Originale: Black Commentator
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27 maggio 2013

La via, molto trafficata e disastrosa, da Kabul a Bengasi
di Carl Bloice
traduzione di Giuseppe Volpe

Nel suo libro ‘Blowback’  Contraccolpo, pubblicato nel 2000, l’autore e studioso Chalmers Johnson ha scritto: “La politica mondiale del ventunesimo secolo sarà con tutta probabilità mossa dalle conseguenze pianificate della Guerra Fredda e dalla cruciale decisione statunitense di mantenere un atteggiamento da Guerra Freddo in un mondo post-Guerra Fredda.” Nel 2003, in una prefazione alla seconda edizione del libro, ha scritto che gli attacchi dell’11 settembre 2001 “discendono in linea diretta” dagli eventi del 1979, quando la CIA lanciò “la sua più vasta operazione clandestina di sempre”, “l’armamento segreto dei mujahideen affinché scatenassero una guerra per procura in Afghanistan contro l’Unione Sovietica”, “che vide il reclutamento e l’addestramento di militanti di tutto il mondo islamico”.

“Il contraccolpo della seconda metà del ventesimo secolo è appena cominciato”, concludeva Johnson.

Johnson è morto un paio di anni fa. Scommetto che se fosse vivo oggi individuerebbe la linea – a volte diretta e altre volte indiretta – che corre dall’Afghanistan alla Libia e prosegue verso la Siria, fino a toccare addirittura l’assassinio premeditato di innocenti alla Maratona di Boston il 15 aprile.

La settimana scorsa il Financial Times ha scritto che il Qatar è finito al secondo posto per quanto riguarda la fornitura di armi alle forze in campo per rovesciare il regime siriano. In parte, ha affermato, ciò è dovuto alla “preoccupazione in occidente e in altri stati arabi che le armi che fornisce potrebbero finire nelle mani di un gruppo collegato ad al-Qaeda, Jabhat al-Nusrah, che ha guadagnato forza l’anno scorso.” L’articolo proseguiva: “Diplomatici dicono anche che il Qatar ha avuto difficoltà nell’assicurare una fornitura costante di armi, cosa che i sauditi sono stati in grado di assicurare attraverso reti più sviluppate. Tali reti sono l’eredità delle imprese del passato in luoghi come l’Afghanistan, dove negli anni ’80 i sauditi contribuirono a finanziare il sostegno guidato dagli Stati Uniti ai Mujahedeen che combattevano l’occupazione sovietica.”

Arabia Saudita e Qatar hanno speso molto denaro anche per reclutare, trasportare e armare combattenti per la guerra in Libia. Là “al-Qaida ha svolto un ruolo chiave nel rovesciare Gheddafi e rimane una potenziale minaccia”, ha scritto l’Upi il 14 maggio.

La Guerra Fredda è verosimilmente terminata, ma l’addestramento e l’armamento dei cattivi non si è mai interrotto.

Non ho idea di cosa davvero sia successo nella Washington ufficiale dopo l’attacco dell’11 settembre 2012 al consolato USA di Bengasi, ma coloro che decidono la politica devono aver provato una seria preoccupazione per l’emergere, ancora una volta, che forze scatenate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia avevano nuovamente morso la mano che le aveva nutrite.

All’esterno del consolato devastato dopo l’attacco, un giovane membro di una squadra della sicurezza libica ha dichiarato a un intervistatore che il gruppo sospettato di aver attaccato l’edificio era stato considerato dalla parte dei buoni.

Il 14 maggio, l’editorialista del New York Times David Brooks ha fatto un’affermazione intrigante. “Inoltre, i dirigenti dei servizi segreti hanno sottovalutato quanto fosse pericolosa la situazione”, ha scritto. “Hanno sbagliato nel controllare la milizia libica che doveva provvedere alla sicurezza”. Forse un giorno entrerà nei dettagli.

Descrivendo le email consegnate dall’amministrazione Obama agli investigatori del Congresso, Eli Lake, il corrispondente anziano per la sicurezza nazione di Newsweek, ha scritto il 14 maggio su Daily Beast che ci fu un’ampia discussione, la sera del 14 settembre, riguardo a se tra gli argomenti di dibattito dovesse essere citato Ansar al-Sharia, un gruppo membro di una milizia jihadista. La bozza originale della CIA affermava che era un probabile partecipante agli attacchi. Victoria Nuland, la portavoce del Dipartimento di Stato dell’epoca, chiese se citare o meno il gruppo avrebbe pregiudicato l’indagine e l’FBI, in email successive, non si oppose (a cosa?). Tuttavia la versione finale eliminò il riferimento a Ansar al-Sharia e ogni riferimento a commenti su Facebook che il gruppo aveva pubblicato, suggerendo un collegamento con gli attacchi.”

