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Mercoledì 20 Marzo 2013 11:56

I Balcani dopo il fallimento della Transizione

Il 20 febbraio scorso il primo ministro bulgaro Borisov rassegna le dimissioni, affermando di non voler guidare un esecutivo che reprime la propria popolazione. Le dimissioni arrivano a causa delle grandi mobilitazioni di piazza convocate per protestare contro l'aumento dei prezzi delle utilities. Manifestazioni terminate in scontri, che avevano come obiettivo e rivendicazione principale la richiesta di dimissioni del governo.

Le misure propedeutiche all'ingresso nell'UE hanno portato all'assunzione da parte di Sofia di politiche di austerity pesantissime per la popolazione, già stremata dallo schizzare dei prezzi di gas ed elettricità, in una fase di recessione e di disoccupazione galoppante. Le politiche di austerity di Bruxelles già viste all'opera in altri stati hanno effetti devastanti anche qui, nella Bulgaria post-socialista sospesa tra un passato troncato di netto e un presente sull'orlo del precipizio.

La Bulgaria non è l'unico stato dei Balcani e dell'Europa Centrale ad avere una simile situazione sociopolitica. Romania, Albania, Croazia, Slovacchia,Slovenia, sono tutti paesi dell'area centroeuropea che hanno visto forti mobilitazioni sociali negli ultimi anni, dovuti piu che altro all'insostenibilità delle misure di austerity e allo strapotere delle grandi imprese che gestiscono le utilities a livello transnazionale (Evn, Cez, Energo Pro) e che scaricano i costi della crisi sugli strati più deboli della popolazione con l'appoggio delle politiche governative.

Le proteste non hanno avuto la stessa eco mediatica della situazione greca, o delle proteste crescenti in Spagna, Portogallo e Italia, non essendo stati fondamentali negli equilibri mondiali come quelli appena citati. Eppure queste zone sembrano avere tutte le condizioni per essere delle vere e proprie polveriere, all'interno del fallimento della BalkanPolitik europea che sulle macerie post-1989 ha via via cercato di integrare i Balcani con politiche di stampo neocoloniale. 

La cosiddetta Transizione sta crollando su sè stessa, insieme alle promesse da "fine della storia" che in una vera e propria nemesi hanno preso la forma dello strangolamento propedeutico all'accesso nell'eldorado UE. Privatizzazioni, riduzioni di salari, nuove tasse, tagli al welfare sono le politiche applicate a livello universale, dei veri e propri dogmi dettati da Bruxelles che ne ha fatto la base della sua strategia politica nell'area, con effetti disastrosi.

La soluzione del rifiuto del debito, così come quella della nazionalizzazione delle compagnie energetiche sono osteggiate dagli stati centroeuropei che adducono le motivazioni del peso che questo processo avrebbe sulle finanze pubbliche, sugli investimenti stranieri, sulla credibilità internazionale. Insomma, sulle condizioni di dipendenza dettate dal neoliberismo all'occidentale, il vero sistema economico e politico sotto attacco in Centro Europa, sia che prenda le forme dei memorandum greci, dell'aumento delle tariffe bulgare, della dilagante corruzione slovena e cosi via.

Ma non c'è solo Bruxelles a contare nell'area. A livello geopolitico anche gli interessi russi sono evidenti: attraverso il controllo delle forniture di gas Putin riesce a tenere sotto la sua morsa non solo l'Ucraina e la Bielorussia ma anche gran parte dell'Europa in ebollizione: una direttrice strategica della politica estera russa invariata nel corso degli anni.

L'instabilità politica bulgara è preoccupante per Mosca, che ha in cantiere la costruzione del gasdotto South Stream: la proposta di Putin potrebbe allora essere quella di concedere temporanei sconti nella fornitura di gas ai bulgari (sul cui territorio passerà il gasdotto) per calmare la mobilitazione sociale. Una mobilitazione che spaventa anche Bruxelles, che è però anche il più grande promotore del progetto Nabucco, ovvero di un oledotto concorrente al South Stream, che passa anch'egli dal territorio bulgaro e sul quale si gioca una grande battaglia sotterranea con la Russia.

Una situazione geopolitica intricata, nella quale le mobilitazioni sociali hanno dimostrato di poter contare molto e di potersi ergere a elemento destabilizzante di guerre di potere che avvengono ai piani alti ma che concordano nel costruire un futuro di impoverimento massificato basato sulle dottrine dell'austerity.

Tutte mobilitazioni sociali slegate dalla dimensione partitica e sindacale, a trazione giovanile, che non sopportano più le conseguenze sociali di questo sistema economico e che notano la dimensione transnazionale del conflitto. Basti pensare allo sciopero generale svoltosi in Grecia immediatamente dopo le dimissioni di Borisov con la parola d'ordine di cacciare il governo Samaras. Oltre a quella contro i tagli e al debito, la lotta alla corruzione ha dimostrato di essere un elemento potenzialmente massificante e ricompositivo.

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