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24 aprile 2013

Un mondo in guerra. Per il Sipri è iniziato il “ricollocamento” delle armi
di Andrea Camboni

Le spese militari registrano un incremento nelle aree in cui le tensioni sono tradizionalmente forti come il Medio Oriente. Intanto, l’Italia vende alle forze aeree dell’Oman supporto logistico e aerei Eurofighter, frutto del principale programma di collaborazione europeo nel campo della Difesa.

Le tensioni nella regione Asia-Pacifico 

 Gli  investimenti e le spese correnti dei governi di tutto il mondo hanno registrato un calo dello 0,5% nel capitolo forze armate, ministeri della difesa, acquisizioni di armamenti.

Tuttavia, il dato, emerso dalle analisi del Sipri, l’Istituto svedese che monitora l’andamento dei bilanci pubblici in relazione alle spese militari, non deve essere interpretato nel senso di un reale decremento.

Il report annuale rileva infatti una sensibile diminuzione dei fondi destinati all’acquisto delle armi da parte di molti paesi occidentali, ma contestualmente un incremento significativo da parte di Russia e Cina nei capitoli di spesa per gli armamenti.

Si tratta di un vasto ricollocamento delle spese militari che si muove dai paesi del blocco occidentale più sviluppati a quelli delle regioni emergenti, dove acquisto, supporto logistico e tecnologia sono destinati ad aumentare nei prossimi anni.

Anche in virtù dell’intensa cooperazione tra Mosca e Pechino in materia di sviluppo delle tecnologie militari, che ha già portato alla firma di una trentina di accordi bilaterali.

Per la potenza cinese, l’incremento della spesa militare, che solamente nel 2012 è aumentata dell’11,2%, superando i 100 miliardi di dollari, risponde alle “numerose e complicate minacce e sfide alla sicurezza” che gli Stati Uniti hanno fatto emergere con forza nella regione Asia-Pacifico dove – si legge ancora nel libro bianco sulle forze armate diffuso il 16 aprile scorso dalla Difesa di Pechino – “alcuni paesi stanno rafforzando le alleanze militari”, anche attraverso “iniziative volte a evidenziare un’agenda militare e a rafforzare il dispiegamento militare” nell’area.

Non a caso – il rapporto del Sipri – evidenzia su base regionale un aumento delle spese militari di Asia e Oceania pari al 3,3% nel corso del 2012, con incrementi significativi riscontrati soprattutto in Vietnam, Indonesia, India e Corea del Nord, quest’ultima passata dagli 89,8 miliardi di won del 2011 ai 98,8 del 2012.

Minacce talmente credibili per Pechino da rivelare per la prima volta la consistenza delle sue unità militari.

L’esercito cinese che – spiega il documento -  è chiamato a “tutelare la sovranità e la sicurezza nazionale sopra ogni cosa”, è composto da circa 850 mila soldati suddivisi in 18 corpi e sette aree di comando (Pechino, Nanchino, Chengdu, Guangzhou, Shenyang, Lanzhou e Jinan) oltre alcune divisioni operative indipendenti.

Raggiungono invece le 235 mila unità gli uomini della marina che rispondono a tre flotte (Beihai, Donghai e Nanhai), mentre fanno parte dell’aviazione 398 mila uomini divisi in sette comandi militari, cui si aggiunge un corpo aviotrasportato.

Unità operative di supporto, forze missilistiche convenzionali e nucleari compongono il nucleo della deterrenza strategica della seconda forza d’artiglieria.

Ciononostante – rassicura Pechino, con un accenno alle questioni sulla sovranità territoriale sollevate dalla diatriba con il Giappone sulle isole Diaoyu/Senkaku – “non attaccheremo se non saremo attaccati; ma sicuramente contrattaccheremo se attaccati”.

Da parte sua la Russia interpreta militarmente le criticità della regione avviando l’ennesima esercitazione militari “su vasta scala”, senza avvisare gli altri paesi della regione, con il rischio di riacutizzare le tensioni con Ucraina e Georgia e i vicini europei, membri dell’Ue e della Nato, che condividono il perimetro del Mar Nero con la Federazione Russa.

Le operazioni sono state annunciate con l’obiettivo di “collaudare la prontezza di risposta e la coesione fra le varie unità” per rispondere ai desiderata di Putin che circa un anno fa aveva auspicato la trasformazione dell’esercito russo in forze armate agili e di rapido impiego.

Le manovre, scattate senza preavviso all’alba dello scorso 28 marzo, hanno coinvolto 36 navi di stanza a Sebastopoli, in Crimea e a Novorossisk, insieme a forze di intervento rapido, truppe aeree e unità speciali dello Stato maggiore generale, 250 blindati, una ventina di aerei ed elicotteri militari e 50 batterie di artiglieria.

Africa e Medio Oriente

Se in Africa del Nord, le spese militari sono cresciute del 7,8% nel 2012, nell’Africa Sib-sahariana risultano in ribasso del 3,2%.

In Medio Oriente, il Sipri ha registrato un aumento pari all’8,4% rispetto all’anno precedente, con punte che toccano il 12% in Arabia Saudita.

Introvabili i dati di Iran, Qatar, Siria ed Emirati Arabi uniti, mentre l’aumento maggiore è stato riscontrato in Oman (+51%).

Oman, che il 18 aprile scorso ha siglato un contratto con l’Alenia Aermacchi, società del gruppo Finmeccanica, per la fornitura dei componenti, sistemi e servizi di responsabilità per 12 Eurofighter Typhoon, frutto del principale programma di collaborazione europeo nel campo della Difesa da 160 mila ore di volo.

L’ordine, che era stato avanzato dallo Stato penisola arabica nel dicembre del 2012 per un valore complessivo di circa 170 milioni di euro, prevede un pacchetto di supporto logistico iniziale di cinque anni richiesto dalla Royal Air Force of Oman e la consegna dei primi Eurofighter alla forza aerea omanita nel 2017.

Le componenti di responsabilità Alenia, che saranno realizzate a partire dal 2014, rappresentano il  719mo Eurofighter commissionato dalla società italiana dalle forze aeree di Spagna Italia, Regno Unito, Germania, Arabia Saudita, Austria e appunto Oman.

Tuttavia, nelle statistiche, l’Italia figura l’unico paese virtuoso tra i partner del G8 e del G20 a registrare una flessione delle spese militari per gli armamenti, determinandone un crollo del 19% nel periodo 2003-2012 e del -5,2% su base annua nel 2012.

Siamo un paese esportatore. Ovvero le armi le fabbrichiamo noi. E non c’è da essere ottimisti se l’Italia nel 2012 ha destinato alle spese militari l’1,7% del Pil, il 2,32% in meno rispetto all’anno precedente.

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