Fonte: Lobo Suelto!
http://comune-info.net/
20 giugno 2013

La lettera da São Paulo
di Salvador Schavelzon

Un reportage racconta come la seconda città del Brasile abbia improvvisamente deciso di recuperare le sue strade sottraendole ai lustrini nazionalisti dell’entusiasmo commerciale. È un messaggio per il paese e per il pianeta: ribellarsi è ancora possibile. Un fiume impetuoso di persone allergiche alle classificazioni ha innescato da São Paulo il più grande e sorprendente movimento brasiliano degli ultimi venti anni. Il delirio di neo-potenza geopolitica regionale che accompagna la preparazione dei megaeventi sportivi mondiali è stato scosso dall’imprevisto risveglio della gente: il ritorno nelle strade di centinaia di migliaia di persone comuni che, in molti casi, hanno scoperto per la prima volta la capacità di poter dire No. Altro che classe media. Non ci sono indizi che indichino questo fiume in piena come passeggero, e appaiono patetiche, almeno per ora, le reazioni di un governo che scommette sul ritorno all’inerzia e dei partiti che si limitano ad agitare il fantasma della destra, la privatizzazione del petrolio e la fine degli ammortizzatori sociali. Dove arriverà e quanto durerà il risveglio del Brasile? Domande inutili, per ora, quel che conta è quanto è accaduto e sembrava non poter accadere più per molti anni.

Non è stato un “cacerolazo brasileiro” contro un governo progressista o di sinistra, come si affretta a dire, classificando, chi vede in Dilma (Rousseff, presidente del Brasile, ndt)  un’alleata di Cristina (Fernández de Kirchner, presidente dell’Argentina, ndt). Non è stata una primavera araba tropicale e neppure una protesta convenzionale causata dall’aumento (delle tariffe dei trasporti pubblici, ndt). Ha lasciato tutti «storditi», dicevano gli analisti sui media.

È stato qualcosa di nuovo. È stato politica. È stato grande. Con tutto il rispetto per la sua originalità, diciamo che, più di un cacerolazo destituente, c’è stato molto del Que se vayan todos contro un governo autistico, lontano dalla gente, e contro un sistema dei partiti che sta lassù «in alto» e non presenta (più?) alcuna alternativa (…). Sono state mobilitazioni che lasciano ancora molte cose aperte, molto da scoprire sulla gente che ha conquistato le strade dopo tanto tempo e che continuerà a dar senso a tutto questo da dentro.

Lo scenario in cui accade: 15 miliardi spesi per organizzare la coppa del mondo in un paese  che continua ad avere decine di milioni di poveri, un paese con scuole e sanità scadenti, pessimi trasporti e le banche come principali beneficiari di tutto il denaro che sta entrando. Non è un dettaglio, il dato sui mondiali di calcio… Forse i 30 miliardi di Belo Monte saranno ancora più scandalosi, ma l’organizzazione del Mundial e delle olimpiadi trascina il Brasile in un clima di megalomania ed entusiasmo completamente commercializzato, sciovinista e imperiale. Nelle strade di 11 città, il 17 giugno è sembrato che questo delirio potesse essere messo realmente in discussione.

Un aumento di 20 centavos nel biglietto dell’autobus e del metro di São Paulo, e della stessa cifra nel resto delle città (aumento deciso da ciascun governo), ha acceso la scintilla. «Il popolo si è svegliato», cantava la gente. «Vieni in strada contro l’aumento» dicevano, mentre la manifestazione andava avanti senza rotta prefissata nella città. In altri cortei si chiedeva a Dilma se (il calciatore, ndt) Neymar valesse più della salute e dell’istruzione, non ricordo bene…

