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11-11-2013

Criticare Lin Biao, criticare Confucio
di Federico Picerni|

La tesi Sulle ceneri della tradizione. Critica letteraria, filosofica e storica durante il Pi Lin Pi Kong descrive la genesi e il significato delle campagne maoiste volte a sradicare le sovrastrutture e, soprattutto, "la forza dell'abitudine". La campagna Pi Lin, Pi Kong andò avanti grossomodo per tutto il periodo della Rivoluzione culturale.

All’indomani del fallimentare tentativo di colpo di Stato di Lin Biao, il Partito comunista venne attraversato dalla campagna di critica a Lin e rettifica dello stile di lavoro, sovrintesa da Mao e coordinata dal primo ministro Zhou Enlai, il quale era stato incaricato di occuparsi dal lavoro quotidiano del Comitato centrale.

Venne resa pubblica una mole di documenti dettagliati, fra cui le dichiarazioni di Mao durante il viaggio d’ispezione dell’agosto-settembre 1971, tre opuscoli dal titolo La lotta per abbattere il colpo di Stato controrivoluzionario del blocco antipartito Lin-Chen, il rapporto del gruppo d’inchiesta sul caso Chen Boda.

Dal 21 maggio al 23 giugno 1972 a Pechino si tenne una conferenza nazionale che vide la partecipazione di responsabili del Comitato centrale, delle istanze locali e degli organi militari. In questa occasione, Zhou disse che lo «spirito» della campagna consisteva in «criticare, smascherare e distruggere il blocco antipartito di Lin Biao, educare e unire le grandi schiere dei quadri».

Analoghe conferenze a livello locale si sarebbero tenute fra luglio e agosto. Infine vennero prese misure pratiche per invertire le tendenze ultrasinistre nell’apparato economico (che Lin fu accusato di avere sabotato con il suo «stile anarchico»), nelle comuni popolari, nel lavoro di fronte unito e nella politica verso le minoranze nazionali.

L’obiettivo ideologico della campagna era criticare a fondo e liberarsi dell’influenza della linea di Lin, che Mao definì ultrasinistra nella forma ma ultradestra nella sostanza. Questa definizione sarebbe stata molto importante per la successiva evoluzione nel più esteso Pi Lin Pi Kong.

La campagna, inoltre, doveva preparare il terreno ideologico e politico al X Congresso nazionale del Partito, che si sarebbe tenuto di lì a poco, anticipato di un anno rispetto alla naturale scadenza statutaria a causa dell’affare Lin-Chen.

Il X Congresso si tenne dal 24 al 28 agosto 1973, in rappresentanza di 28 milioni di militanti. Esso fu molto importante perché sconfessò chi si aspettava che la caduta di Lin Biao avrebbe portato al ritiro o alla sconfitta della Rivoluzione culturale: infatti, tirando le somme della critica a Lin, riaffermò la validità della linea del Congresso del 1969, rilanciò la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e ribadì la lotta al revisionismo. Nel rapporto politico a nome del Comitato centrale, Zhou Enlai disse: «Prima di tutto, dobbiamo continuare a svolgere bene la critica a Lin e rettifica dello stile di lavoro».

Il Congresso lanciò inoltre una parola d’ordine che sarebbe stata centrale nella successiva campagna anticonfuciana: quella di «andare controcorrente». «È necessario per noi», disse Zhou, «acquisire la capacità di riconoscere e correggere in tempo [le tendenze negative]. Nel momento in cui vediamo una tendenza sbagliata avvicinarsi a noi come una corrente impetuosa, non dobbiamo avere paura di fronteggiarla, dobbiamo osare andare controcorrente e raccogliere il nostro coraggio per reggere all’impatto. Come dice il presidente Mao: “Andare controcorrente è un principio marxista-leninista”».

Mao intanto aveva maturato la convinzione che la sola critica contro Lin Biao non era sufficiente. Era invece necessario andare ancora più a fondo nella trasformazione della concezione del mondo del popolo cinese, per poter evitare il ripetersi di casi come quelli di Liu Shaoqi e Lin Biao (i quali erano passati dalla posizione di successore designato a quella di «principale dirigente avviatosi sulla via capitalista», il primo, e «superspia», il secondo), scongiurare il pericolo di restaurazione del capitalismo dopo la morte di Mao ed educare non uno ma «milioni di successori alla causa del proletariato». Ciò non sarebbe stato possibile senza eliminare alla radice un pensiero giudicato tanto reazionario, tanto controrivoluzionario e tanto inibitore delle coscienze, ma al contempo tanto radicato nella mentalità dei cinesi, come il confucianesimo.