E che dire dei fratelli Tsarnaev che hanno attuato l’attentato dinamitardo a Boston e hanno ucciso tre persone e ferito più di 260? Poco tempo prima dell’attentato terroristico il maggiore, Tamerlan, era a Manchester, New Hampshire, a prendere il tè con un amico, Musa Khadzhimuratov, un esiliato ceceno che il New York Times ha identificato come un “ex combattente separatista”. Era stato una guardia del corpo di Akhmed Zakayev, un leader separatista ceceno che ora vive a Londra. Il 14 maggio l’FBI ha perquisito la casa di Khadzhimuratov, ne ha ispezionato i computer e lo ha sottoposto alla macchina della verità.

Khadzhimuratov ha dichiarato alla Voice of America che lui e il maggiore degli Tsarnaev si erano incontrati tre volte, avevano visitato insieme un poligono di tiro e non avevano mai parlato di politica.  

Poi c’è Graham Fuller, un alto funzionario della CIA la cui figlia ha sposato Ruslan Tsarnaev, lo zio dei fratelli Tsarnaev che, secondo numerosi resoconti, aveva molta familiarità con il progetto di reclutare e addestrare terroristi da utilizzare nell’ex URSS.

Poiché la gente della comunità dell’”intelligence” solitamente non parla ad alta voce di queste cose, potremo non conoscere mai la storia che sta dietro l’arresto, a Mosca, della spia statunitense con la brutta parrucca, il temperino, la bussola e un rotolo di dollari. Ma nessuno ha respinto l’affermazione russa che stava tentando di reclutare un russo specializzato negli affari del Caucaso settentrionale. Secondo il Guardian (GB), “gli USA non hanno reagito all’espulsione di Ryan Fogle, che la Russia afferma essere stato catturato in un’operazione sotto copertura la settimana scorsa mentre, secondo l’accusa, stava tentando di reclutare un agente del FSB specializzato negli sforzi antiterrorismo nel Caucaso settentrionale russo.”

Durante l’intera Guerra Fredda, la CIA ha avuto “risorse” in quella travagliata parte dell’allora Unione Sovietica che comprende la Cecenia e non ha mai cessato di rimestare nel torbido per alimentare le tensioni.

La settimana scorsa la CNN ha riferito che “le autorità russe avevano chiesto a dirigenti statunitensi di indagare Tamerlan prima del viaggio, affermando che ritenevano stesse diventando sempre più coinvolto nell’Islam radicale. L’FBI aveva indagato ma non aveva trovato prove di attività estremiste e aveva archiviato il caso.” I dirigenti statunitensi probabilmente avevano buoni motivi per essere diffidenti quanto al dare seguito agli avvertimenti russi e alle inchieste su Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev.

L’anno scorso, con i governi di Gran Bretagna e Francia alla guida, e gli Stati Uniti “alla guida da dietro”, hanno lanciato ancora un tentativo di usare una rivolta politica popolare per rovesciare un governo che un tempo avevano corteggiato e contro il quale si erano poi rivoltati. Cosa ne è derivato? Secondo l’UPI “diciotto mesi dopo la caduta di Moammar Gheddafi, la Libia resta una polveriera con un governo incapace di controllare dozzine di gruppi armati i cui saccheggi illegali hanno creato una crisi della sicurezza che sta allontanando investimenti stranieri di cui vi è disperato bisogno.”

E “dirigenti della sicurezza affermano che ci sono circa 500 milizie e gruppi armati in Libia, la maggior parte in concorrenza tra loro. La Commissione libica per gli Affari dei Combattenti stima che si tratti in totale di 250.000 uomini che sono fedeli a signori della guerra, leader tribali e gruppi salafiti piuttosto che la governo che sta lottando per emergere.”

Scrivendo il 13 maggio sull’organo neoconservatore Commentary, l’arci-neocon Max Boot ha descritto quello che considera “il verso scandalo” attorno a Bengasi, “la vergognosa mancata estensione da parte dell’amministrazione Obama dell’assistenza alla costruzione dello stato ai leader filo-occidentali dopo averli aiutati a rovesciare il regime di Gheddafi. L’incapacità del governo libico di controllare il proprio territorio creò le condizioni che portarono all’attacco del 2012; tali condizioni non sono cambiate da allora.”

Boot ha proseguito citando un recente dispaccio della Reuters da Tripoli che diceva: “Più di diciotto mesi dopo la caduta del dittatore Muammar Gheddafi, i nuovi governanti della Libia devono ancora imporre una presa forte su un paese inondato di armi. I gruppi ribelli che hanno contribuito a rovesciarlo si stanno ancora rifiutando di sciogliersi e restano più visibili nelle strade che non le forze di sicurezza dello stato.”

Ethan Chorin, un ex diplomatico statunitense in Libia e espero dell’economia libica, rimprovera agli USA di essere stati “impreparati alla capacità dei gruppi terroristi di minare i progressi verso l’autorità civile nel paese.”

