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23 Nov 2012

Il silenzio di Fatima
di Alberto Savioli

A due giorni dall’arresto di quattro giovani attiviste nel suq di Damasco mentre manifestavano pacificamente esponendo un drappo rosso con su scritto “Per il bene dell’essere umano siriano la società civile annuncia la fine di tutte le operazioni militari in Siria”, vale la pena ricordare una giovane donna, scomparsa nelle segrete celle del regime siriano e di cui si teme la morte sotto tortura.

Sempre più spesso nei media occidentali si parla di Siria solo per denunciare la crescente minaccia integralista. E il presidente Bashar al Assad si presenta e viene presentato come l’unica alternativa valida al cambiamento. Ecco perché in Italia e altrove non sentiremo parlare né di Fatima Saad (foto) né delle altre attiviste arrestate mercoledì 21 novembre 2012.

Fatima Saad, aveva solo 22 anni e lavorava come infermiera. Era conosciuta nei circoli della rivoluzione col nome di “Farah ar Rayes”. Gli attivisti usano pseudonimi per motivi di sicurezza.

Fatima è scomparsa lo scorso 28 giugno durante perquisizioni compiute dalle milizie lealiste nel quartiere di Qnainis, a Latakia. Quando sono arrivati nella sua casa, l’hanno portata via assieme al padre e al fratello, rilasciati però poche ore dopo.

Fatima è rimasta dentro, nella sede dell’Amn ad Dawla (la Sicurezza dello Stato), una delle quattro agenzie di controllo e repressione, comunemente note come mukhabarat. E’ stata trattenuta per una serie di interrogatori dopo che gli inquisitori avevano trovato sul suo cellulare alcune foto che la ritraevano assieme ad amici mentre esponevano la bandiera dell’indipendenza, il tricolore adottato dall’estate 2011 da chi invoca la caduta del regime.

L’Organizzazione siriana per la difesa dei diritti umani, che da più di dieci anni e grazie a una rete di attivisti e avvocati sul territorio documenta le violazioni commesse dal regime siriano, afferma che Fatima è stata ricoverata nell’ospedale militare di Latakia a causa del suo deterioramento fisico, dovuto probabilmente alle torture a cui è stata sottoposta. La stessa organizzazione ritiene che sia stata trasferita martedì 23 ottobre in una sede dellemukhabarat a Damasco. Di lei si sono perse le tracce. Nel silenzio generale. (23 novembre 2012).

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