Recensione di Green Governance: Ecological Survival, Human Rights and the Law of the Commons [Amministrazione Verde: sopravvivenza ecologica, diritti umani e normativa dei beni comuni) di Burns H. Weston e David Boiler, Cambridge University Press, 2013.


http://znetitaly.altervista.org
24 luglio 2013

Sopravvivere in comune
di Jeremy Brecher
Traduzione di Giuseppe Volpe

La famigerata “tragedia dei beni comuni”, in cui la proprietà condivisa tenta inevitabilmente gli individui a sovrautilizzare le risorse al punto da distruggerle, è la trita tesi a favore della superiorità della proprietà privata e degli scambi di mercato rispetto alla proprietà detenuta in comune. Green Governance, di Burns H. Weston e David Boiler, sostiene coraggiosamente che, al contrario, l’antica istituzione dei beni comuni può aiutarci a contrastare la “tragedia del mercato”, il modo in cui lo sfrenato perseguimento dell’accumulazione privata sta violando i diritti umani e distruggendo il nostro ambiente.

I dibattiti sui beni comuni si sono moltiplicati col divenire sempre più evidente dei fallimenti dello stato e del mercato. Ma cosa sono i beni comuni e cosa li rende diversi dai mercati e dagli stati?

I mercati, gli stati e i beni comuni sono tutti modi per coordinare l’attività di individui diversi. [1] In un sistema di mercato la ricchezza creata dalla natura e dal lavoro passato e presente è detenuta come proprietà privata di singoli individui e imprese. Essi scambiano i loro prodotti sul mercato. Se tutti rendono massimo il loro profitto, si afferma che in conseguenza sarà reso massimo il profitto di tutti. Il coordinamento è decentrato e basato su una verifica dei risultati a posteriori.

In un sistema basato sull’autorità di imposizione, come lo stato, la ricchezza produttiva è di proprietà di un reggente individuale o collettivo. Il reggente formula un piano, assegna ruoli nella sua realizzazione e distribuisce il prodotto. Il coordinamento, in un sistema simile, è pianificato e centralizzato.

I beni comuni costituiscono un terzo tipo, spesso ignorato, di sistema di coordinamento che si riscontra in tutto il mondo e in molte ere diverse. Si basa su risorse condivise che non sono né di proprietà privata di individui separati né di proprietà di una singola entità pubblica. Piuttosto, i membri di una comunità di beni agiscono collettivamente da amministratori della gestione di risorse condivise, direttamente o delegando i propri diritti e le proprie responsabilità (xiv, xx, 125-129) [2]. I beni comuni sono regolati da quella che Weston e Bollier chiamano “legge vernacola”, accordi auto-organizzati sulla proprietà comune che sono di solito “norme, istituzioni e procedure non ufficiali che una comunità di pari concepisce per gestire le proprie risorse autonomamente (125). La comunità dei beni ha l’autorità e il dovere di assegnare diritti d’uso delle risorse di proprietà comune, di stabilire norme per il loro uso, di sanzionare le violazioni di tali norme e di amministrare fiduciariamente le risorse comuni per conto delle generazioni future [3].

I beni comuni, come istituzione, sono stati probabilmente onnipresenti nelle prime comunità umane. Il Codice di Giustiniano, del 535 dopo Cristo, definiva le “res communes”: “Per legge di natura queste cose sono comuni al genere umano: l’aria, l’acqua corrente, il mare e, conseguentemente, le rive del mare.” Il diritto di pescare in mare dalla riva “appartiene a tutti” (135). Il Codice di Giustiniano distingueva le “res communes” dalle “res publicae”, quelle che appartenevano allo stato. Nel 1217 il Re d’Inghilterra firmò la Carta della Foresta, che proteggeva il diritto dei cittadini comuni a far pascolare gli animali, alla pesca, al taglio dell’erba, al taglio degli alberi della foresta per l’utilizzo domestico e a cercare tra i residui nei campi dopo il raccolto [nell’originale, per le diverse attività, è riportato il termine usato nella Carta, in inglese antico, di cui non sono stato in grado di trovare corrispondenti adeguati – n.d.t.]. La Carta della Foresta seguì la famosa Magna Carta due anni dopo e fu presto incorporata in essa; restò in vigore per ottocento anni (138). I diritti sui beni comuni erano regolati dalla comunità; i documenti sui beni comuni sono pieni di regole come quella in base alla quale un contadino inglese del diciassettesimo secolo poteva tagliare la giuncaglia, ma solo tra Natale e la Candelora (139). Oggi si stimano in due miliardi le persone che usano le foreste, i banchi di pesca e altre risorse naturali comuni per la loro sussistenza (160).

