenti nel sud del Libano e, sebbene meno numerosi, anche in Siria; gli alawiti, nel nord del Libano, confinano con gli alawiti della Siria. Il conflitto siriano, insomma, si prolunga nel nord del Libano, in continuità geografica diretta. Sunniti, sciiti e alawiti si sparano tra loro nel nord del Libano, proprio come in Siria. In Iraq, i cristiani si sono trovati stritolati nel conflitto sciita-sunnita. In Iran, per fare ancora un altro esempio, si sono trovati travolti dalla logica rivoluzionaria komeinista. In Turchia, sono stati travolti dalla logica fondamentalista nazionalista secolare. Proprio in Turchia, moltissimi cristiani (1,5 milioni di armeni, centinaia di migliaia di siriaci) sono spariti durante e dopo la 1° Guerra Mondiale, per effetto del nazionalismo massimalista all’occidentale. Anzi, in un certo senso, il genocidio armeno diventa addirittura la prova generale del genocidio ebraico in Germania, essendo stato, in parte, condotto dagli ufficiali tedeschi, alleati della Turchia. Allora, nonostante siano tutte situazioni particolari, la Siria è più comparabile con l’Iraq e il Libano, che non con la Giordania o l’Egitto. In Siria c’è un conflitto interno al paese. C’è una mobilitazione dello stato verso le minoranze, affinché queste producano consenso popolare al regime, in modo da soggiogare la maggioranza sunnita. Ricordo, a questo proposito, un ufficiale sciita alawita che venne da me , nel ‘90, e mi disse: “guarda che se non teniamo lo scarpone militare sul collo dei sunniti, ci esplodono in faccia…insomma, dobbiamo rimanere alleati”. Io rifiutai quella logica, dicendo di essere per l’allargamento del consenso nazionale; lui mi rispose: “vallo a dire ai tuoi superiori... ” Cosa succede? Che, come vittime della manipolazione sistematica del regime, la più parte dei cristiani, per motivi ideologici e geografici, rimane solidale con il regime. Questo è un fatto molto sorprendente, soprattutto nelle città a maggioranza musulmana sunnita, dove si dovrebbero ritrovare sia le solidarietà tradizionali, precedenti al potere degli Assad, sia le solidarietà “giordane”, tra sunniti e cristiani. Questo qualche volta avviene, in diverse città. Tuttavia, la maggioranza delle gerarchie ecclesiastiche rimane legata al carro del regime, perché abituata a questo sistema di impiego e di complicità reciproci ed incapace di pensare all’alternativa democratica come consistente. Così facendo, ci si appiattisce sull’interpretazione riduttiva del presente, per cui non c’è rivoluzione, ma solo un fatto eversivo islamico estremista. Insomma, le gerarchie ecclesiastiche dicono che si deve rimanere con il regime e, se cade il regime, si deve lasciare la Siria. Comunque, nonostante tutto, l’aspirazione della maggioranza dei cristiani è di andarsene, per sentimento di incompatibilità culturale, per ritardo teologico. Non c’è un catechismo per spiegare perché è bello stare insieme, qual è il valore dell’Islam, perché è significativo vivere assieme, perché vale la pena, perché ha più valore qui che in America… Tutto questo ragionamento non c’è mai stato o non c’è stato abbastanza o, ancora, c’è stato in modo superficiale e retorico, da “paccottiglia”, da retorica del “vogliamoci bene”. Ma non sostanza del valorizziamoci, gli uni e gli altri. Ci troviamo nella condizione in cui alcuni cristiani, per motivi ideologici, sono contro il regime ed hanno fatto la galera, in quanto intellettuali di sinistra. Altri sono per i diritti dell’uomo ed hanno sofferto per questo. Altri ancora hanno avuto problemi, come me, perché hanno lavorato contro la corruzione, per l’emergenza della società civile, per fare avanzare la logica democratica. Ma tutti questi restano una minoranza. Invece, purtroppo, anche la base popolare rimane ostaggio della paura e diventa ripetitore delle menzogne del regime. Questo è gravissimo, perché amplifica, convince e produce reazioni analoghe in Occidente.