Mao sollevò la questione nel luglio del 1973, quando disse: «Dobbiamo prestare attenzione alla sovrastruttura e a padroneggiare la linea politica. Dobbiamo studiare un po’ di storia. Dobbiamo criticare Confucio e l’ideologia del rispetto del confucianesimo». Successivamente aggiunse: «[...] i confuciani si riempiono la bocca di umanità, rettitudine, via e valore, sono per riverire il passato e negare il presente, vogliono invertire le ruote della storia».

Il concetto marxista della sovrastruttura, evocato più volte nel corso della Rivoluzione culturale, sarebbe divenuto centrale nel corso del Pi Lin Pi Kong. Elaborando la sua critica della società divisa in classi, Marx aveva scritto: «Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolari relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione.

La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale ed a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale della vita sociale, politica ed intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza».

Al cambiamento della base economica fa quindi seguito il cambiamento della sovrastruttura ideologica. Lenin e Mao avrebbero successivamente approfondito il concetto precisando che questo mutamento non avveniva in via meccanica: alla base economica socialista avrebbe potuto corrispondere, per un certo periodo di tempo, una sovrastruttura non socialista, lascito della precedente società capitalista.

Su questa base Mao affermò che la lotta di classe, le contraddizioni e i conflitti di classe perdurano anche nella società socialista, principalmente sul piano ideologico e culturale. Nel discorso marxista-leninista, quindi, conformare la sovrastruttura alla base economica socialista significa eliminare ciò che resta della cultura (politica, morale, diritto, arte, letteratura, ecc.) capitalista, che altrimenti può essere fonte di corruzione ideologica per il popolo e per lo stesso Partito comunista.

Una corruzione perlopiù inconscia, perché nel tempo esse diventano «abitudine[,] la più terribile delle forze». Il consueto editoriale di capodanno del 1974 dei tre principali giornali cinesi (Renmin Ribao, Hongqi e Jiefangjun Bao) fu la prima occasione in cui la critica a Lin Biao venne ufficialmente e pubblicamente accostata ad una nuova campagna di critica contro Confucio: «Tutti i reazionari cinesi ed esteri», vi si lesse, «e i capi di tutte le linee opportuniste comparse nel corso della storia sono veneratori di Confucio. La critica a Confucio è parte integrante della critica a Lin».

Sempre nel gennaio del 1974, l’Università di Pechino e l’Università Qinghua elaborarono congiuntamente un documento dal titolo: Lin Biao e i precetti di Confucio e Mencio. Questo lavoro, mettendo criticamente a confronto parole pronunciate o scritte da Lin Biao con le citazioni classiche di Confucio e Mencio, voleva dimostrare la loro sostanziale affinità ideologica.

Mao diede la propria approvazione affinché il documento fosse diffuso su scala nazionale. Ciò avvenne tramite una circolare del Comitato centrale del Pcc diramata il 18 gennaio, preceduta da una introduzione: «[Lin Biao] appartiene alla stessa categoria dei reazionari sull’orlo dell’estinzione. È uno di quelli che venerano Confucio e combattono il legismo, attacca Qin Shi Huang, fa degli insegnamenti di Confucio e Mencio l’arma ideologica reazionaria alla base del suo vano complotto per usurpare il potere nel Partito e restaurare il capitalismo.

Questo materiale raccolto dall’Università di Pechino e dall’Università Qinghua sarà di grande aiuto per continuare e approfondire la critica a Lin, criticare l’essenza ultradestra della linea di Lin Biao, continuare a sviluppare la critica dell’idea di venerare Confucio e combattere il legismo, rafforzare l’educazione ideologica e sul piano della linea politica».

L’accostamento di Lin Biao a Confucio fu favorito dal rinvenimento di notevoli quantità di libri, opere di calligrafia, citazioni riguardanti Confucio e Mencio nell’abitazione dell’ex maresciallo a Pechino, prove materiali della venerazione di Lin per il confucianesimo che andavano ad aggiungersi alle già abbondanti prove teoriche individuate dai teorici cinesi. Il 2 febbraio, l’editoriale del Renmin Ribao, significativamente intitolato Portiamo fino in fondo la lotta per criticare Lin Biao e Confucio, diede inizio alla campagna Pi Lin Pi Kong.

Nel corso della campagna, che investì tutta la Cina, si assistette ad una enorme diffusione dello studio della storia, della filosofia e della cultura a livello di massa. Venne promosso lo studio dei classici del marxismo-leninismo e degli scritti di Mao; significativamente, nel 1972 era stata pubblicata l’edizione cinese delle Opere scelte di Marx ed Engels.

Un elenco sterminato di contributi originali, approfonditi e documentati, riguardanti una miriade di questioni e campi di indagine, venne prodotto da gruppi teorici, gruppi di critica, gruppi di scrittura organizzati all’interno delle fabbriche, delle comuni, delle scuole, delle università, degli uffici, dei comitati del Partito e delle compagnie dell’Esercito popolare di Liberazione.