I beni comuni si basano sulla verità, spesso ignorata, che la “proprietà” non è qualcosa di singolo e unitari, bensì piuttosto quello cui i moderni legali della proprietà si riferiscono come a un “insieme di diritti”.  Anche nel regime della proprietà privata, si può essere “proprietari” di un lotto di terreno ma ci sono molti diritti relativi a quel lotto di terreno, molti dei quali il “proprietario” può non controllare. Le amministrazioni locali, regionali e statali hanno diritto a tassarlo; i vicini hanno diritto a far cessare i disturbi; enti locali e statali hanno diritto di stabilire quali sistemi idrici e settici debbano essere presenti e quale parte della proprietà sia edificabile; la polizia può entrare nella proprietà per ricercare un sospetto criminale.

In una comunità di beni l’”insieme dei diritti” sulla proprietà condivisa è distribuito attraverso regole negoziate complesse, elaborate nel tempo dai suoi membri. I “diritti d’uso” possono autorizzare una persona, una famiglia o una sotto-comunità definita a raccogliere legna da ardere o a usare un sentiero.  I “diritti d’usufrutto” possono autorizzare un singolo o una comunità nel suo insieme a condividere ciò che è prodotto. I “diritti ereditari” possono prevedere che alla morte di una particolare persona i suoi diritti d’uso tornino alla comunità, ma che i figli abbiano titolo ai beni comuni su un piano di parità con gli altri.

Molti economisti hanno trattato i beni comuni come un sistema economico destinato a fallire perché ciascun individuo avrebbe un incentivo a mettere nell’erba quante più papere e a pescare nell’oceano quanto più pesce possibile, depauperando così la risorsa. [4]. Le cose starebbero così se i singoli potessero servirsi a loro piacimento, senza regole o limiti, come in una riserva di beni comuni (CPR) senza un’amministrazione. Ma quando i sociologi hanno cominciato a studiare i beni comuni effettivamente esistenti nel mondo, hanno scoperto che in pratica funzionano attraverso un sistema di amministrazione con regole che preservano il patrimonio per uso futuro e anche per le generazioni future, cosa che i mercati non regolamentati spesso non fanno.

Nel 1990 la professoressa Elinor Ostrom, dell’università dell’Indiana, ha pubblicato il suo libro Governing the Commons [Regolamentazione dei beni comuni] in cui ha spiegato questa capacità apparentemente paradossale. Un bene comune efficiente è basato su una comunità di utenti che è in grado di occuparsi della sua gestione, o di controllarla. Ha confini, norme, regole, e sanzioni contro i violatori e gli approfittatori ben definite. Distribuisce l’accesso e i diritti d’uso. Consente accordi cooperativi elaborati dai membri nei limiti delle regole. Se le risorse di una comunità di beni sono troppo vaste o troppo sparpagliate per essere gestite faccia a faccia dalla comunità, ci sono spesso livelli multipli di amministrazione, in effetti un bene comune di livello superiore composto da beni comuni di livello inferiore. Tali beni comuni multilivello seguono il principio della “sussidiarietà”, in cui la partecipazione democratica è resa massima assumendo le decisioni al livello praticabile più basso (146-150). Nel 2009 la Ostrom ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia per la sua opera.

