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23/1/13

Sta arrivando l’inferno, ma i candidati non lo vedono

Sull’Italia sta per scatenarsi l’inferno, ma nessuno lo dice chiaro e tondo: sia i politici che i grandi media non hanno ancora spiegato cosa significano, in concreto, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Tagli sanguinosi: 40 miliardi di euro all’anno, per vent’anni. Traduce Luciano Gallino: vuol dire ridurre in miseria due o tre generazioni di italiani, e retrocedere la nostra economia in sedie D. E tutto questo, aggiunge Giorgio Cremaschi, sulla base di miseri calcoli tragicamente errati: la Merkel, Draghi e Monti hanno inaugurato le micidiali politiche di rigore credendo che un punto di taglio del deficit pubblico avrebbe ridotto la crescita di mezzo punto. Tutto sbagliato: un punto di tagli produce un mezzo di danno economico, cioè tre volte le previsioni. A dirlo non è Cremaschi, ma il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, come riporta il “Sole 24 Ore”.

Tecnocrati incapaci, oltre che spietati: «Hanno sbagliato i conti – dice Cremaschi – e la politica di austerità che hanno consapevolmente deciso ha prodotto disoccupazione e povertà tre volte di più di quanto avevano pensato di farci pagare». Ecco spiegata la dismisura della spirale recessiva, sempre più pesante e senza soluzioni, che sta dilagando in Europa. «In concreto – scrive Cremaschi su “Micromega” – questo vuol dire che il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, votato anche da Lega e Idv», comporta un’austerity «non più economicamente e socialmente sostenibile», perché il patto fiscale europeo ci obbliga a dimezzare il debito pubblico in appena vent’anni. E’ l’orrore sociale del Fiscal Compact, di cui i media prefriscono parlare il meno possibile, «con buona pace della politica di unità nazionale che ha deliberato queste scelte e dello stesso Presidente della Repubblica che le ha auspicate e benedette».

Scelte sciagurate, che secondo Cremaschi «vanno concretamente e rapidamente messe in discussione, cioè revocate», perché per rimediare a danni epocali «sarà necessaria una politica economica di segno opposto a quella sinora attuata». Una nuova politica democratica, «che come prima misura decida di rompere il tabù liberista che domina il nostro continente». E’ il tabù del debito e del pareggio di bilancio, spauracchio «che invece viene messo in discussione nel resto del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone alla Cina all’America latina», dove peraltro le economie si basano su moneta sovrana, senza cioè il ricatto di una valuta “straniera” come l’euro. Parliamoci chiaro, insiste Cremaschi: «Per affrontare la crisi e il suo primo effetto, la disoccupazione di massa, bisogna spendere soldi pubblici», come fa Obama, «senza timore di avere un bilancio in deficit». E dunque: «In Italia e in Europa deve saltare tutto il sistema di patti, accordi e regole che promuovono e disciplinano l’austerità».

In Italia invece il confronto elettorale parla d’altro, aggiunge Cremaschi, anche se la campagna elettorale si fonda sulle promesse più varie. «Monti evidentemente non può certo smentire sé stesso, Berlusconi è sicuramente capace di farlo ma proprio per questo non ha alcuna credibilità». E Bersani? «Nel proprio programma elettorale ha scritto che si impegna a rispettare tutti gli impegni assunti e lo ribadisce in continuazione per rassicurare l’Europa e lo spread». Ma se si allarga l’orizzonte, il risultato non cambia: «Anche chi si oppone a questi tre leader e ai loro schieramenti non affronta davvero questi temi, e in ogni caso non li mette al centro della propria propaganda». Grillo, per esempio: «A volte ne parla, ma poi al centro di tutto mette la lotta al sistema dei partiti». E Ingroia? Lui pure ne fa accenno, «ma ben dopo i temi della legalità che gli sono più cari». Così, nel confronto sulla politica economica «trionfano i “ma anche” di veltroniana memoria». Coniugare austerità e crescita, rigore con equità? «Sono formulette abusate, che non vogliono dire un bel nulla».

La crisi economica mondiale, aggiunge Cremaschi, si è alimentata pochi anni fa dalla esplosione della bolla finanziaria. In Italia, la crisi politica è letteralmente assorbita in una bolla mediatica, che sta gonfiando queste elezioni presentando uno scontro tanto più aspro quanto più si allontana dalle decisioni vere da assumere. «Prima o poi la bolla mediatica scoppierà come è successo per i quella dei derivati», dice Cremaschi. E allora, «il peso delle decisioni non prese e nemmeno discusse davvero si abbatterà su di noi con il perdurare della crisi». Ci sono le elezioni a febbraio? Bene. Non resta che «pretendere da chi si candida» di chiarire un punto fondamentale: «Dica con chiarezza se vuol mantenere o mettere in discussione pareggio di bilancio e Fiscal Compact: è su questo che ci si divide in Europa alle elezioni e sarebbe ora che accadesse anche da noi, nonostante la bolla mediatica».

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