L’immagine, spesso diffusa in Europa, è che i cristiani abbiano in passato “goduto” di una protezione opportunistica da parte del regime. Accusa mossa anche ai cristiani in Iraq al tempo di Saddam Hussein.“ Uno statuto invidiabile o una serenità simulata”. E’ davvero così?

Goduto che? Cosa si sono goduti? Una situazione di ritardo istituzionale, economico, culturale eee sul piano dei diritti umani. Associati al regime ma disgraziati con tutti. Insomma, non si può dormire bene quando i tuoi vicini di casa sono torturati nel sottoscala, non è possibile. C’è una condizione di angoscia profonda, anche morale, di complicità con l’ingiustizia, di paura. I cristiani hanno vissuto, in Iraq e Siria, una condizione di paura verso il regime, totale, un assoggettamento verbale e, addirittura, un cordiale assecondamento. Complicità ed, al tempo stesso, terrore. Per cui, i siriani d’America hanno paura del regime e non vogliono “dialogare” con te neppure a Los Angeles. Essi hanno paura del regime anche lì o a Ginevra…Insomma, chi sta con il regime ha paura ovunque, persino in Australia. Ci si trova in una logica di assoggettamento, non in una logica di protagonismo, se pure a favore del regime. Si è solamente e totalmente passivi ed assoggettati.



Il regime agisce, sin dall’inizio delle manifestazioni, sulla paura e sulla divisione. Paura reciproca tra le diverse comunità e paura dell’estremismo importato. La situazione da questo punto di vista sembra peggiorare, si profila una lunga guerra civile...

No, non si profila nulla. La guerra civile è cominciata da due anni. Basta dire “si profila”, è una storia occidentale questo “si profila”, “si corre il rischio”… Io ho scritto al Vaticano, nel giugno del 2011, dicendo chiaramente che la guerra civile era cominciata: “o fate ora qualcosa o dopo non venite a piangere sul latte versato; le lacrime di coccodrillo non serviranno poi…” La risposta che ho ricevuto è stata: “Grazie Padre delle sue informazioni…” Adesso si sono giocati tutto e vanno a Damasco, per motivi umanitari, certo, ma vanno a fare una elemosina, a distribuire i soldi raccolti durante il Sinodo. Li distribuiscono attraverso organizzazioni controllate dal regime, in uno spazio di potere controllato. Anzi, vanno a sollevare proprio le sorti del regime e, per questo motivo, vanno protetti dagli sgherri del medesimo. Allora, è questo il messaggio che la Chiesa Cattolica vuole dare, oggi? In generale, gli aiuti umanitari arrivano in Siria in due modi. La prima via è rappresentata da Damasco, controllata dal regime e dunque non in contraddizione con gli interessi del potere. La seconda via è rappresentata da Turchia o Iraq ed è questa la strada attraverso cui gli aiuti possono arrivare effettivamente alle popolazioni oppresse.



Lei è stato promotore di una delle più note comunità interreligiose. Quanto sono o erano diffuse esperienze simili? E quali le conseguenze del conflitto su di esse

Io non ho fondato una comunità interreligiosa. La comunità inter religiosa c’è. Dal punto di vista della struttura, invece, può esserci oppure no. Per esempio, la Comunità di Sant’Egidio che, una volta all’anno crea uno spazio per la preghiera e la pace, di fatto finisce per formare una comunità, una carovana interreligiosa. Io l’ho vissuta: è un vera comunità interreligiosa, in cui ci sono comunanze, c’è una storia, c’è un incontro che prosegue anche al di là dell’evento. I Focolarini, dal canto loro, hanno cerato una comunità interreligiosa esplicita: esistono cristiani o musulmani focolarini. Forse,  anche l’internazionale comunista crea una comunità alla radice interculturale ed anche interreligiosa. Quello che io ho cercato di fare è stato creare una comunità cristiana capace di accogliere dei musulmani, per un evento di incontro. Questo evento, alcune volte, può essere costituito dalle famiglie che vengono a visitare il mio monastero. Altre volte, può essere più ricercato e costruito, come i convegni di dialogo. Si prosegue con il nostro andare ospiti nelle comunità musulmane. Il fatto è che oggi, a posteriori, dobbiamo riconoscere che si è creata una comunità inter religiosa: c’è una fraternità, complicità, solidarietà, addirittura rivoluzionaria, frutto, proprio, della logica dei nostri incontri. Oggi, il fatto che Paolo dall’Oglio sia riconosciuto dai musulmani rivoluzionari siriani come il loro prete, ecco, è un fatto importante…e vorrei chiedere a Benedetto XVI di nominarmi cappellano della rivoluzione siriana, visto che ve ne sono tanti della repressione e del regime. Potrà esservene almeno uno della rivoluzione?…Io, a causa del mio impegno, sono stato accusato ufficialmente dal governo siriano, attraverso il portavoce del Ministero degli Esteri, di essere pagato dai nemici della Siria, dalle reti terroriste ed affiliato ad Al Qaeda. I siti italiani ripetono queste cose all’infinito e non vedo perché devo essere ripetutamente ed ingiustamente calunniato su internet.



