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22/04/2013

Viaggio nella Grecia in Vendita e in Resistenza
di Caterina Amicucci e Carlo Dojmi

La società petrolifera costa mezzo miliardo di euro, l’aeroporto di Atene 700 milioni. Più a buon mercato – 400 milioni – il “pacchetto” che include tutti gli aeroporti regionali, e 550 milioni per la lotteria di Stato. La lista della spesa l’ha fatta Taiped, ed è il fondo statale creato in seguito ai memorandum che la Grecia si è vista costretta a firmare con l’Unione Europea per accedere agli aiuti comunitari.

Un vero e proprio discount di tutti gli asset pubblici in vendita ad un prezzo stracciato per gli investitori privati. Una mega svendita di tutti i beni pubblici dalla quale la Grecia otterrebbe 7 miliardi di euro. Una cifra assolutamente irrilevante, se paragonata ai 270 miliardi del debito greco. La lista si allunga di giorno in giorno con porti, terreni e perfino intere isole. Un paradiso per gli investitori che come falchi attendono impazienti di acquistare il Paese pezzo per pezzo.

Il Fondo Monetario Internazionale, che l’anno scorso ha visitato il ministero delle Finanze per “insegnare” ai suoi dipendenti come valorizzare il patrimonio pubblico, ha insistito affinché anche il Partenone, gli scavi archeologici, le foreste e tutti gli altri beni naturali venissero inventariati, per il momento con un valore simbolico. Ma visto che nessuna di queste misure sortirà un qualche risultato tangibile sulla crisi greca, appare evidente quale sarà la prossima frontiera.

Il primo esempio concreto dell’inutilità di questo piano di vendite forzate riguarda la gestione dell’acqua. Lo scorso 21 febbraio, il Taiped ha pubblicato una gara pubblica per la vendita del 51% dell’EYTAH, la società che gestisce il servizio idrico a Salonicco. Il ricavo previsto è di 80 milioni di euro. La società, che per il 25% è già in mano ai privati, non offre ai cittadini un servizio no-profit. Ogni anno apporta nelle casse dello Stato circa 20 milioni. Dunque nell’interesse di chi viene ceduta ai privati? La risposta appare scontata, anche considerando che il primo ministro francese Francois Hollande ha da poco visitato il paese in compagnia di rappresentanti di Suez e Veolia, le due principali multinazionali del settore idrico d’oltralpe. Ecco perché queste misure non serviranno a salvare la Grecia, ma solo a privarla del controllo di tutte le infrastrutture e delle risorse fondamentali.

Sembra una beffa, ma la corporation mineraria canadese che ha acquistato un terreno demaniale per 11 milioni di Euro nella penisola calcidica per avviare l’estrazione dell’oro si chiama proprio Eldorado Gold.

La popolazione locale ha messo in atto una serie di proteste: le attività inquinanti della miniera a cielo aperto avrebbero infatti delle ripercussioni terribili per l’ecosistema locale. Per di più, Skouries – il sito dove si scava – è una località turistica e lo sfruttamento intensivo del territorio avrebbe anche delle conseguenze nefaste per l’economia. Tuttavia il governo ha deciso di non seguire la strada del dialogo. Ed è così che a gennaio una marcia di protesta è stata repressa nel sangue. I corpi speciali si sono scagliati contro i manifestanti con una violenza inaudita.

Lo spiegamento di forze dell’ordine ad Atene è impressionante. In molti parlano di “Stato di polizia”. Una polizia che fa sempre più paura e che opera indisturbata a fianco di Alba Dorata, il partito di estrema destra che alle elezioni del giugno scorso ha conquistato 18 seggi in parlamento e sembra avere un consenso in ulteriore ascesa.

Di giorno indossano le divise e di notte compiono raid razzisti (anche secondo una testimonianza raccolta dal Commissario europeo per i diritti umani, Nils Muižnieks). Il caso più eclatante delle ultime settimane è stato quello di Babakar Ndiaye, venditore ambulante senegalese morto dopo essere caduto sui binari della metro di Thissio ad Atene, dopo un intervento della polizia municipale.