Nel frattempo c’è stata una reinvenzione dei beni comuni a fini moderni. Le amministrazioni fiduciarie fondiarie che detengono beni a vantaggio del pubblico o a fini distinti dagli interessi dei fiduciari che le amministrano, sono beni comuni. In effetti i loro fiduciari sono tenuti al dovere di servire gli interessi e gli scopi della comunità fiduciante e non i propri. La prima amministrazione fiduciaria fondiaria moderna, i Fiduciari delle Riserve, fu creata nel 1891 come organizzazione non a fini di lucro, dedita a preservare luoghi naturali e storici nel Massachusetts. Tali organizzazioni si sono moltiplicate negli ultimi venticinque anni, con più di 1.500 amministrazioni fiduciarie fondiarie negli Stati Uniti che amministrano più di dieci milioni di acri (più di 40.000 chilometri quadrati). Si basano su regole studiate per proteggere il patrimonio storico e naturale e per consentirvi l’accesso del pubblico in modi coerenti con la sua conservazione a lungo termine.

Le amministrazioni fiduciarie fondiarie di comunità applicano lo stesso concetto, anziché alla conservazione, allo sviluppo abitativo e ad altre finalità sociali. I terreni sono di proprietà di una fiduciaria fondiaria con lo scopo pubblico di fornire abitazioni permanentemente a buon mercato. L’abitazione è costruita o acquistata da singoli o cooperative ma il terreno resta di proprietà della fiduciaria. I residenti normalmente acquisiscono diritti limitati sulla loro casa. Possono venderla o trasferirla rispettando varie restrizioni, ma il terreno resta di proprietà della fiduciaria. Il risultato è che il prezzo della casa per il nuovo acquirente è isolato dai capricci del mercato immobiliare. Ci sono più di cento fiduciarie fondiarie comunitarie di questo tipo in più di 30 stati [5].

Un’altra ondata di beni comuni è emersa con Internet. Nel 1986 la Free Software Foundation ha sviluppato la Licenza Pubblica Generale (General Public License – GPL), una licenza rilasciata in base alla legge sul diritto d’autore che prevede che il codice software designato non possa essere acquisito come proprietà privata e possa essere per sempre copiato, utilizzato e modificato da chiunque, creando così una proprietà comune di tutti. L’idea è stata estesa a ogni genere di proprietà intellettuale da Creative Commons (CC), un’organizzazione non a fini di lucro che offre una gamma di licenze libere e standardizzate che consentono ai detentori del diritto d’autore di stabilire come il loro lavoro può essere copiato, modificato e condiviso. Si stime che esistano oggi quattrocento milioni di creazioni disponibili in rete sotto licenza Creative Commons. Wikipedia e Linux sono monumenti ai nuovi beni comuni di Internet.

Weston e Boiler sono profondamente preoccupati del fatto che “l’economia del libero mercato” ha fatto sorgere “un apparato legale e un sistema politico che pongono la sovranità territoriale e l’accumulazione materiale sopra la protezione condivisa dell’ambiente naturale” (xix). Il risultato è la distruzione dell’ambiente naturale alla ricerca del massimo profitto privato e la conseguente violazione del diritto umano a un ambiente vivibile oggi e per le generazioni future. Questo risultato può essere costatato nell’incapacità di quella che chiamano la simbiosi “stato/mercato” incorporata nei principi neoliberali di fermare gli effetti devastanti del cambiamento climatico e altri disastri ecologici globali.

Gli autori sostengono che un settore dei Commons in espansione può offrire un’alternativa sia allo stato, sia al mercato. Metterebbe a disposizione un’amministrazione basata sulla “legge vernacolare” dedita all’uso equo e sostenibile delle risorse, quella che chiamano “amministrazione verde”. In luogo di proprietari privati liberi di fare con la loro proprietà cose che danneggiano la comunità più vasta e l’ambiente, o di autorità governative che impongono regole rigide e spesso ordini arbitrari, i principi dei diritti umani e della sostenibilità ambientale sarebbero incorporati nelle norme fondamentali che regolano i beni comuni e sarebbero applicate da persone che hanno un interesse diretto alla loro protezione.

