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giovedì 7 febbraio 2013 17:53

Italia, Paese cementificato
di Luca Scarnati



Legambiente fa il punto della situazione sul rischio idrogeologico in Italia, un paese sempre più cementificato e meno in sicurezza

L'Italia è un paese a forte rischio idrogeologico. Forse questa non è una novità, ma Legambiente convoca a Roma la Conferenza nazionale sul rischio idrogeologico per fare il punto della situazione.

È noto che il nostro paese per caratteristiche climatiche e geomorfologiche ha una notevole predisposizione al dissesto, ossia frane e alluvioni per capirci, ma è anche vero che dai dati che vengono fuori dalla Conferenza anche gli italiani fanno la loro parte. Salta agli occhi infatti come gli eventi meteorologici hanno cominciato a colpire e a causare danni anche in territori apparentemente non a rischio: nello scorso autunno alcune zone dell'Italia, vedi la maremma toscana, sono state colpite da alluvioni che hanno causato vittime e danni ingenti, nonostante si trattasse di aree considerate sicure dal punto di vista idrogeologico. Se il 10% del territorio italiano era considerata a forte rischio, con ben 6 milioni di persone che vivono in zone potenzialmente pericolose, queste cifre sembrano destinate ad aumentare inesorabilmente.



Tra le cause sicuramente il Global Climate Change, i cambiamenti climatici a livello mondiale, che a livello locale portano nel nostro paese ad una variazione del regime delle precipitazioni, con un aumentare di fenomeni meteorici particolarmente intensi e concentrati localmente. Ma se è vero che la causa sono le attività umane, di certo non possiamo ricondurle solo a quelle di casa nostra, sebbene anche noi si faccia la nostra parte. La nostra maggiore responsabilità è infatti il consumo di suolo, secondo Coldiretti il solo il consumo annuo di terreno agricolo è di 100 ettari al giorno e in quarant'anni se ne sono persi 3 milioni di ettari. Una prerogativa tutta italiana tra i paesi dell'Unione Europea, che per altro ha messo a rischio l'autonomia alimentare dell'Italia per molti prodotti agricoli. Secondo il recentissimo rapporto dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in generale negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di 8 metri quadrati al secondo e la serie storica dimostra che si tratta di un processo che dal 1956 non conosce battute d'arresto, ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze.



Il consumo di suolo consiste nella trasformazione di suoli agricoli, forestali o comunque naturali, in suoli coperti da abitazioni o infrastrutture, in modo praticamente irreversibile. In sostanza la cementificazione del territorio. Questo ne altera le caratteristiche di permeabilità, alterando il naturale ciclo dell'acqua. Il suolo diviene impermeabile e non assorbe più le acque meteoriche, le quali si concentrano su superfici artificiali lisce, acquistando velocità e divenendo pericolose masse d'acqua.



Le cause dell'appropriazione indebita del territorio da parte del cemento è sicuramente da ricercare nel cattivo governo del territorio, che sfocia in una diffusa illegalità, con 260.000 costruzioni abusive negli ultimi 10 anni secondo i dati di Legambiente. A questo fa buon gioco una normativa paradossalmente troppo vasta, spesso poco chiara se non contraddittoria e comunque non applicata in modo efficiente. Enti e autorità a livello centrale e locale che si sovrappongono e non si coordinano, tanto da rendere spesso difficile capire chi deve fare cosa. Istituzioni che fino ad ora poco hanno fatto per la pianificazione e la messa in sicurezza, operando per lo più nella logica dell'emergenza. Inutile dire che i costi dell'emergenza, il ripristino a danno già fatto, sono estremamente superiori a quelli di una eventuale prevenzione. Per non parlare dei costi in vite umane: tornando indietro nel tempo troviamo un lungo elenco di vittime, dai quasi 2000 morti del Vajont nel 1963 ai 13 morti della Versilia nel 1996, passando per Sarno 1998, con 159 vittime, ed arrivando ai 36 morti di Messina nel 2009 o ai 18 morti della Liguria del 2011.



E il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ci tiene a sottolineare come gli eventi climatici estremi siano in aumento, e ricadano su un sistema di difesa del territorio pensato per eventi di ben minore entità, soprattutto realizzato mediante un approccio esclusivamente infrastrutturale, quindi paradossalmente proprio attraverso la cementificazione, non assecondando le dinamiche naturali dei corsi d'acqua, ma canalizzandoli e imbrigliandoli in argini artificiali. È necessario invece ripristinare le dinamiche naturali, dando spazio ai fiumi e alla loro possibilità di esondazione in apposite aree, mitigandone l'effetto devastante. Nonché favorire la manutenzione ordinaria del territorio, ridando centralità alle politiche agricole e forestali che evitano l'abbandono del territorio da parte delle popolazioni. Così che chi rimane ne diventi custode.



"L'Italia ha recentemente ricevuto un richiamo dalla Commissione Europea in merito all'applicazione della Direttiva Alluvioni (60 /2007/CE). Sinceramente non siamo stati in grado di dare una risposta" continua il ministro. "Ora - spiega - è indispensabile si proceda su scala nazionale a una valutazione della vulnerabilità e ad individuare le misure di salvaguardia necessaria." E le risorse? Ci sarebbero, il Ministero ha presentato al CIPE delle forme di finanziamento che passano tra l'altro attraverso incentivi fiscali e prestiti agevolati alle imprese che si impegneranno nella messa in sicurezza e nelle opere di manutenzione. Si spera solo che chi in campagna elettorale ha cominciato a promettere condoni fiscali non passi ai condoni edilizi, e che anche con il nuovo governo questi buoni propositi continuino per la loro strada e si trasformino in realtà.

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