Il Paese vive una situazione difficile all’interno della quale il movimento che aveva animato le giornate di piazza Syntagma nel giugno 2011 (oggi nella piazza è vietata qualunque tipo di manifestazione), stenta a ritrovare lo stesso vigore unitario, ma sembra piuttosto essersi ristrutturato nei quartieri e in numerose iniziative di lotta, solidarietà e resistenza locale.

Alla periferia di Salonicco tra capannoni e centri commerciali c’è una fabbrica che ha suscitato l’attenzione e la solidarietà dell’intero Paese. Si chiama Vio.Me.  (Biomeccanica Metallica), fino a poche settimane fa dismessa per la crisi e ora invece recuperata dagli operai. Il 12 febbraio, dopo diverse assemblee, hanno ripreso le attività in un regime di autogestione.

Dopo 21 mesi senza stipendio, una parte dei settanta lavoratori ha infatti deciso che era il momento di riprendersi la propria dignità e cercare una strada per resistere alla crisi. Si sono attivati, consapevoli del fatto che la loro fabbrica non era stata chiusa perché in perdita, ma in quanto tassello di un fallimento più ampio della “casa madre”, la Filkeram, che si era portata dietro anche le consociate. Ora vogliono riprendere la produzione a pieno regime, integrando anche detersivi ecologici, che andranno a soddisfare la domanda del vasto movimento di filiera corta sviluppatosi da quando la crisi ha cominciato a mordere.

Sono molte le iniziative di auto organizzazione che hanno preso piede negli ultimi due anni. “Solidarity for all“  legata a Syriza, che alle ultime elezioni ha conquistato un consenso mai registrato prima da un partito di sinistra, ha creato uno database online dove si può  trovare la mappatura delle iniziative autogestite e di mutualità. I piccoli produttori si sono organizzati in cooperative, i consumatori in gruppi d’acquisto e stanno aprendo numerosi punti di vendita diretta nelle principali città. Perfino il tabacco si acquista a chilometro zero e la banca del tempo si sta diffondendo molto rapidamente.

Le solidarity clinics stanno spuntando come funghi. I medici volontari cercano di sopperire ai tagli attuati sul servizio sanitario. Il trattamento medico infatti non è più gratuito e garantito a tutti. Le medicine non sono “mutuabili” come un tempo. In più, le multinazionali del settore come la Roche e la Novartis hanno ormai interrotto la distribuzione dei farmaci senza un pagamento anticipato. Gli ospedali sono a corto di medicinali e i dottori, ai quali il salario è stato ridotto da 1500 a 900 euro, si alternano tra i nosocomi e le cliniche auto organizzate.

Il terzo aggiustamento strutturale dettato dalla troika, formata dalla Commissione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale, e ratificato dal governo greco a novembre scorso prevede una riduzione delle spese sanitarie del 20% ed ulteriori tagli per un totale di 13 miliardi di euro. Anche questa appare poca cosa rispetto ai 270 miliardi di debito. La Grecia in realtà è già tecnicamente fallita, perché nessuna di queste misure è in grado di sanare la situazione. La questione è quando il default verrà finalmente dichiarato.

Alcuni attivisti della campagna greca per l’audit del debito sono pronti a scommettere che ciò avverrà quando tutte le infrastrutture e le società pubbliche saranno vendute, una sorta di moneta di scambio per l’insanabile insolvibilità. Dietro lo slogan “No debt, no Euro” si battono per la cancellazione del debito e per un uscita pilotata dalla zona Euro prima che sia troppo tardi, ovvero quando sarà stato venduto tutto e non rimarrà più nulla. Purtroppo però anche Syriza, che ha costruito il suo consenso elettorale su posizioni simili, sembra aver assunto toni più moderati. Oggi parla di una rinegoziazione di una parte del debito e rifiuta alcun tipo di azione unilaterale. Questo ha generato un accesso dibattito interno ed esterno sul futuro dell’unica forza politica in grado di dare un’alternativa concreta alla situazione autolesionista in cui versa il paese. Ma bisogna fare presto, prima che la svendita della Grecia sia completata.

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