http://nena-news.globalist.it/
giovedì 31 ottobre 2013

La perenne guerra fredda tra Iran e Arabia saudita
di Lorenzo Carrieri



L'alleanza tra Iran e Siria è strategicamente comprensibile nell'ottica del mantenimento dell'autonomia del sistema medio-orientale contro il desiderio di egemonia americana sull'area

Roma, 31 ottobre 2013, Nena News - La situazione attuale del Medio Oriente si sta polarizzando intorno al confronto tra le due potenze principali dell'area, l'Arabia Saudita e l'Iran : le due potenze del Golfo Persico stanno combattendo ormai da tempo una guerra a bassa intensità per il dominio e il controllo dell'area medio orientale. Questo conflitto si combatte su più fronti, uno dei quali è ben rappresentato da quello siriano.



DUE POTENZE DIFFERENTI

Da una parte abbiamo l'Iran, stato erede dell'Impero Persiano, con una maggioranza sciita e una legittimazione popolare molto forte. Dopo la dilaniante guerra con l'Iraq di Saddam Hussein, all'esportazione della rivoluzione, la leadership iraniana ha preferito la costruzione di alleanze che ne garantissero un equilibrio di potenza coi vicini e un'influenza del cosiddetto arco sciita: ecco come spiegare l'alleanza con la Siria, potenza laica e socialista, con il baluardo della teocrazia islamica. Allo stesso tempo però Teheran porta avanti politiche di balancing of threat e di contrasto contro quelle potenze islamiche filo-occidentali come l'Arabia Saudita: dalle controversie di stampo prettamente religioso all'interno dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica fino ad arrivare alla gestione della guerra in Siria sono moltissimi i punti di contrasto tra Riyadh e Teheran.

La volontà della potenza iraniana di farsi interlocutrice dell'Occidente nella gestione della crisi siriana, con le aperture di Rohani, ha allontanato Teheran dalla politica estera aggressiva tipica dell'ultimo Ahmadinejad: dobbiamo considerare che determinati spazi di apertura nei confronti dell'Occidente siano da interpretare come il risultato di una politica estera più pragmatica pensata dalla Guida Suprema Ali Kahmenei volta ad aumentare l'influenza iraniana nell'area e il suo ruolo pivotal nella gestione dei conflitti, non ultimo quello siriano.

Dall'altra parte c'è l'Arabia Saudita, stato che riesce (o prova) a conciliare puritanesimo islamista sunnita e alleanza con l'occidente. Lo Stato saudita nacque grazie alla fusione di interessi tra principi tribali, i Saud e ulema wahhabiti, con l'appoggio non indifferente delle potenze di Gran Bretagna prima, e Stati Uniti poi: essi si rendono coscienti del fatto che, per assicurare la stabilità del loro potere, seduti come sono su un isola di petrolio in un oceano di povertà, al centro di conflitti internazionali, con confini immensi e difficili da difendere, circondata da stati più popolosi e più poveri, necessitano di due cose: la legittimazione religiosa su cui poggia il loro trono e la benevolenza attiva della più grande potenza occidentale. 

Nel periodo di massima espansione dell'ideologia panarabista essa si lega sempre più a doppio filo con la potenza a stelle e strisce. Ryahad diventa la testa di ponte dell'occidente in Medio oriente e nel Golfo Persico (insieme ad Israele è lo stato che spende di più nell'acquisto di armi dagli USA) sia come baluardo anticomunista attraverso il finanziamento di movimenti panislamici, sia nel ruolo di swing producer per calmierare i prezzi petroliferi, per moderare la politica araba filo-nasseriana e per riciclare i suoi petrodollari utilizzando istituzioni finanziare americane . Ecco dunque la special relationship tra Stati Uniti e Arabia Saudita, prima amici contro il panarabismo giacobino e il terzomondismo militante di Nasser and co poi uniti contro l'Unione sovietica atea e comunista, oggi insieme in Siria contro l'Iran. 



POLITICA ESTERA

Innanzitutto il primo punto di scontro tra queste due potenze è dato dalle differenti determinanti della politica estera: se da una parte c'è una potenza che ha tutto l'interesse a mantenere la stabilità dell'area, soggetta all'egemonia americana, dall'altra se ne trova una revisionista, che fa del cambiamento dello status quo (a suo vantaggio) la guida della sua politica estera.

Gli attriti e le rivalità tra queste due potenze si stanno manifestando nella questione delle minoranze sciite nei paesi del golfo, uno su tutti il Bahrein, ma non solo: Ryahad vede queste rivolte come il tentativo di de-stabilizzare l'area da parte di Teheran per aumentare la sua influenza sui paesi del Golfo. L'influenza iraniana si è scontrata con Ryahad in Iraq: l'Arabia Saudita si è rifiutata di perdonare e ridurre l'ingente prestito fornito a Saddam Hussein nella prima guerra del golfo dell'80 (quasi 30£ di dollari) per la troppa vicinanza del governo di Al Maliki con l'Iran, e, secondo alcuni cabli di Wikileaks, quest'ultimo ha accusato il regno saudita di fomentare conflitti settari e finanziare un esercito sunnita parallelo.
Le parole d'ordine dunque della politica estera saudita, in comune con quella americana, sembrano essere il contenimento di quella rinascita sciita che si è avuta dopo la rivoluzione iraniana del 1979. 



