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8 febbraio 2012

Il futuro della Siria
di Christian Elia

La missione del ministro degli Esteri russo Lavrov a Damasco, il veto di Russia e Cina alla risoluzione di condanna Onu, l’indignazione Usa e Ue, le sanzioni a Damasco. Mentre Homs è assediata e le opposizioni denunciano centinaia di vittime civili. Un quadro davvero fosco, quello della situazione in Siria, dove poche sono le notizie verificabili dall’interno. E – il mensile ha chiesto un parere alla professoressa Francesca Maria Corrao, docente di Lingua araba presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli a Roma e visiting professor in molte università arabe ed europee, autrice per l’editore Mondadori del libro Le rivoluzioni arabe – Transizioni mediterranee, pubblicato quest’anno.

La Siria, vista da lontano, sembra sempre più un rebus. Si può solo orientarsi in tentativi di analisi con l’idea che, Russia e Cina a parte, l’isolamento di Damasco e le pressioni esterne suonano come una condanna del regime di Assad, anche se i tempi paiono difficili da immaginare. Qual è il suo parere?

Le dinamiche interne, al pari di quelle esterne, sono complesse e articolate. Anche perché ci sono pressioni esterne su componenti interne, come quella sunnita. Non è un mistero che l’Arabia Saudita sostenga il movimento dei Fratelli Musulmani. Altrettanto evidente è che la Turchia ha interesse a non veder uscire dalla Siria quella importante componente di curdi privi del diritto di cittadinanza. Il Libano, poi, con i rapporti di Damasco con Hezbollah e l’Iran e, infine, Israele. Ecco dunque come la questione interna siriana dipenda anche dagli equilibri che si possono creare, come nel caso delle minoranze cristiane, che avevano un ruolo importante di equilibrio in Siria e che fino a oggi hanno sostenuto gli Assad, che hanno a loro volta supportato i cristiani per mantenere un equilibrio politico all’interno del Paese.

La Siria, in qualche modo, risente anche del mutato scenario regionale creato con l’invasione dell’Iraq nel 2003, con un mutamento degli equilibri tra sunniti e sciiti? Quali scenari sono immaginabili con l’eventuale caduta di Assad nella zona?

Prima di tutto va detto che ci sono anche delle ragioni interne, non dimentichiamo che ci sono state tutte le rivoluzioni arabe, che hanno favorito al presa di coraggio delle opposizioni siriane. Detto questo, però, è innegabile che si siano alterati alcuni equilibri nella regione, con l’esplosione dell’Iraq, con la situazione dei curdi al nord e degli sciiti al sud. Tutta la regione ha visto mutare il suo profilo politico complessivo. Va, però, tenuto conto di un altro elemento fondamentale: con gli Assad cade l’ultimo bastione del nazionalismo arabo, collante secolare laico di fronte al complesso mosaico religioso della regione. Cosa accadrà, in futuro, tra le varie anime della Siria è difficile prevederlo. A questo proposito si era pronunciato Adonis, grande poeta siriano, sostenendo che era difficile che emergesse una democrazia in un Paese dove manca una educazione, un’abitudine a una convivenza democratica. Gli scenari, per il momento, non sono rosei.

Immaginando la fine della dinastia degli Assad in Siria, crede che il processo di transizione di Damasco sarà uguale a quello egiziano o tunisino? Assisteremo anche in Siria a un’ascesa politica delle formazioni religiose, che stupiscono l’Occidente?

Lo stupore occidentale è sistematico, avviene in maniera prevedibile. E’ accaduto con la vittoria del Fronte Islamico di Salvezza (Fis) in Algeria all’inizio degli anni Novanta, poi lo stesso stupore per le prime elezioni democratiche in Palestina, quando vinse Hamas, e adesso si stupiscono quando in Egitto o in Tunisia i Fratelli Musulmani guadagnano una presenza ragguardevole nei parlamenti. La democrazia vuol dire questo: una volta che si elimina il vincolo della dittatura e si da voce alle persone queste esprimono una fiducia verso coloro che hanno un’etica, una morale, un programma politico che è religioso perché di fronte a un vuoto di ideali quello confessionale diventa un punto di riferimento del discorso pubblico.

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