FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG
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25 luglio 2013

L’Ue deve raddrizzare Sofia
di Reinhard Veser

Le istituzioni bulgare sono in mano alle oligarchie criminali e alla nomenclatura ex comunista. L'Unione europea dovrà giocare di fino per intervenire senza macchiarsi di ingerenza.

Quasi un migliaio di manifestanti si sono riuniti la settimana scorsa davanti all’ambasciata tedesca di Sofia. Il raduno si è svolto ancora una volta nel clima pacifico che caratterizzava le manifestazioni quotidiane contro il governo bulgaro, fino alla radicalizzazione del movimento nella notte del 24 luglio: per ringraziare l’ambasciatore tedesco i manifestanti hanno ricostruito la caduta del Muro di Berlino. Con l’ambasciatore di Francia, egli aveva firmato un articolo pubblicato su uno dei principali giornali bulgari nel quale i due diplomatici avevano apertamente comunicato le loro simpatie per i manifestanti scesi per strada a migliaia tutte le sere a Sofia contro il governo “mafioso”.

Il messaggio di questo “gesto anormale e inqualificabile”, secondo i termini usati dal governo bulgaro, è il seguente: “L’appartenenza all’Unione europea è una scelta di civiltà con la quale il modello oligarchico non è compatibile né in Bulgaria né altrove”. Se la rimostranza è giustificata, non può in ogni caso fare testo. Nel corso dei 23 anni che hanno seguito la caduta della dittatura comunista, alcune consorterie, per lo più facenti parte un tempo dell’ex nomenclatura o dei servizi segreti comunisti, hanno fagocitato un buon numero di istituzioni dello stato bulgaro per poter condurre i loro affarucoli nell’ambito di quella vasta “zona grigia” che sussiste tra politica, economia e crimine organizzato. Anche se si detestano mortalmente e reciprocamente, le fazioni che compongono questo ambiente formano tutte insieme una cerchia molto chiusa, un “modello oligarchico”.

Come deve comportarsi l’Ue nei confronti di uno stato del genere ? La Bulgaria non si comporta come dovrebbe fare uno stato membro, e nondimeno non infrange alcun trattato europeo e non viola alcun diritto fondamentale. Il potere degli oligarchi si esercita in modo informale, dietro le quinte, a prima vista nel rispetto delle normative, al punto che gli strumenti giuridici che devono permettere all’Unione di agire contro le trasgressioni sono privi di effetto o quasi. A prima vista la Bulgaria risponde ai requisiti di una democrazia.

Non si può nemmeno dire che si tratti di una semplice facciata. In effetti, il risultato delle elezioni è aperto, il parlamento dialoga, la giustizia è indipendente, i media criticano il governo e la società civile non è sotto la tutela dello stato. È pressoché impossibile distinguere tra le manifestazioni normali di un regime democratico e i sintomi di una corruzione tentacolare nell’ambito dei movimenti politici e dello stato.

Riforme interrotte

I grandi partiti bulgari fanno appello alla democrazia e a tutto ciò che serve per non dare a Bruxelles un’immagine negativa del paese. Il capo del partito socialista Sergei Stanišev è presidente dei socialdemocratici europei e sa benissimo come ci si deve comportare quando si ricopre tale funzione. Si mostra di rado nella sua vera luce, come accadde a metà giugno quando, quindici giorni dopo l’entrata in funzione del governo diretto dal suo partito, ha cercato di mettere alla testa dei servizi segreti un deputato e magnate della stampa di dubbia reputazione, scatenando le attuali proteste.

Prima dell’adesione della Bulgaria all’Ue nel 2007 si conosceva già nei minimi dettagli la sua situazione, ed è per questo che il paese è stato oggetto di una vigilanza tutta particolare, proprio come la Romania. Ma all’epoca l’analisi politica, favorevole all’adesione dei due paesi, aveva maggiore importanza rispetto al resto, proprio come la speranza di una maggiore democratizzazione dopo l’adesione. Ma è accaduto esattamente il contrario: una volta “messa in saccoccia” l’adesione, il governo ha abrogato le riforme iniziate, per esempio in materia di giustizia. È così iniziato una sorta di braccio di ferro tra differenti fazioni per il controllo delle istituzioni incaricate di amministrare i fondi europei.

Finché non commetteranno errori madornali, l’Ue ha le mani legate. Lo si vede al momento in Romania: da un anno il governo del primo ministro Victor Ponta ha portato avanti una sorta di colpo di stato mirante a mettere i bastoni nelle ruote alla giustizia anticorruzione. La violazione del diritto era così flagrante che la Commissione europea è intervenuta.

Ponta ha subito uno smacco dal quale ha tratto qualche insegnamento: ha raddoppiatole precauzioni nel suo progetto di riforma della costituzione che deve condurre al medesimo scopo, ma priva Bruxelles di appigli giuridici. I mezzi di pressione politica sono limitati: Ponta può presentarsi come democratico e sostenere di aver vinto le elezioni.

A maggior ragione è importante che la Commissione europea e gli altri stati membri facciano chiaramente intendere che sanno cosa succede, e che colgano ogni occasione che si presenta, come quella odierna in Bulgaria, per mettere in difficoltà le reti di oligarchi-criminali.

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