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3 agosto 2012

Siria. Cyber city, l’incubo dei palestinesi in fuga
di Domenico Chirico da Amman

Sono sempre di più i palestinesi che cercano di fuggire dalla Siria, senza aver scelto da che parte stare. Da quando l’esercito ha circondato il campo di Yarmouk, il numero degli sfollati è drammaticamente aumentato. E molti finiscono nella Cyber city.

 Rami è un attivista di Yarmouk, quartiere palestinese di Damasco. "Sono cresciuto in Siria, sono anche siriano. Mi sono unito da subito alle proteste contro il regime. La situazione andava peggiorando, i miei genitori mi hanno mandato via".

Rabia è un insegnate, un ex militante di sinistra: "Ho partecipato alle prime proteste, ogni venerdì, poi sono stato arrestato tre volte. Prima che mi prendessero la quarta sono scappato”.

Sono sempre di più i palestinesi che cercano di fuggire dalla Siria negli ultimi mesi, la maggior parte sia chiaro non per motivi politici ma perché si trovano in mezzo ai combattimenti, senza aver scelto da che parte stare.

E da quando l’esercito siriano ha circondato il campo di Yarmouk a Damasco e ci sono stati almeno 4 morti e scontri, con 7000 sfollati dalle loro case, secondo l’ONU, i numeri sono drammaticamente aumentati.

Chi può fugge in Libano, ma finisce per rimanerci illegalmente nei campi palestinesi dove ci sono amici e parenti.

Chi invece ha cercato la via della Giordania ha subito un trattamento forse peggiore. In base alle legge i palestinesi siriani non possono entrare ed hanno bisogno di un visto.

Passano attraverso i buchi nelle reti che delimitano il confine, ma finiscono per essere espulsi immediatamente o portati nei centri per i rifugiati, tra cui il principale è quello di Cyber city.

Un nome inquietante per un caseggiato di appartamenti predisposto per 500 persone a pochi chilometri dal confine siriano.

Fino ad aprile per i palestinesi c’era la possibilità, come per tutti i rifugiati siriani, di uscire dal centro attraverso un garante di nazionalità giordana.

Poi le autorità hanno deciso che i palestinesi non potevano accedere al sistema dei garanti, anche se moltissimi di loro hanno legami familiari in Giordania.

Così Cyber city si è trasformata dal purgatorio all’inferno.

Al momento, secondo fonti locali, ospita 500 palestinesi, assistiti dalle Nazioni Unite e dalle autorità giordane, ma non hanno alcuna prospettiva di uscire e la loro unica possibilità è rientrare in Siria.

Testimoni raccontano di forti e continue tensioni interne al centro con diversi tentativi di fuga.

La solidarietà palestinese per fortuna è attiva: Kamal fa parte di una piccola organizzazione di palestinesi giordani che ogni sera porta i pasti per l’Iftar. Si cucina nei campi in Giordania e si porta il cibo ai fratelli, di fatto detenuti, a Cyber city.

La situazione è anche di forte depressione. Chi riesce a fuggire, se preso dalla polizia, pare venga immediatamente accompagnato in frontiera o riportato al centro.

E dire che i palestinesi in Siria hanno generalmente una vita dignitosa, con una forma di cittadinanza che gli riconosceva diritti quasi simili ai siriani.

Le organizzazioni umanitarie sono al lavoro tra mille difficoltà: l’Unrwa, che ha il mandato di proteggere i palestinesi, è cronicamente senza fondi. Le associazioni locali ed internazionali hanno pochissimi finanziamenti e cercano di rispondere come possono a tutte le emergenze che stanno esplodendo dalla crisi siriana.

Come accaduto molte altre volte, i paesi dell’Unione Europea si stanno preoccupando più di seguire gli sviluppi politici e militari della crisi siriana che i rifugiati. E si stanno preoccupando di chiudere le loro frontiere, con i greci che hanno triplicato la presenza al confine con la Turchia.

In verità la comunità internazionale e le agenzie Onu avrebbero la possibilità di influenzare le scelte dei governi arabi.

Agli iracheni fu garantita generosamente ospitalità in Giordania e negli altri paesi, grazie al sostegno europeo. Ai palestinesi iracheni, dopo lunghe sofferenze in dei campi infernali, è stato consegnato un visto per vari paesi europei ed americani.

Le soluzioni ci sarebbero e sono molto meno costose che allestire centri e campi di rifugiati. 

Ma i palestinesi sono gli ultimi a cui pensare, come sempre accade nelle crisi regionali in Medio Oriente.

E paradossalmente al momento, in Giordania, i palestinesi siriani sono più fortunati dei rifugiati siriani stessi. Per questi ultimi è stato allestito un mega-campo profughi nel deserto, con 45° all’ombra e sabbia e fango ovunque. Qui l'inferno è addirittura peggiore. 

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