Weston e Bollier sono lontani dal proporre che i beni comuni sostituiscano il mercato o lo stato. Piuttosto essi promuovono l’adozione, da parte del governo, di politiche create per incentivare la creazione e la crescita di beni comuni. I governi possono dare autorità e offrire incentivi ai beni comuni in modo molto simile a quanto hanno fatto nei confronti delle imprese negli ultimi due secoli.

Ove del caso, i governi possono addirittura agire da fiduciari dei beni comuni, proteggendo i loro diritti e consentendo loro di sviluppare i propri accordi vernacolari. Nel Nuovo Messico, ad esempio, la legge statale approva un sistema comunitario di irrigazione noto come acequias, che per secoli ha protetto e distribuito le scarse risorse idriche (159). (Sfortunatamente i governi hanno più frequentemente rubato i patrimoni dei beni comuni, come è avvenuto con la famigerata distruzione degli ejidos messicani, in forza del NAFTA.)

Dalla protezione delle “res communes” nel Codice di Giustiniano, i governi hanno a lungo operato da fiduciari dei diritti detenuti in comune (136). Nella legge statunitense questo ruolo è definito dalla “dottrina della pubblica fede”, in base alla quale lo stato opera da fiduciario pubblico nell’interesse delle generazioni attuali e future di tutti o di un gruppo particolare. Come spiegano Weston e Bollier “il pubblico non organizzato ha interessi sovrani di proprietà, superiori a quelli dello stato stesso”. Anche se è lo stato a detenere la titolarità, il “proprietario beneficiario” è il pubblico. Da fiduciario lo stato deve esercitare “il più elevato dovere di cura”, in cui è incluso garantire che la proprietà comune non sia venduta o trasferita a terzi (239).

La legge internazionale riconosce ambiti di risorse e aree geografiche che sono al di fuori della portata politica di qualsiasi stato nazione, specificamente l’alto mare, l’atmosfera, l’Antartide, e lo spazio esterno. Sono riconosciuti come “beni comuni globali”, retti dal principio di essere “l’eredità comune dell’intera umanità” [6]. Ma non vi è stato alcun mezzo efficace per affermare il nostro diritto a non vedere distrutto il nostro ambiente comune.

Recentemente, tuttavia, l’Atmospheric Trust Litigation Project [Progetto per il contenzioso sulla gestione fiduciaria dell’atmosfera] ha intentato causa nell’interesse dei giovani in tutti i cinquanta stati USA per esigere che le amministrazioni statale e il governo federale adempiano i loro obblighi di proteggere l’atmosfera come proprietà comune [7]. La causa sostiene che l’atmosfera appartiene in comune a tutti, della generazione attuale e di quelle future. I governi operano da loro fiduciari ma non sono loro i proprietari dell’atmosfera. Le cause perseguono una sentenza dichiarativa del diritto che applichi la dottrina della pubblica fede all’atmosfera terrestre e chiedono ai tribunali di emettere ingiunzioni che ordinino ai governi statali e a quello federale di ridurre le emissioni di carbonio per adempiere il loro dovere di proteggerla [240]. Cause simili sono progettate in paesi di tutto il mondo. Nel 2012 una corte distrettuale federale ha ordinato che una causa intentata in Nuovo Messico proceda. Le dichiarazioni di apertura sono state formulate il 26 giugno 2013 [8].

Una quartina dell’epoca del “sequestro” privato dei beni comuni inglesi proclamava:

“La legge condanna chi, uomo o donna,

rubi l’oca dalla proprietà comune

ma lascia libero il delinquente ben maggiore

che deruba l’oca della proprietà comune.”

Dalla resistenza al sequestro dei beni comuni inglesi alle lotte dei popoli indigeni di tutto il mondo per preservare i loro diritti dal saccheggio coloniale e industriale, il popolo ha lottato per proteggere i propri beni comuni, anche quando ciò ha significato disobbedire allo sceriffo, al poliziotto o a chiunque altro potesse illegittimamente pretendere di rappresentare la legge. Green Governance offre un tesoro d’informazioni e d’idee per capire i fondamenti legali e storici dei beni comuni, i diritti e le responsabilità dei partecipanti e il ruolo che potrebbero svolgere nella nostra futura economia politica.

