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domenica 10 marzo 2013 18:17

L'American dream che non esiste più
di Augusto Rubei



I senza tetto crescono nelle metropoli degli States, a New York si contano almeno 21mila bambini che vivono come clochard. Sul versante opposto il Paese dell'obesità

Se è vero che l'attuale crisi dei debiti sovrani ricorda il collasso seguito alla Grande Depressione, è anche vero che il tracollo del sistema produttivo americano ha finito di scoperchiare il pentolone delle nefandezze in un Paese dove i paradossi, oramai, contraddicono gli stereotipi di onnipotenza che negli anni hanno fatto grande gli Stati Uniti.

Parafrasando per paradossi, appunto, pensiamo all'American Dream, il 'sogno americano', ovvero la speranza condivisa dagli statunitensi o dagli aspiranti tali che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica.

"I have a dream" diceva Martin Luther King durante la marcia per il lavoro e la libertà davanti al Lincoln Memorial di Washington, ma pensava ad altro. Chiedeva che ogni uomo venisse riconosciuto uguale, con gli stessi diritti e le stesse prerogative.

Dopo quasi mezzo secolo di storia, invece, l'America non è ancora cambiata, anzi, il sogno è svanito da un pezzo. Lo dimostrano i recenti dati diffusi dall'US Department of Housing and Urban Development, secondo cui nel mese di gennaio, per fare un esempio, a New York circa 50 mila persone hanno dormito nei centri di assistenza.

Il senso comune li chiama senzatetto, clochard, nullatenenti. Tra questi ben 21 mila (quasi la metà) sono bambini. Un dato che dimostra una tragica impennata del 22 per cento rispetto all'anno precedente, soprattutto se si considera che anche a Boston, la piu' grande citta' del New England, si contano 1.166 nuclei familiari privi di un'abitazione, mentre a Washington i senzatetto sono cresciuti del 18%.

I numeri scandiscono un nuovo e spaventoso trend nazionale: l'aumento, tra quegli americani che avevano, e che forse hanno ancora l'American Dream, della quantità di famiglie senza una casa permanente. Nel 2013, a conti fatti, il 'sogno americano' oltre che svanito, per molti è diventato un incubo.

The second paradox. McDonald's, Burger King, ovvero fast food, quindi junk food, fat tax, ovvero cibo spazzatura e tassa sul grasso: gli Stati Uniti sono da decenni anche il regno dell'obesità. Girare per le strade e i grattacieli del nuovo continente senza ritrovarsi al fianco un bambino ciccia e brufoli in sovrappeso accompagnato dal papà mentre entrambi, soddisfatti, tengono in una mano Triple Baconator di Wendy's da 1350 calorie e nell'altra una Pepsi da mezzo litro non dev'essere una rarità.

La campagna "Let's move" lanciata da Michelle Obama è stato un tiepido atto di coraggio, la realtà parla di un bambino su 3 che soffre di problemi di obesità. I Centri nazionali Usa per il controllo delle malattie e per la prevenzione hanno registrato che dal 2007 negli States gli obesi sono aumentati in ben 39 stati su 50, per un totale di 75 milioni, vale a dire il 25% della popolazione statunitense.

Numeri da capogiro, rettificati tuttavia da un documentario in uscita in questi giorni negli Stati Uniti: 'A Place at the Table', un posto a tavola, a cura di Participant Media e Magnolia Pictures, diretto da Lori Silverbush e Kristi Jacobson. Il filmato denuncia la presenza di 50 milioni di americani costretti a sopravvivere nella tragedia della fame. Un bimbo su quattro, nel Paese dell'obesita', e' infatti 'food insicure', la formula con cui gli esperti definiscono chi non e' certo di trovare qualcosa da mangiare a fine giornata. Un problema già noto alla società statunitense, ma che si presenta in modo ancora piu' grave in questi anni di crisi economica.

La saga delle contraddizioni Usa si chiude con uno dei temi più a cuore dell'economia a stelle e a strisce: le spese miliari per rilanciare il comparto della Difesa. L'ago della bilancia di tutte le amministrazioni che da sempre hanno messo piede nella Casa Bianca con lo scopo di ricordare al mondo di essere loro, su tutti, i padri di tutte le guerre, o della pace internazionale per dirla come Washington. Eppure il Piano Marshall, così come la stessa guerra al terrorismo in Iraq, Afghanistan e Pakistan oggi sono scenari lontani anni luce.

Il mancato intervento militare in Siria e i continui richiami del segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ad un incremento delle quote contributive dei Paesi membri dell'Ue nelle casse dell'Alleanza sono il segno che da sola l'America non può più farcela.

L'esercito americano ''deve prepararsi al peggio'' poiche' rischia di essere investito ''da una tempesta di incertezze'' legate all'approvazione del bilancio 2013, aveva tuonato a gennaio il capo del Pentagono uscente Leon Panetta, rivolgendosi al Campidoglio a poco meno di una settimana dalla promulgazione dell'American Taxpayer Relief Act, la legge approvata dal Congresso per evitare il fiscal cliff.

Così, a 5 anni dalla crisi dei mutui subprime scatenata dalla bancarotte di Lehman Brothers, gli Stati Uniti si ritrovano a fare i conti con terzo paradosso che potrebbe costargli un pacchetto di austerity massiccia tra le proprie forze armate con una riduzione dei finanziamenti al Dipartimento pilastro dell'America fino a decine miliardi di dollari.

Un nuovo campanello di allarme in vista degli attuali orientamenti militari implementati verso il Medio ed Estremo oriente, ma soprattutto alla luce del processo di transizione previsto nell'Afghanistan del post-2014. Un nuovo campanello di allarme nel Paese dove i paradossi, senza ombra di dubbio, sono oggi il pilastro della crescita economica e, allo stesso tempo, anche di una drammatica decresita sociale.

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