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mercoledì 15 febbraio 2012 08:51


Siria: stampa o disinformazione?"
Quanto pesano gli ideologismi nel racconto di tragedie come quella siriana? Ne parlano; Saad Kiwan, Guido Moltedo, Eric Salerno, Lorenzo Declich, Alberto Stabile.


I drammatici fatti siriani ci hanno spinto nei giorni a cercare di avviare una discussione con colleghi e lettori pubblicando un nostro editoriale intitolato: "Compagni, a quando la riabilitazione di Pol Pot?" Vi scrivevamo che "senza nulla togliere alle orribili carneficine del regime siriano,vorremmo chiarire subito che non ci si può illudere che dall'altra parte ci siano solo convinti seguaci di Voltaire. E' bene ricordarlo, altrimenti si finisce col credere che basti schierarsi dalla parte delle vittime e tutto sarà risolto. E invece la storia ci insegna che non è così. In Libia ad esempio l'intervento a sostegno degli insorti contro Gheddafi ha prodotto colonialismo e nuovi guasti.. Ma non confondere le vittime con tutto il bene non vuol dire confondere le vittime con i carnefici, o il male con il bene. Non può voler dire difendere Gheddafi e Assad. Non può consentire di chiudere gli occhi davanti alla mattanza barbara che è in corso a Homs." Insomma, l'idea era quella di superare la ormai arcaica categoria di "giornalismo di destra" e giornalismo di sinistra", per chiedere quanto gli ideologismi impediscano di fare informazione su accadimenti sconvolgenti. E identificavamo "il problema" per chi si richiama alla sinistra nell'antiamericanismo pregiudiziale, un antiamericanismo che diviene bussola, tanto da superare la cronaca agghiacciante, anche al costo di ritrovarsi a non vedere orrori come quello di Homs e sostenere regimi dispotici come quello di Assad. E' così? Ecco i contributi che vi proponiamo.

Cominciamo da Saad Kiwan, già mediorientalista de "Il Manifesto", ora direttore della Samir Kassir Foundation di Beirut.

La lista di quelli da riabilitare sarebbe molto lunga! da Pol Pot a Saddam Hussein, da Pinochet a Vidal a Melosevic, Mladic. ecc. Qui da noi ci sono dittatori in divisa o in borghese che governano da decenni , arrestano, reprimono, e torturano i loro popoli, sfruttano e accumulano fortune da miliardi di dollari saccheggiando le ricchezze dei loro paesi. Tutto questo in nome del "far fronte all'imperialismo e al colonialismo, e al sionismo" nel nome degli arabi, ovviamente! E guarda caso, questi dittatori sono stati sostenuti, difesi e armati dall'ex Urss e dai paesi di quello che era il blocco comunista, sempre in nome dell'antimperialismo e dall'anticapitalismo, e in nome del "riscatto e dell'emancipazione politica e sociale dei popoli". Anche noi, o parecchi come me, credevamo allora a quegli slogan. E tra quei dittatori figura il "piccolo dittatore" siriano Bashar Assad, da quasi 12 anni al potere, che l'ha ereditato dal padre, il generale Hafez Assad, che ha governato la Siria per ben 30 anni dopo aver organizzato un golpe contro i suoi compagni del partito Baath (di matrice nazional-fascista, dichiarandosi pure socialista).
Quel padre che ha ordinato il massacro di oltre 20mila persone della città di Hama, nel 1982, oggi rischia di essere superato dal figlio Bashar che sta applicando la sua "cura riformista" mettendo nel "suo conto" oltre 10mila siriani uccisi, 1000 persone massacrate in una settimana sola a Homs, più di 400 bambini uccisi e oltre 20mila prigionieri e detenuti in campi di concentramento, insieme a decine di migliaia di scomparsi in undici mesi... Questo Bashar viene difeso a spada tratta dalla Russia di Putin, erede dell'Urss, per il quale ha già posto il veto al consiglio di sicurezza per ben due volte. Forse perche Mosca lo considera ancora giovane e quindi in grado di governare ancora per altri 30 anni, per opporsi all' "influenza americana e all'espansionismo sionista" nella regione, quando poi lo stesso Bashar e gli altri dittatori sono stati sempre tollerati, e qualcuno anche appoggiato, dagli Stati Uniti "imperialisti". Tutti costoro hanno sempre avuto con gli Usa rapporti continui, firmato accordi anche militari e di collaborazioni contro il terrorismo. Sono invece i popoli in rivolta, la "primavera araba", a cacciare i vari Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Ali Saleh e certamente quel cinico e sanguinario Assad.
Allora, a certa sinistra vetero-comunista oggi dico : basta con le ideologie, basta essere faziosi, miopi e fanatici, ma anche facilmente manipolati.



Guido Moltedo, prima americanista e condirettore de "Il Manifesto", poi capo redattore esteri di "Europa". Magari ci fosse ancora un'America in grado - non dico di determinare -di orientare il corso degli eventi in Medio Oriente e di influire sulla sorte di un paese di quell'area. Sarebbe tutto più semplice. Il vecchio schema risolverebbe tutti i dilemmi morali. No, non serve a nulla tirare in ballo Obama per quel che accade e potrà accadere a Damasco. Il che rende ancora più evidente e inoppugnabile quello che l'editoriale di Mda mette sotto la giusta e reale luce: è impossibile sostenere i despoti e torturatori (specie se si è di sinistra).

