http://scienza.panorama.it  
11-11-2013

Clima: una rivoluzione ci salverà?
di Marta Buonadonna

Secondo la scrittrice Naomi Klein la ricerca del profitto a ogni costo è quella che ci ha impedito di mitigare le emissioni in passato e che rende adesso necessario un cambiamento radicale della politica economica

Cosa ci sta dicendo il tifone Haiyan che ha colpito le Filippine causando, secondo un primo bilancio probabilmente destinato ad essere molto provvisorio, almeno 10.000 morti? Se ascoltiamo bene il suo boato, osserviamo attentamente la sua violenza e ci fermiamo un momento a considerare la portata delle sue conseguenze, forse ci accorgeremo che ciò che questo mostro ci sta suggerendo con il suo rombo mortale è di fare la rivoluzione.

Questo almeno è ciò che sostiene in un interessante articolo  apparso sul New Statesman, una sorta di prossimamente per un libro e forse un film che arriveranno, Naomi Klein, giornalista, scrittrice e attivista canadese, già autrice di due bestseller, No logo e Shock economy. La teoria della Klein, che questa volta rivolge la propria attenzione ai cambiamenti climatici, è che gli scienziati del clima, lungi dal fornire dati allarmanti, ci stiano e si stiano raccontando una grossa bugia quando lasciano intendere che ci sia ancora una speranza di mantenere l'aumento delle temperature sotto la soglia dei 2 °C.

La verità la ammette qualcuno di loro ed è la seguente: a meno di cambiamenti radicali nel modo in cui la popolazione mondiale vive, alimenta le proprie fabbriche, gestisce le proprie attività e nelle priorità che il nostro sistema economico si prefigge, non c'è modo di evitare il peggio. Il business as usual equivale a un suicidio su scala globale, ma anche limare al ribasso le emissioni, con qualche turbina in più e qualche centrale a carbone in meno, magari affidandosi a qualche trovata geoingegneristica per intrappolare un po' della CO2 prodotta se non riusciamo proprio a evitare di emetterne sempre di più, non ci salverà.

Che cosa propone allora Klein? Citando una serie di autorevolissimi scienziati, glaciologi, climatologi, esperti in tema di mitigazione, che guarda caso sono quasi tutti anche attivisti, ne riassume il messaggio dirompente. Si è perso talmente tanto tempo nello stallo politico del decidere di non decidere, e nel frattempo i consumi globali sono aumentati così tanto, e con essi le emissioni, che oggi se volessimo davvero dare la sterzata necessaria a salvarci dal peggio dovremmo affrontare tagli così significativi alle emissioni da mettere in discussione la logica fondamentale che governa le nostre economie capitalistiche: la crescita del PIL come priorità assoluta.

Kevin Anderson e Alice Bows, due super-esperti del Tyndall Centre for Climate Change Research, uno degli istituti di ricerca britannici di primissimo piano, sostengono che il target di mitigazione di lungo termine spesso citato, il famoso taglio dell'80 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto ai livelli del 1990, è stato scelto per motivi squisitamente politici ma non ha in realtà nessuna base scientifica. I cambiamenti del clima che ci apprestiamo ad affrontare, infatti, dipendono quasi esclusivamente da ciò che abbiamo già emesso, e ponendoci vaghi obiettivi di contenimento alle emissioni lontani decenni, invece che tagli drastici e immediati, c'è il rischio concreto che permetteremo alle nostre emissioni di continuare a crescere negli anni a venire, raggiungendo così rapidamente il punto di non ritorno.

La dura verità, quella che la maggior parte degli scienziati che a noi suonano così allarmati ed allarmisti, non ha in realtà il coraggio di raccontare a chiare lettere, è che per avere almeno una possibilità su due di non superare i 2 °C (peraltro Haiyan dimostra che per il verificarsi di autentici cataclismi climatici non è nemmeno necessario raggiungere quella soglia) dovremmo cominciare a tagliare le emissioni globali del 10% all'anno. a partire da ora.

Neanche la crisi economica che da Wall Street ha investito il resto del mondo a partire da 2008 ha permesso di centrare questo obiettivo: le emissioni sono calate del 7% dal 2008 al 2009 solo per tornare a salire nell'anno immediatamente successivo, anche grazie alla crescita economica senza freni di Cina e India. Occorre quindi, secondo Klein, che sempre più scienziati trovino il coraggio per dire forte e chiaro che se non vogliamo mettere a repentaglio l'ecosistema terrestre e l'intera specie umana, sarà il caso di rassegnarsi a cambiare priorità.

In un mondo di risorse limitate, con una popolazione che continua ad aumentare a ritmi insostenibili, e con una grossa fetta dei suoi abitanti che cominciano finalmente a uscire dalla povertà, e quindi a produrre di più, consumare di più e di conseguenza emettere di più, la rivoluzione verde che Klein intravede come unica via di uscita ha poco a vedere con una Green Economy all'acqua di rose e molto con un cambiamento epocale di paradigma.

Se avessimo agito prima forse avremmo potuto limare un po' alla volta le emissioni, dare impulso alle fonti energetiche alternative e quindi ritrovarci con una concentrazione di CO2 in atmosfera più bassa delle 400 parti per milione che abbiamo da poco superato e che rappresentano la nostra condanna. Ma abbiamo preferito continuare a estrarre petrolio, anche dove era pericoloso e difficile farlo, pur di non cambiare di una virgola le nostre abitudini, di non intaccare i privilegi. Ed è per questo che oggi, scrive Klein citando Kevin Anderson, "dopo due decenni di bluff e bugie" lo spiraglio che ci separa da dal fatidico aumento di 2 °C è talmente sottile da richiedere "un cambiamento rivoluzionario nell'egemonia politica ed economica".

La ricerca del profitto e della crescita a tutti i costi sta destabilizzando la vita sulla Terra e questo, dice Klein, non è più qualcosa che abbiamo bisogno di apprendere dalle riviste scientifiche, ne abbiamo già gli effetti sotto gli occhi. Qualcuno dovrebbe invitare i governanti che si riuniscono oggi a Varsavia sotto l'egida dell'Onu a spalancare i loro, prima che sia davvero troppo tardi.

top