Lei non ha mai nascosto le sue critiche alla comunità internazionale, denunciando l’inerzia e l’incapacità di esprimere una vera solidarietà. Come potrebbe, ora, esprimersi una reale solidarietà?

Si devono fare tre azioni subito. Una umanitaria, sia partendo da Damasco sia fuori della Siria, per sollevare, per quanto possibile, le sofferenze di un popolo martire. Due, non mollare mai la via diplomatica, avanzando verso la logica di una Siria neutrale, uscendo dalla logica di una nuova edizione della Guerra fredda e della guerra civile sunnita-sciita, per promuoverne, invece, la riconciliazione. Questo significa anche riconciliazione regionale e, in prospettiva, addirittura pacificazione con Israele. Naturalmente, occorre una mutazione democratica, per una Siria democratica, pluralista ed equidistante. Tre, concretamente, sul terreno, è necessario che  la rivoluzione vinca. Occorre che gli aiuti militari, pagati da alcuni alleati, come Arabia Saudita e Qatar (che qualcosa ovviamente vogliono in cambio), siano tecnicamente sotto il controllo dell’Occidente, in modo che vadano effettivamente ai siriani. Occorre, inoltre, che questi aiuti militari siano contigui al progetto democratico pluralista e non al progetto islamista. E’, tuttavia, essenziale il riconoscimento dei protagonisti islamisti della rivoluzione siriana, soprattutto i fratelli Musulmani e i settori del Salafismo. Infatti, non tutti i salafiti sono di Al Qaeda, nonostante Al Qaeda sia salafita. E non tutti i terroristi sono salafiti, anche se alcuni salafiti sono terroristi. Fermo restando che “terrorista” è una definizione danzante, cangiante, dialettica e quindi non è rigida, ma deve essere utilizzata con intelligenza. Occorre che la rivoluzione avanzi per gradi, vincendo militarmente e che, a mano a mano che avanza, la Russia e l’Iran siano costretti ad una più grande disponibilità negoziale,  ma la trovino anche dall’altra parte, in vista di un processo costituzionale che possa salvaguardare il mosaico siriano, evitando massacri, diciamo, di “stile balcanico”. E’ necessario, quindi, che, quando un governo di transizione si stabilirà ad Aleppo, offrendo l’occasione a tutta l’opposizione siriana di riunirsi ed unificarsi attorno ad un progetto costituzionale, allora la Russia accetti il dispiegamento di forze ONU sul fiume Oronte, per proteggere la minoranza alawita, evitare i massacri e creare lo spazio negoziale per l’accordo costituzionale nazionale. Se, invece, la Russia terrà duro, insieme con l’Iran, è probabile che per un certo tempo si dovrà sopportare l’idea di una divisione del paese: caduta del regime, successo della rivoluzione, ma divisione territoriale per quanto riguarda la Siria costiera, eventualmente retta da pezzi di regime o da una rivoluzione alawita contro Assad, ma sempre in una visione separatista. In questo caso ci sarebbe anche il rischio di una realtà separatista curda, nel nord est. Ed Israele potrebbe tentare di crearsi un “tappo” druso nel nord, sul Golan. Comunque, il sentimento nazionale siriano è molto profondo. Io mi auguro, se si riesce a coinvolgere l’ONU, sia proprio il sentimento siriano a prevalere, con una soluzione costituzionale condivisa. Diversamente, si dovrà passare per un periodo incerto, nel quale anche la comunità internazionale dovrà avere un ruolo, per evitare i massacri e favorire il dialogo.

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