Questo il contributo di Eric Salerno, da molti anni analista mediorientale de "Il Messaggero", saggista. L'America, come dice Moltedo, non esiste più come una volta. Eppure il veto russo all'Onu e la reazione Usa riporta alla memoria gli anni della guerra fredda. Gli Usa distruggevano il Vietnam. I sovietici l'Afghanistan. Tutto in nome delle via giusta. Gli Assad, padre e figlio,sono sempre stati torturatori. E questo stava bene a tutti, illuminati e meno illuminati, in nome della stabilità regionale. Dobbiamo intervenire per difendere le vittime della repressione e per cambiare il regime senza però dimenticare che sta ai siriani e non a forze esterne (arabe o non) decidere il loro futuro. Quello che sta succedendo a Homs è orribile. Eppure, secondo gli stessi insorti, il numero delle vittime degli ultimi undici mesi è ancora inferiore a quello dichiarato all'inizio della rivolta di Bengasi per giustificare un intervento militare in Libia. Nessuna riabilitazione per i despoti ma cerchiamo di impedire a nuovi despoti vestiti da salvatori prendano il posto di quelli consumati dall'ingordigia e dal tempo.

Lorenzo Declich, arabista di fama, collaboratore di diverse testate, curatore del blog "tutto in trenta secondi"

E' difficile, in situazioni come queste, tenere dritta la barra della denuncia delle atrocità mentre si tenta di dare una lettura, per forza di cose complicata, degli eventi. In questi mesi ho provato a raccontare ciò che trovavo più importante, dalla strategia della repressione al ruolo dell'informazione, dall'uso della propaganda fino ad arrivare, appunto, all'internazionalizzazione del conflitto, con l'attivarsi dei diversi attori: Turchia, Iran, Russia, Cina, Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti e Gran Bretagna. E posso dire che la rivolta siriana è stata pressoché ignorata o negata fino a quando non si è internazionalizzata (una vittoria strategica di al-Asad, questa), con tutti i guasti del caso. Solo a quel punto i "brillanti analisti" (lasciando stare i veri e propri sgherri mediatici alla Thierry Meissan) hanno avuto in mano i loro tradizionali feticci da agitare (l'imperialismo è il primo fra questi). La "sindrome" è quella di doversi comunque schierare, guardando gli eventi "a occhi ben chiusi". La triste realtà è che in Siria come altrove nel mondo arabo i fautori delle rivolte, i legittimi intestatari di quel coraggio e di quella forza d'animo che ha sorpreso il mondo, sono oggi schiacciati fra repressione interna e interessi esterni. E in Siria, dove il tiranno non si fa scrupoli, questo significa una carneficina. Quanto alle soluzioni sono perfettamente d'accordo con quanto scrive Eric Salerno. 



Alberto Stabile, brillante corrispondente dal Medio Oriente de "La Repubblica".

Se è difficile raccontare i movimenti di un popolo, di una nazione in tempo di pace, figuriamoci quando questo stesso popolo, questa nazione rasentano o varcano la soglia della guerra civile. Voglio dire che la realtà di un conflitto in divenire non è mai quella che appare dai comunicati stampa e dai resoconti delle parti interessante, o per lo meno non è soltanto quella, ma c'è sempre qualcosa in più o in meno da scoprire, qualcosa che ha comunque influito sul nostro giudizio. Dico questo pensando all'atteggiamento altro che dogmatico, fanatico sarebbe il caso di dire, di certi interlocutori del mio Blog su Repubblica.it che hanno capito tutto della crisi siriana, chi l'ha provocata e come andrà a finire. Mentre io, sommessamente, ritengo che specialmente noi che abbiamo la fortuna di poter esprimere pubblicamente la nostra opinione, influenzandone altre, proprio per evitare le beatificazioni istantanee e le tardive riabilitazioni di cui è piena la storia del giornalismo italiano, dobbiamo sempre tener presente che nelle nostre valutazioni e persino nelle nostre ricostruzioni possiamo sbagliarci. Il che non vuol dire ignorare che Assad sia un despota al vertice di una dittatura ereditaria e che il popolo che da undici mesi gli si è rivoltato contro non sia vittima di una feroce repressione. Ma dopo undici mesi di violenza e di sangue, vuoi per l'incapacità di una parte a prevalere sull'altra, vuoi per l'interesse a internazionalizzare il conflitto di entrambe i contendenti, sia pure per opposte ragioni, la crisi siriana non racconta più soltanto la storia di un popolo che rivendica democrazia, libertà e dignità ad un potere autoritario che la libertà, la democrazia e la dignità umana della sua gente le ha scientificamente conculcate per oltre 40 anni. Il coro della tragedia siriana aspira a diventare protagonista. Due parole di Obama contro Asad fanno più notizia di cento morti a Homs. Un comunicato della altrimenti sonnacchiosa corona saudita, per fortuna ritrattato, scava una voragine sotto il parquet del Consiglio di Sicurezza. La Turchia minaccia a giorni alterni di imporre un corridoio umanitario sulla punta dei cannoni. Il senatore McCain vorrebbe armare l'opposizione in modo che possa sostenere il confronto sul piano militare con le forze lealiste. La Lega araba auspica di inviare una forza di "mantenimento della pace" (Terzi di Sant'Agata) laddove la pace non c'è. Ha torto la Russia ad obiettare che per "mantenere la pace" occorre almeno e prima un cessato il fuoco? Tutte proposte che in un modo o nell'altro presuppongono che la transizione della Siria alla democrazia passi per una soluzione militare del conflitto. Ma è questa io mi chiedo l'unica via?

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