Note

[1] Sul sistema economico come mezzo di coordinamento vedere Charles LIndblom, Politics and Markets [Politica e mercati] (New York, Basic Books, 1997). A proposito della tripartizione stato/mercato/rete, vedere Margaret E. Keck e Kathryn Sikkink, Activists beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics [Attivisti senza frontiere: reti di sostegno nella politica internazionale] (Ithaca, Cornell University Press, 1988). L’amministrazione dei beni comuni è una forma di coordinamento di rete basata su diritti di proprietà comune su una risorsa.

[2] I numeri tra parentesi si riferiscono ai numeri di pagina di Green Governance.

[3] I beni comuni sono prevalentemente utilizzati per gestire quelle che gli economisti chiamano risorse di riserva comune (CPR) a proposito delle quali è difficile o costoso impedirne l’uso da parte di altri e che perciò sono difficili da trattare come proprietà privata. Le CPR sono probabilmente buone candidate a essere amministrate come beni comuni, ma molte CPR non sono gestite come beni comuni e i principi dei beni comuni possono essere applicati a risorse che non sono CPR (125).

[4] Altri problemi che sono emersi riguardo ai beni comuni sono il dominio da parte della gerontocrazia o delle cricche; la servile aderenza ai costumi, compresi costumi che incorporano pratiche sessiste o altrimenti ingiuste; conflitti ingestibili; perseguimento di interessi di gruppo da parte di appartenenti ai beni comuni contro interessi sociali e ambientali più vasti e vulnerabilità ai tentativi di “demutualizzazione” per impossessarsi di valore accumulato a fini di profitto individuale.

[5] Anche le cooperative implicano una proprietà condivisa in capo a un collettivo e amministrata secondo regole formulate collettivamente. Per casi di studio sulle fiduciarie fondiarie comunitarie e sulle cooperative vedere Jeremy Brecher, Banded Together: Economic Democratization in the Brass Valley [Uniti insieme: Democratizzazione economica nella Brass Valley] (Urbana, IL: University of Illinois Press, 2011). La politica pubblica può appoggiare l’accumulazione di proprietà comune da parte delle cooperative, come nel caso delle leggi italiane che regolano le “riserve indivisibili” delle cooperative. Vedere David Thompson, “Building the Future” “Cooperative Grocer Network” [Costruire il futuro: rete dei negozi cooperativi di alimentari] (novembre-dicembre 2005) http://www.cooperativegrocer.coop/articles/2009-01-21/building-future

[6] Programma Ambientale delle Nazioni Unite, Divisione delle leggi e convenzioni ambientali “Governance ambientale internazionale dei beni comuni: storia”:  http://www.unep.org/delc/GlobalCommons/tabid/54404/Default.aspx

[7] Per altro sul Progetto per il contenzioso sulla gestione fiduciaria dell’atmosfera, vedere il sito web dei giovani querelanti http://www.imatteryouth.org/#!the-courts/c1354

Per i precedenti legali vedere Mary Christina Wood “Dottrina della pubblica fede nel mondo” http://llm.uoregon.edu/assets/facultydocs/mwood/atlacrosstheworld.pdf  e il suo imminente libreo Nature’s Trust [Amministrazione fiduciaria della Natura]. Il progetto del contenzioso si trova all’indirizzo  http://ourchildrenstrust.org/US/LawsuitStates  Il progetto è coordinato dal Our Children Trust  http://www.ourchildrenstrust.org

[8] Julie Cart, “U.S.’s First Atmospheric Trust Litigation Case to Begin in New Mexico,” [La prima causa statunitense sull’amministrazione fiduciaria dell’atmosfera sta per iniziare in Nuovo Messico] Los Angeles Times, 25 giugno 2013.

 


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  http://www.zcommunications.org/survival-in-common-by-jeremy-brecher

 

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