I giornali traboccavano di articoli che incoraggiavano la campagna a proseguire la lotta contro il revisionismo e la “rivoluzione nella sovrastruttura”, rifiutando radicalmente concetti e costumi entrati nella mentalità e nella quotidianità del popolo cinese. Il mondo letterario e artistico fu investito in pieno e sollecitato a produrre opere che respingessero i valori tradizionali e promuovessero quelli rivoluzionari.

Sul piano della ricerca storica, ebbe grande risalto e diffusione lo studio della lotta fra la scuola confuciana e quella legista, le due scuole di pensiero più antitetiche della storia cinese, ribaltando verdetti storici dati per certi, come quello su Qin Shi Huang. Grande popolarizzazione ebbero le opere di Lu Xun, considerato il precursore della Rivoluzione culturale.

È particolarmente interessante notare che, se nel corso dei secoli i valori confuciani vennero assorbiti passivamente dalla stragrande maggioranza illetterata della popolazione cinese, soprattutto attraverso quella «forza dell’abitudine» denunciata da Lenin, durante il Pi Lin Pi Kong quegli stessi valori vennero ripudiati attivamente dalle masse popolari, molto spesso criticando direttamente i testi antichi e il loro significato contemporaneo.

Alla critica verso l’arroganza degli intellettuali e le tendenze burocratiche fecero seguito rinnovati appelli rivolti ai quadri affinché prestassero ascolto alle masse popolari. Vennero attaccati i «confuciani dei giorni nostri», anche nelle persone di dirigenti del PCC e dei Comitati rivoluzionari (i nuovi organi di governo sorti durante la Rivoluzione culturale). All’inizio del 1974 si sviluppò con particolare vigore un movimento contro chi aveva sfruttato la propria posizione altolocata per far ammettere i figli all’università o evitare che fossero inviati a rieducarsi nelle campagne.

«Caratteristica significativa del movimento», nota Han Suyin, «è stata la partecipazione rilevante delle donne. […] Già nel corso della rivoluzione culturale le masse femminili si erano risvegliate, partecipando in prima persona all’attività politica; questa campagna le ha ulteriormente mobilitate, concentrandosi sulle pressioni culturali e psicologiche, sulla secolare oppressione a cui sono state sottoposte le donne». Numerosi articoli sull’emancipazione femminile apparvero sui giornali, casi di donne comuniste modello che osavano «andare controcorrente» vennero pubblicizzati su scala nazionale e venne ripreso il controllo delle nascite.

È importante notare che la campagna cominciò con una forte spinta dal basso ed ebbe una larga partecipazione di massa, sempre comunque sotto la direzione politica del Partito. La sua straordinarietà sta nel fatto che temi considerati accademici ed elitari vennero discussi e criticati dalle vaste masse popolari, ribaltando completamente le gerarchie sociali di stampo confuciano.

A riguardo è molto interessante quanto ha scritto Han Dongping nell’ambito della sua indagine sullo svolgimento della Rivoluzione culturale in un villaggio cinese: «Per molti appartenenti all’élite istruita, la campagna anti-Lin Biao e anti-Confucio sembrava vaga e astratta. Ma aveva un significato specifico per la gente ordinaria. Il tema principale della campagna era criticare la mentalità elitaria presente nella cultura cinese. […] Agli occhi dell’élite cinese, il lavoro agricolo era un’occupazione di basso rango. Il movimento incoraggiò la gente delle campagne a rialzare la testa e l’aiutò a riconoscere il proprio valore. In questo senso, la campagna aiutò i comuni abitanti dei villaggi cinesi a scoprire la propria dignità».

Non è facile identificare una data di conclusione del Pi Lin Pi Kong, anche perché in effetti non venne mai emanato alcun editto ufficiale dichiarandone la fine. Nel rapporto sulla revisione della Costituzione della Repubblica popolare presentato alla IV Assemblea popolare nazionale nel gennaio 1975, Zhang Chunqiao disse: «Dobbiamo allargare, approfondire e continuare il movimento in corso per criticare Lin e Confucio e occupare tutti i fronti con il marxismo». Nei mesi successivi l’enfasi si spostò sulle successive e più urgenti campagne, ma i temi sollevati dal Pi Lin Pi Kong avrebbero continuato a occupare l’ambiente politico e culturale cinese fino alla morte di Mao.


*Federico Picerni, federico.picerni[@]gmail.com, si è laureato in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia presso l’Università di Bologna nel novembre 2013. Si appassiona in particolare alla storia della Cina del Novecento, cui affianca l’interesse per la lingua e la cultura cinesi.

**Questa tesi è stata presentata all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Relatrore prof.ssa Claudia Pozzana; correlatore prof. Alessandro Russo.

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