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3 Settembre 2012

Siriani, siete soli!
di Elias Khury, al Quds al arabi.
Traduzione dall’arabo di Giacomo Longhi

Ghiyath Matar, il martire che a Daraya con un gesto che conferma la nobiltà della rivoluzione siriana aveva distribuito acqua e fiori ai soldati siriani, fu sequestrato dai servizi segreti il 6 settembre 2011 e restituito quattro giorni dopo alla sua famiglia come cadavere martoriato.

Ghiyath Matar piange oggi la sua città, Daraya, mentre vede più di trecento martiri assassinati dalla cieca macchina dell’esercito di Assad, malviventi e shabbiha che l’hanno devastata come i tartari, eliminando chiunque arrivasse sotto il tiro dei loro fucili.

Ma il regime, non contento di questo massacro disumano, ha rincarato la ferocia mandando un’inviata della tv Addounia, proprietà di Rami Makhlouf, a sgambettare con le telecamere tra i cadaveri ancora freschi di sangue per intervistare i feriti, tra cui una donna che sembrava sul punto di esalare l’ultimo respiro.

Due massacri: il primo espressione dell’ebbrezza di uccidere gratuitamente e della sete di sangue; il secondo, espressione di rancore, meschinità e oltraggio, voleva registrare voci e immagini dell’accaduto per terrorizzare le siriane e i siriani con la prospettiva di un destino simile a quello degli abitanti di Daraya, Baba Amro, Azaz e altri luoghi.

Il criminale non cancella le tracce del proprio crimine, ma ne va fiero davanti a tutti, convinto che il sostegno di Russia e Iran lo salverà dall’abisso, impedendo il compiersi della sua fine.

Ieri l’aguzzino Bashar ha superato il padre assassino, risolvendo il suo conflitto psicologico con la figura paterna, le cui effigi riempivano la Siria della fantomatica minaccia di una nuova Hama.

Domenica scorsa, mentre guardavo le immagini delle vittime di Daraya, mi sono ricordato di un incontro a Beirut, nella casa dell’arabista francese Michel Seurat, che fu ucciso dopo un sequestro. Era il 1981, Beirut stava vivendo attimi devastanti sotto l’invasione israeliana.

Quel giorno chiesi all’intellettuale siriano Elias Morcos, che veniva da Lattakia, com’era la situazione in Siria, da cui era giunta la notizia del massacro a Hama. Morcos non rispose direttamente, ma mi parlò di Gengis Khan. Quando mi mostrai sorpreso che Morcos, marxista-realista, si rifugiasse in una metafora, lui mi guardò: “Cosa vuoi che ti dica?”. Poi mi raccontò come gli uomini dei servizi segreti avevano fatto irruzione in un bar di Lattakia, dove stava prendendo il caffè, ordinando a tutti di mettersi in ginocchio.

Il dolore gli velava gli occhi con un’acqua che non assomigliava alle lacrime. Quest’uomo autorevole, che era stato un riferimento intellettuale per la nostra generazione e la cui condotta morale e politica era irreprensibile, si era ritrovato in ginocchio con gli altri.

Mi è venuto in mente Elias Morcos non perché lo umiliarono così come fecero con l’intero popolo siriano, ma perché invece che parlare del regime di Assad, o proprio per parlarne, era ricorso all’immagine dei mongoli che invadono il Levante arabo.

Sono i mongoli e con loro non esiste tregua, né sotto le querce – come scrisse una volta Mahmud Darwish – né nell’oscurità delle tombe.

Un sanguinario appetito domina la macchina del regime, che ha perduto ogni legittimità e potere. La menzogna del suo antimperialismo si è fatta evidente. Gli aerei MiG e Sukhoi non osarono mai alzarsi contro l’aviazione israeliana quando bombardò la Siria. La missione del regime nulla ha a che fare con l’antimperialismo e la resistenza, la sua reale missione è piegare in ginocchio e umiliare il popolo siriano.

I siriani sono soli davanti alla macchina della morte.

Tutto l’appoggio verbale di Stati Uniti e Europa è una falsa, ingannevole, cinica menzogna.

L’assordante silenzio del mondo di fronte alla macchina repressiva di Assad non è dovuto, come spesso si dice, al fatto che in Siria manca quel petrolio che tanto suscita appetiti di profitto e dominio da parte dell’Occidente, ma a Israele. La distruzione che il regime ha inflitto alla Siria, Israele non poteva neanche sognarla. Quando il regime cadrà, e sarà inevitabile, le siriane e i siriani avranno davanti lunghi anni di ricostruzione.

Non credete alle analisi per cui la ragione del mancato sostegno all’Esercito libero è la paura degli stati arabi per i fondamentalisti islamici.

La ragione non è né la mancanza di petrolio né la paura per i fondamentalisti. I Paesi occidentali e in particolare l’Onu non temono l’Islam politico, con cui anzi stanno stringendo alleanze.

La sola ragione è rafforzare la componente razzista d’Israele, la cui insolenza e arroganza è arrivata al punto di accusare di razzismo il Sudafrica per aver deciso di applicare un’etichetta speciale alle merci prodotte nella Cisgiordania occupata.

Bashar Assad sta compiendo un’impresa per altri impossibile: distruggere la Siria e il suo tessuto sociale. Allora a che pro fornire armi e aiuti a chi ne vuole la caduta?

Sia che rimanga all’infinito, sia che i suoi alleati russi e iraniani danzino allegri al ritmo di bombe e massacri, Assad perderà il potere dopo aver distrutto il Paese da nord a sud. I suoi alleati saranno coperti di vergogna e odiati da tutti i siriani e gli arabi.

L’aguzzino di Damasco non è mai stato così indispensabile a Israele come adesso, dunque non aspettatevi nulla da chi si dichiara amico del popolo siriano.

Il popolo siriano è solo.

Solo difende la dignità dell’essere umano in tutto il mondo arabo. Solo, versando il proprio sangue, restituisce alla politica un significato umanitario e morale.

Cosa posso dire a te che sei solo?

La tua solitudine, fratello mio, si può paragonare solo a quella dei palestinesi, che si sono trovati soli davanti a ogni sanguinosa svolta intrapresa dalla ferocia israeliana. So bene, fratello, che le parole non frenano l’emorragia, non asciugano le lacrime, non consolano il cuore di una madre in lutto.

Ti dico che sei solo.

Ti dico che il tuo perseverare nella solitudine, la tua insistenza nel riappropriarti della dignità sommersa nel sangue dei tuoi figli, i tuoi sforzi nel difendere i resti delle case distrutte da cannoni e aerei, sono la strada che hai per sconfiggere in solitudine l’aguzzino che vorrebbe ancora una volta piegarti in ginocchio.

So che non ti piegherai. So che la tua missione, coronata dal sangue, vale oggi la nostra dignità umana. Io non ho altro che queste mie parole che si inchinano a tributo dei tuoi sacrifici e delle tue vittime.

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