LA QUESTIONE ENERGETICA E NUCLEARE

Il secondo elemento caratterizzante le relazioni tra questi due paesi è dato dalla rilevanza della questione energetica e del nucleare : lo scontro tra queste due potenze è vivamente sentito nell'ambito dell'OPEC, dove diverse strategie perseguite dai due paesi si trovano a fronteggiarsi. Se da una parte Riyadh, che controlla un terzo delle esportazioni dell'Organizzazione, persegue una strategia di partnership con i paesi compratori (il suo famoso ruolo da swing producer e calmieratore dei prezzi) volta a facilitare l'afflusso dell'oro nero e alla salvaguardia della crescita economica mondiale, dall'altra Teheran tenta di far prevalere il proprio punto di vista di riduzione della quote di produzione, in maniera tale da da aumentare il prezzo del greggio, così da aumentare i propri introiti, anche per poter sostenere il tasso d'inflazione del 30% e il regime di sanzioni dell'ONU .

L'altra questione centrale del confronto tra i due paesi riguarda il programma nucleare iraniano: Riyadh riconosce che, una volta ottenuta la tecnologia necessaria allo sviluppo, Teheran acquisirebbe un vantaggio strategico fondamentale.

La "cold war" tra il regno saudita e la teocrazia iraniana si è spostata sul piano della corsa al nucleare. Tra i 250 mila documenti de-secratati da Wikileaks viene citato il re saudita Abddullah per aver più volte esortato gli Stati Uniti ad attaccare l'Iran per mettere fine al suo programma di nucleare : queste dichiarazioni dimostrano come siano in primis gli arabi, e in particolare le monarchie del Golfo, e non Israele, a temere che l'Iran si doti della tecnologia nucleare, che fungerebbe più da deterrente per intimidire i loro paesi e allargare l'area d'influenza iraniana piuttosto che da balance of power nei confronti di Israele (e Stati Uniti).



LA QUESTIONE SIRIANA

Bisogna leggere l'appoggio dei sauditi ai ribelli siriani come un tentativo di mantenere la stabilità regionale e per il contenimento dell'influenza iraniana nella regione: obiettivo principale di Ryahad è dunque installare un regime filo-saudita a Damasco, che vada a rompere quell'Asse della Resistenza composto da Iran e Siria (e Hezbollah in Libano).

Il principale obiettivo dei sauditi rimane quello, attraverso una tattica di leading from behind dei gruppi jihadisti (grazie alla mediazione della losca figura del principe Bandar Bin Sultan), di cambiare i rapporti di forza sul campo, oggi favorevoli ad Assad, soprattutto dopo le aperture iraniane all'Occidente e il mancato attacco americano alla Siria.

L'Iran al contrario ha invece tutto l'interesse nel mantenere il regime esistente al potere: con esso Teheran forma il cosiddetto Asse della Resistenza. Anche la decisione di far intervenire a difesa del regime di Assad l'organizzazione politico-militare Hezbollah è dimostrazione dell'interesse iraniano nel mantenimento di Assad al potere: molte sono state le voci contrarie all'interno dello stesso movimento sciita libanese che si sono levate contro questa "intromissione" negli affari siriani. 

L'alleanza tra questi due paesi, Iran e Siria, è dunque strategicamente comprensibile nell'ottica del mantenimento dell'autonomia del sistema regionale medio-orientale contro i tentativi di egemonia americana sull'area: le ultime mosse di reapprochment della leadership iraniana sono da interpretare da una parte come un apertura nei confronti del discorso sul nucleare verso l'Occidente, ma, allo stesso tempo, come la ricerca di una soluzione politica e non militare alla situazione siriana, accordo che consideri l'Iran non come parte del problema ma come parte della soluzione, con un ruolo attivo nel bilanciamento dei poteri regionali.

Il riavvicinamento degli Stati Uniti nei confronti dell'Iran potrebbe portare giovamento ai due attori. Il coinvolgimento di Teheran in chiave anti-talebana in Afghanistan e di supporto al governo iracheno sarebbero vitali per gli Stati Uniti, inoltre essi potrebbero alleggerire la pressione sullo Stretto di Hormuz, concentrandosi su altri scacchieri internazionali. Da parte iraniana il miglioramento delle relazioni potrebbe significare una serie di investimenti americani nelle infrastrutture e nelle tecnologie del paese, e, soprattutto, una fine del regime delle sanzioni che gravano sul paese con un'apertura nei confronti dell'uso civile del nucleare: ma tutto ciò a discapito dell'alleato saudita, a cui, dopo il disappunto per il mancato strike americano a Damasco, questi ultimi sviluppi delle relazioni americo-iraniane non piacciono proprio.

top