Originale: New York Times
http://znetitaly.altervista.org
10 novembre 2013

L’economia mutilata
di Paul Krugman
traduzione di Giuseppe Volpe

Sono trascorsi cinque anni e undici mesi da quanto l’economia statunitense è entrata in recessione. Ufficialmente tale recessione è terminata a metà del 2009 ma nessuno sosterrebbe che abbiamo avuto qualcosa di simile a una piena ripresa. La disoccupazione ufficiale resta elevata e sarebbe molto più alta se così tante persone non avessero smesso di cercare lavoro. La disoccupazione a lungo termine – il numero di persone senza lavoro da sei o più mesi – è quattro volte quella che era prima della recessione.

Queste cifre aride si traducono in milioni di tragedie umane: case perdute, carriere distrutte, giovani che non riescono ad avviare una vita propria. E molti hanno continuamente implorato politiche che pongano al primo posto la creazione di occupazione. Ma le loro suppliche sono state sommerse dalle voci della prudenza convenzionale. Non possiamo spendere altri soldi per l’occupazione, dicono tali voci, perché si tradurrebbero in ulteriore indebitamento. Non possiamo neppure assumere lavoratori disoccupati e investire fondi inattivi per costruire strade, gallerie, scuole. Lasciamo perdere il breve termine, dobbiamo pensare al futuro!

L’amara ironia, poi, è che risulta che tralasciando di affrontare la disoccupazione abbiamo, in realtà, sacrificato anche il futuro. Quella che di questi tempi passa per politica solida è in realtà una forma automutilazione economica, che paralizzerà gli Stati Uniti per molti anni a venire. O almeno così dicono ricercatori della Federal Reserve e mi rincresce dire che io credo a loro.

Di fatto sto scrivendo questo dal grande congresso di ricerca tenuto ogni anno dal Fondo Monetario Internazionale. Il tema della festa di quest’anno sono le cause e le conseguenze della crisi economica e i discorsi spaziano su temi dal buono (la sorprendente stabilità dell’America Latina negli anni recenti) al cattivo (la continua crisi in Europa). E’ parecchio chiaro, tuttavia, che il documento clou del congresso sarà un documento che si concentrerà sul davvero orribile: la prova che tollerando l’elevata disoccupazione abbiamo inflitto grandi danni alle nostre prospettive di lungo termine.

Come mai? Secondo il documento (dal titolo dimesso “Offerta aggregata negli Stati Uniti: sviluppi recenti e implicazioni per la conduzione della politica monetaria”) il nostro crollo apparentemente senza fine ha provocato danni a lungo termine lungo molteplici canali. I disoccupati a lungo termine finiscono per essere considerati non occupabili; gli investimenti aziendali rallentano a causa delle vendite deboli; non sono avviate nuove aziende e quelli esistenti lesinano sulla ricerca e sviluppo.

Per di più gli autori – uno di essi è il direttore delle ricerche e delle statistiche del Consiglio della Federal Reserve, dunque non stiamo parlando di accademici oscuri – hanno attribuito un numero a questi effetti, ed è terrificante. Suggeriscono che la debolezza economica abbia già ridotto il potenziale economico degli Stati Uniti di circa il 7 per cento, il che significa che ci rende più poveri al ritmo di un trilione di dollari l’anno. E non stiamo parlando delle perdite di un solo anno; stiamo parlando di danni a lungo termine, un trilione di dollari l’anno per molti anni.

Tale stima è il prodotto finale di complesse elaborazioni di grandi quantità di dati e si può cavillare sui dettagli. “Ehi, forse stiamo perdendo solo 800 miliardi di dollari l’anno”. Ma è schiacciante la prova che non reagendo efficacemente alla disoccupazione di massa – non facendo nemmeno della disoccupazione una grande priorità politica – abbiamo provocato a noi stessi danni a lungo termine.

E si tratta, come ho detto, di un’amara ironia, perché una delle principali ragioni per cui abbiamo fatto così poco riguardo alla disoccupazione è la predicazione delle censure del deficit, che si sono ammantate di senso di responsabilità nei confronti del lungo termine, che sono riuscite a identificare nella mente del pubblico con il freno all’indebitamento del governo.

Ciò non ha mai avuto senso nemmeno nei suoi stessi termini. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, anche se può creare problemi, non rende più povera la nazione, perché è denaro di cui siamo debitori nei confronti di noi stessi. Chiunque parli di come ci stiamo indebitando nei confronti dei nostri figli, semplicemente non ha fatto i conti.

Vero: il debito può renderci indirettamente più poveri se i deficit spingono i tassi di interesse al rialzo e in tal modo scoraggiano gli investimenti produttivi. Ma questo non è successo. Gli investimenti sono bassi, invece, a causa della debolezza dell’economia. E una delle cose principali che mantiene debole l’economia è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – specialmente, per inciso, dei tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati nel nome della protezione del futuro dalla minaccia, enormemente esagerata, del debito eccessivo.

C’è una qualche possibilità di fermare questi danni? I ricercatori della Fed sono pessimisti e, ancora una volta, temo che probabilmente abbiano ragione. Gli Stati Uniti probabilmente trascorreranno anni a pagare per le priorità sbagliate degli ultimi pochi anni.

E’ davvero una storia terribile: una storia di male autoinflitto, reso tanto più peggiore perché fatto nel nome della responsabilità. E mentre stiamo parlando il danno si aggrava.  


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-mutilated-economy-by-paul-krugman.html

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