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26 dicembre 2013

2013: valutazione del conflitto in Siria e in Egitto – La guerra continua
di Ramzy Baroud
Traduzione di Maria Chiara Starace

Come si prevedeva, il 2013 è stato un anno terribile per diverse nazioni arabe. E’ stato terribile perché la promessa di maggiori  libertà e di riforme politiche è stata capovolta,  in maniera violentissima in alcuni casi, portando alcune nazioni lungo il sentiero dell’anarchia e del caos completo. La Siria e l’Egitto sono due esempi tipici. La Siria è stata quella colpita più duramente. Per mesi le Nazioni Unite hanno sostenuto che nei 33 mesi di conflitto sono state uccise oltre 100.000 persone.  Più di recente, l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani, favorevole all’opposizione, ha concluso che le persone uccise sono state almeno 125.835, più di un terzo delle quali sono civili. L’Agenzia Umanitaria dell’ONU (OCHA) dice che milioni di siriani che  vivono in uno stato di   sofferenze perpetue, hanno bisogno di aiuto, e che questa cifra arriverà a 9,3 milioni per la fine del prossimo anno. Le cifre dell’OCHA cercano di prevedere le necessità di aiuti per il 2014. Tuttavia anche quella  stima riflette una previsione politica ugualmente nefasta. Attualmente ci sono 2,4 milioni di profughi siriani che vivono in Libano, in Giordania, in Turchia, in Iraq e in Egitto. La cifra probabilmente raddoppierà alla fine del prossimo anno. Considerando la radicalizzazione politica crescente tra i partiti coinvolti nel conflitto, e i loro sostenitori regionali e internazionali, c’è poca speranza che il conflitto andrà scemando nel prossimo futuro. Infatti il semplice racconto di un conflitto tra un governo centrale e un’opposizione non è più appropriato, dal momento che l’opposizione stessa è frammentata in molti partiti, alcuni con programmi religiosi estremisti. Anche il precedente discorso  che ha accompagnato il conflitto siriano, quello sulla libertà, delle democrazia, e simili, è di poca rilevanza, considerando il livello delle brutalità e i molteplici obiettivi dichiarati dalle varie forze combattenti. Per i siriani, però. è una situazione in cui tutti gli esiti sono sfavorevoli. I siriani coinvolti in questa guerra capiscono bene che un conflitto prolungato potrebbe significare che il paese è davanti al rischio di un crollo completo, e che  c’è in vista uno scenario come quello della Somalia o dell’Afghanistan. Poi pochi si preoccuperebbero  di ricordare i motivi originari del perché la guerra è iniziata, in primo luogo, dato che generazioni di rifugiati siriani sarebbero destinati a vivere con lo stesso destino senza fine che sperimentano i profughi palestinesi. C’è tuttavia un barlume di speranza. Lo storico patto firmato di recente tra l’Iran e altri sei paesi – Stati Uniti,  Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germani – potrebbe in realtà fare entrare almeno la possibilità di ricorrere al dialogo per risolvere la crisi in Siria. E’ vero, il patto era relativo al programma nucleare dell’Iran, ma dal momento che tutti questi paesi sono partecipanti attivi alla guerra siriana, con molta influenza sulle parti in lotta, il loro consenso sarebbe necessario perché un futuro dialogo tra Damasco e l’opposizione dia dei frutti. Continuerà, comunque, ad affiorare una domanda: anche se l’opposizione laica siriana acconsentirà a un futuro accordo con l’attuale regime di Bashar al-Assad, questo avrà qualche rilevanza su altre forze estremiste che combattono per la loro causa? Anche in base alle valutazioni più ottimistiche, il conflitto è probabile che venga deciso nel 2014. La stessa valutazione è rilevante anche nel caso dell’Egitto. Nel 2013 il conflitto egiziano ha assunto una dimensione diversa, sebbene la maggior parte dei media ( arabi e internazionali) sono così saturi di mezze verità e/o di cattiva informazione intenzionale. E’ quasi impossibile raggiungere una comprensione equilibrato di ciò trapela nel paese arabo più popoloso. Un’ importante ragione che sta dietro la confusione, è che i servizi sulla rivoluzione del 25 gennaio 2011 erano ultra  sentimentali e semplificati. Per alcuni aspetti, continua lo scenario dei cattivi contro i buoni per definire il tumulto egiziano. I media egiziani sono un esempio primario di questo. Fino dalla protesta ben orchestrata del 29 giugno, seguita dal golpe militare del 3 luglio, alcune forze laiche affiliate alla rivoluzione, si sono allineate in  appoggio proprio delle forze affiliate al regime del deposto Mubarak. Entrambe le fazioni erano unite in opposizione a un governo affiliato con la Fratellanza Musulmana (MB) – essa stessa affiliata alla rivoluzione. La cosa diventa ancora più intricata dal momento che il partito islamico salafita  al-Nour, non ha alcun problema a stare dalla parte dei militari, in appoggio alla sua costituzione stilata di recente, sebbene fosse al-Nour che infaticabilmente faceva pressioni per una costituzione  preparata sotto la guida del deposto presidente Mohammed Morsi. E’ stato quel tipo di pressione che ha fatto uscire molti partiti laici dal comitato che aveva tentato  di elaborare una precedente costituzione, lasciando isolata la Fratellanza Musulmana. Al-Nour e i partiti laici sono ora nello stesso campo politico. La ‘politica sporca’ non inizia neanche a descrivere ciò che è successo all’Egitto, perché la dimensione violenta di questa politica è sconosciuta nella moderna storia del paese. Circa 20.000 egiziani sono ora condannati o devono affrontare un processo per  aver fatto parte del  o sostenuto il campo politico ‘sbagliato’. Il governo appoggiato dai militari sta ora sventnando “un attacco violento” liberando coloro che erano affiliati al regime di Mubarak e imprigionando coloro che erano affiliati con la Fratellanza Musulmana. Il 21 dicembre, il presidente deposto, Morsi, è stato rinviato dai  pubblici ministeri egiziani  a un terzo processo penale, con “accuse di aver organizzato evasioni dalle carceri durante l’insurrezione del 2011, di aver diffuso il caos e di aver rapito dei poliziotti in collaborazione con militanti stranieri,” ha riferito l’agenzia di stampa Associated Press. L’avvocato della Fratellanza, Mohamed el-Damati ha descritto lo scopo di tutto questo come un tentativo di  annientare ogni singolo risultato della rivoluzione di gennaio. “Stanno passando con  una gomma sulla rivoluzione del 25 gennaio 2011,” ha detto.  Ma avranno successo? Mentre le forze armate godono di una grande influenza su ogni aspetto del potere in Egitto, gli egiziani non sono più partecipanti passivi. Ribaltare il risultato della rivoluzione non influenzerà necessariamente la mentalità collettiva che ha dato agli egiziani quel tipo di fervore che li ha fatti    resistere e lottare per i loro diritti. Nessun editto militare o manovra legale può cancellare questo. Il 2014 probabilmente sarà un anno in cui la natura del conflitto in Egitto cambierà da conflitto dell’esercito contro la Fratellanza Musulmana in conflitto elitario che supererà tutto questo per diventare qualcos’altro, forse una lotta che ritroverà lo spirito della prima rivoluzione.  


Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, un consulente di media,  e redattore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. (Pluto Press).  


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.zcommunications.org/2013-assessing-he-conflict-in-syrua-and-egypt-the-war-continues-by-ramzy-baroud Originale: Ramzy Baroud’s ZSpace Page

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