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5 novembre 2013

Clima? Sarà un inferno
di Alberto Zoratti 

Un mondo più diviso e pericoloso, è il futuro che emerge da un documento, non ancora definitivo, preparato dal gruppo intergovernativo di scienziati che si occupano di clima. Più fame, meno acqua, più conflitti: è la conseguenza dell’inazione di governi e decisori politici, che si vedranno a Varsavia tra poco più di una settimana per una Conferenza delle Parti che dovrebbe essere il primo passo di un accordo globale sul clima.

Sarà un mondo più diviso, conflittuale, con intere aree del mondo destinate a trasformarsi in un inferno in terra. Con una sceneggiatura così Ridley Scott, regista di Blade Runner, ci andrebbe a nozze. Il problema è che quel copione esiste davvero, è stato diffuso benchésecretato ed è la bozza della “Summary for policymakers” del rapporto dell’Intergovernmental Panel of Climate Change, la piattaforma scientifica intergovernativa dell’Onu che studia cause ed effetti del cambiamento climatico. Nello specifico si tratta del lavoro del Gruppo 2 (il WG2) che si occupa di impatti, adattamento e vulnerabilità e che descrive un clima, e conseguentemente un mondo, in decisa trasformazione.

Se il cambiamento climatico è oramai una certezza, con il nuovo report che verrà pubblicato nel 2014 emergono una serie di tendenze preoccupanti che collegano impatti ambientali, economici e sociali. Stiamo parlando di un futuro in cui l’agricoltura cambierà radicalmente i propri pattern produttivi, con un aumento sensibile della produzione nelle alte latitudini, ma un crollo deciso e continuativo nelle zone tropicali e subtropicali.

“Senza politiche di adattamento” recita il testo, “gli aumenti locali di temperatura di oltre 1°C sopra i livelli preindustriali si presume avranno impatti negativi sui raccolti delle principali derrate (come mais, grano e riso) nelle zone tropicali e temperate”. La produzione agricola diminuirà fino al 2% ogni 10 anni, il tutto in un contesto che si prevede vedrà un aumento della richiesta di raccolti del 14% entro il 2050, quando la popolazione mondiale sarà passata dalle attuali 7 miliardi a quasi 9 miliardi di persone. Uno sbilanciamento che avrà ricadute anche sui mercati internazionali, con possibili aumenti dei prezzi delle derrate agricole. Un fenomeno che potrebbe richiedere la richiesta di maggiori terre da coltivare, consolidando un modello di produzione agricola industriale ed inquinante e mettendo a rischio zone di foresta per fare posto alle colture.

Tutto ciò mentre persino le acque superficiali saranno a rischio. “Ogni grado centigrado di aumento” sottolinea il report, “si prevede che diminuirà la disponibilità delle risorse idriche di almeno il 20% per un ulteriore 7% della popolazione mondiale”. Un disastro umanitario che colpirà le zone subtropicali, ma anche le zone costiere che, minacciate dall’aumento del livello degli oceani e dall’erosione, vedono a rischio di salinizzazione le falde acquifere da cui dipendono.

Insicurezza alimentare, diminuzione dell’accesso all’acqua, desertificazione ed aumento della povertà con una forbice sempre più drammatica tra privilegiati e dannati della Terra. Il cambiamento climatico aumenterà indirettamente il rischio di conflitti sottoforma di guerre civili, di guerre interetniche e di sommosse popolari soprattutto nei Paesi più poveri.

Un futuro che potrà essere solo parzialmente evitato se verranno messe in campo politiche serie di mitigazione delle emissioni e soprattutto di adattamento, per il quale sono stati stimati costi tra i 70 ed i 100 miliardi di dollari all’anno dal 2010 al 2050. Cifre spropositate se confrontate con la reale volontà politica da parte dei Paesi responsabili.

Questo documento “leaked” e le sue grigie prospettive viene pubblicato da un blog statunitense a poco meno di un mese dalla 19 Conferenza delle Parti Onu sul clima che si aprirà a Varsavia l’11 novembre, prima tappa del negoziato che porterà a Parigi nel 2015 alla firma dell’accordo globale post-Kyoto. L’anno del nuovo regime di lotta al cambiamento climatico, volontario e non più vincolante come fu la filosofia ispiratrice di Kyoto, dovrà essere anche quello del picco massimo di emissioni di CO2 e del suo conseguente decremento. E tutto questo nonostante l’ultimo report della Netherlands Environment Assessment Agency indichi un nuovo record raggiunto nel 2012 con 34,5 miliardi di tonnellate di CO2 emesse.

 


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