Sono state le mobilitazioni più grandi dal 1992 (affaire Collor de Mello) a oggi. La mancanza di bandiere, canzoni note a tutti, camion con la musica, venditori di bibite, punti di concentramento e percorsi ben stabiliti per sciogliersi dopo la manifestazione, mostravano questo (la novità, ndt). Si cantavano canzoni da stadio, o inventate sul momento. Il concentramento è stato in una zona della città ri-urbanizzata di recente, una zona riscoperta. Siccome non c’era un percorso definito, gli automobilisti hanno dovuto aspettare molte ore agli angoli dei viali occupati, erano seduti ai lati del corteo o dentro le loro auto. A São Paulo, città nella quale abbiamo partecipato alle manifestazioni e dalla quale scriviamo, la manifestazione si è dispersa in almeno tre direzioni. Alcuni sono andati verso il palazzo del governatore dello Stato, uno di quelli che aveva decretato gli aumenti. Altri due cortei sono invece andati verso la Avenida Paulista, dove la polizia aveva vietato l’ingresso il giovedì passato, nella quinta manifestazione sullo stesso tema in pochi giorni (a partire dal 6 giugno).

Il gruppo che organizza è il Movimiento Passe Livre, che nei diversi Stati organizza, in forme orizzontali e apartitiche, la lotta per ottenere un biglietto studentesco ma anche una «tariffa zero» per tutti. Quel movimiento sta facendo innervosire i governanti che non riescono a trovare interlocutori, leader e modi di condurre la lotta prevedibili.

Dilma veniva da una cattiva settimana, l’avevano fischiata all’inaugurazione della Conferation Cup, la competizione-prova in vista del Mundial dell’anno prossimo. La polizia aveva represso i manifestanti anti-coppa e il ministro dello sport aveva avvertito che non sarebbero state tollerate quelle proteste. Poi sono venute le grandi mobilitazioni nelle città con intendenti o governatori del Partido dos trabalhadores (Pt), come São Paulo. Qui, il sindaco Fernando Haddad, ex professore di scienze politiche della Universidade de São Paulo, con tesi svolte su Marx e Habermas, ed ex ministro dell’educazione, si è mostrato inflessibile, adducendo argomentazioni tecniche e giustificando, ad esempio, la repressione poliziesca del corteo precedente. Mentre scriviamo, tuttavia, sembra ci sia qualche possibilità che l’aumento delle tariffe venga annullato, o almeno sospeso con la convocazione di un Consiglio di forze vive della città. Se Haddad non farà un passo indietro, come è già avvenuto con altri governi (Porto Alegre), dovrà vedersela nuovamente con un conflitto nelle strade. Sebbene il carattere completamente nuovo della mobilitazione non lasci prevedere se la mobilitazione possa essere in un nuovo crescendo oppure no. C’è, comunque, già un corteo convocato per oggi alle 18, questa volta vicino alla sede del governo cittadino.

Il giorno delle proteste, il 17 giugno, il governo nazionale ha mirato solo a parlare dei suoi programmi sociali. La settimana scorsa, il ministro della giustizia aveva predisposto truppe federali della polizia per frenare il “vandalismo”, come avviene quando si affrontano i narcos nelle favelas. Nelle reti sociali si è diffusa l’interpretazione secondo la quale si poteva trattare di manovre golpiste della destra (i cacerolazos?) che ricordavano quelle che precedettero il golpe del 1964, ispirato appunto dalla destra. Per alimentare questa interpretazione, è intervenuto Arnaldo Jabor, un famoso giornalista dei notiziari centrali della Tv-Globo. Jabor si è però affrettato a dire che non tutti i manifestanti erano «vandali», come la stampa aveva sostenuto la prima settimana, e che la protesta doveva invece essere appoggiata. Nelle strade, però, si è percepita un’altra cosa. La gente ha preso a inventare rapidamente canzoni contro Jabor, e le proteste contro l’aumento dei trasporti hanno occupato uno spazio lasciato vuoto dal partito che aveva saputo rappresentare le istanze sociali e progressiste. Nei cortei, si sono viste perfino bandiere del Pt.