“In breve, se gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO e arabi avessero imparato dall’esperienza dell’Iraq e messo in atto un piano completo e ben sostenuto per Bengasi, che coprisse tutto, dall’assistenza tecnica alla sicurezza al personale, avremmo potuto evitare l’attacco e la spinta che ha dato agli estremisti.”

Boot e Chorin sono saggi abbastanza da conoscere la storia di tali imprese ma abbastanza folli da pensare che gli Stati Uniti possano o debbano intervenire per portare tutto sotto controllo e separare gli amanti della libertà dagli estremisti reazionari. La lezione che apparentemente hanno tratto dall’Iraq e dall’Afghanistan è: riproviamoci.

Chorin, tuttavia, è chiaro quanto a quella che ritiene l’origine dei guai. “Il problema ‘islamista’ della Libia è esso stesso in parte un prodotto delle guerre statunitensi in Iraq e in Afghanistan. Quei conflitti hanno attirato militanti alla ricerca di perfezionare le loro abilità nella guerra contro Gheddafi. Sono tornati a combattere nella Rivoluzione Libica e molti sono ora di nuovo in Siria, ad aiutare le fazioni islamiste nei ranghi dei ribelli siriani,” ha scritto il 4 maggio sul suo blog.

“Le ricette statunitensi, britanniche e francesi per il futuro della Siria sono cariche di un potenziale di disastri quanto i loro piani del 1916 o del 2003,” ha scritto Patrick Cockburn il 12 maggio sull’Independent (GB). “Affermando che [il presidente] Assad non può avere un ruolo nel futuro governo siriano, il Segretario di Stato USA John Kerry parla del leader di un governo che sinora ha perso soltanto una capitale provinciale a favore dei ribelli. Tali condizioni possono essere imposte soltanto agli sconfitti o a quelli prossimi alla sconfitta. Ciò accadrà in Siria solo se le potenze occidentali interverranno militarmente al fianco degli insorti, come hanno fatto in Libia, ma i risultati nel lungo termine possono essere ugualmente tetri.”

“Obama non sarebbe un essere umano, per non dire un leader, onesto se non avvertisse l’urgenza di fermare le uccisioni in Siria”, ha scritto il 14 maggio il commentatore capo degli affari esteri del Financial Times Gideon Rachman. “Sta esitando perché non ha le risposte ad alcune domande davvero cruciali.”

“Se forniamo armi ai ribelli, come sappiamo che ciò non porterà a bagni di sangue ancora peggiori? Se l’intervento occidentale fosse sufficientemente decisivo da inclinare l’equilibrio militare, conosciamo la natura delle forze che prenderanno il controllo in Siria? Esiste un modo per garantire che in Siria emerga un regime onesto senza che sia necessario un impegno decennale, in stile Afghanistan, per la costruzione della nazione? (E, per inciso, anche in Afghanistan la cosa non ha funzionato granché).”

Bob Woodward si è attirato dei rimproveri per la sua visione della situazione dopo aver letto le email interne dell’amministrazione. (“Oh, non diciamo al pubblico che erano coinvolti dei terroristi, gente collegata ad al-Qaeda. Non diciamo al pubblico che c’erano stati degli avvertimenti”): Beh, credo che quella fosse una spiegazione più probabile di quella della giornalista del Times Maureen Dowd (“Nel mezzo di una campagna per la rielezione, gli aiutanti di Obama hanno voluto promuovere la mitologia che il presidente che aveva ucciso Osama stava sbaragliando il terrorismo. Perciò hanno ritenuto problematico citare qualsiasi possibile coinvolgimento di al-Qaeda nell’attacco di Bengasi.”) Sono stati coinvolti “terroristi” di al-Qaeda. E ci sono stati avvertimenti risalenti al 2000 e a “Blowback”. Se giaci con i cani, prendi le pulci.

In Siria e altrove, gli Stati Uniti stanno finanziando (con l’aiuto delle monarchie del Golfo, amanti della libertà), armando e addestrando gli stessi terroristi che dicono di combattere in Yemen, Mali e Libia. La conseguenza sembrerebbe inevitabile. Non si tratta di polli. E’ un intero stormo di avvoltoi che ci si ritorce contro.


Membro del comitato editoriale e articolista di BlackCommentator.com Carl Boice è un giornalista di San Francisco, membro del Comitato Nazionale di Coordinamenot dei Comitati di Corrispondenza per la Democrazia e il Socialismo e ha lavorato in precedenza per un sindacato della sanità. Bloice è uno dei moderatori di Portside. Altri scritti di Carl Bloice si possono trovare su leftmargin.wordpress.com.

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Fonte: http://www.zcommunications.org/the-well-travelled-and-disastrous-road-from-kabul-to-benghazi-by-carl-bloice

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