Sebbene tante cose della protesta (e delle persone che escono in strada per la prima volta) abbiano molto di inclassificabile, di disordinato, di qualcosa che deve ancora essere inventato… l’interpretazione del golpismo non va avanti. A cominciare dal fatto che gli interessi di un eventuale progetto dittatoriale non sono affatto minacciati dal Pt. Il sindaco Haddad, con molti sondaggi favorevoli dopo aver vinto in una città dove generalmente si afferma l’opposizione, segue la presidente Dilma nello spostamento a destra di un partito che governa insieme ai settori più conservatori: i proprietari terrieri, le chiese, gli antichi rivali riciclati dalla dittatura che ora accompagnano il Pt con le stesse reazioni, risposte e interpretazioni che arrivano dal governo. Il programma del Pt include l’aumento dei consumi, «Comprate automobili», raccomandava Lula, mentre Dilma trascorre le sue ore ad amministrare un’impresa di costruzioni chiamata Brasile, realizzando i luoghi comuni di un neoliberismo mescolato con lo sviluppismo degli anni Sessanta e della tecnocrazia burocratizzata.

Ben lungi da un cacerolazo della classe media conservatrice, dunque, quel che è accaduto  è stato che una città ha cominciato recuperare le sue strade. La risposta della polizia contro i «vandali», la repressione violenta e con l’uso dei gas della scorsa settimana, ha spinto molta gente a scendere in strada, specialmente giovani e storici elettori del Pt. L’autismo di questo partito ha contribuito a favorire la creazione di una situazione che sembra poter contenere la forza necessaria a cambiare la politica brasiliana. Non ancora in forme generalizzate, in un paese dove le lunghe transizioni nel segno della continuità sono la regola. Di certo, però, possono farlo coloro che hanno conosciuto la strada e scoperto un mondo nuovo.

Quel che ha direttamente spinto alla protesta, oltre alla violenza della polizia, è stata l’indignazione per un biglietto da un dollaro e mezzo che rappresenta un terzo del salario delle famiglie dei lavoratori. Un trasporto pubblico che è parte del grande problema della circolazione e dei costi del trasporto in tutta la città. Tuttavia, insieme agli slogan contro l’aumento dei 20 centavos si sentiva gridare «Non è solo per i 20 centavos». «I 20 centavos sono il nostro parco della Turchia», spiegava qualcuno. Si tratta di partecipare, trovare una propria voce in una città recuperata.

C’era una nuova São Paulo che scorreva per le strade, una città che era solita essere più conservatrice delle altre (Brasilia, dove ieri è stato occupato il Congresso; Rio de Janeiro, dove la repressione ha usato pallottole di piombo) e che ora ha dato inizio a queste nuove mobilitazioni. Non ci sono indizi che questi siano accadimenti passeggeri. I partiti di sinistra tentano di entrare, spiegare e orientare, il governo scommette sul fatto che la città ritornerà all’inerzia. Le politiche sociali sono come una credenziale di un governo che si sostiene solo con il voto dei progressisti e agitando il fantasma di una destra che, ipoteticamente, sarebbe molto peggiore, perché sarebbe presumibilmente contraria alla Bolsa Familia (il più noto degli ammortizzatori sociali, ndt) e privatizzerebbe Petrobrás.

Eppure, la civiltà delle automobili si è fermata per un giorno. La gente ha marciato nei luoghi della città che generalmente sono occupati dal traffico lento e dagli edifici ben lustrati e che invece sono stati della protesta, dell’arte, dell’incontro. Molti fanno calcoli, elucubrazioni su cosa diventerà tutto questo. Sono domande che dicotomizzano e polarizzano non comprendendo che quello che è importante è ciò che è già successo, ciò che ha significato la gente in strada, e quel che continuerà a significare, i nuovi percorsi aperti dai viali occupati e la forza scoperta per sognare.

 


Salvador Schavelzon è un antropologo argentino, insegna all’università di São Paulo in Brasile

top