Le Quotidien d’Oran
http://www.ossin.org
17 gennaio 2013

Fatto compiuto

di M. Saadoune

In Amenas subisce in pieno le conseguenze della guerra maliena. Più presto di quanto ci si attendesse. La guerra scatenata da Parigi - e la cosa non sorprende nessuno - provoca un onda d’urto che può estendersi a diversi paesi. Il colpo è duro per l’Algeria e per la sua industria petrolifera e del gas. Pone in evidenza delle falle in un dispositivo securitario considerato molto efficiente in una regione molto sensibile. Ed è tanto più inquietante dal momento che avrebbe dovuto essere atteso dopo l’annuncio dell’apertura dello spazio aereo algerino agli aerei francesi.


Che insegnamento le autorità intendono trarre da questo pessimo colpo? E’ una domanda importante e grave. L’Algeria deve farsi progressivamente travolgere dalla guerra in Mali e “partire”? Come sempre i fatti possono essere utilizzati a sostegno di una tesi e del suo contrario. Alcuni potranno dire che, dopo In Amenas, bisognerà “andare” in Mali per farla finita coi gruppi terroristi. Altri segnaleranno che è esattamente questa la peggiore trappola nella quale potrebbe cadere l’Algeria : impantanarsi nel Nord del Mali, proprio quando ha tanto da fare per proteggere il territorio nazionale. Non bisogna avere paura di sollevare le questioni e il timore di essere accusati di compiacenza verso gli jihadisti è inaccettabile. Quando François Hollande ripete che la Francia non ha intenzione di restare indefinitamente in Mali e che il suo unico obiettivo è di fare a pezzi la minaccia terrorista, manda un messaggio a doppio senso. Il primo è di “dimostrare” il carattere non colonialista dell’intervento.


Su questo punto, occorre rimarcare che perfino Valery Giscard d’Estaing nutre qualche dubbio. E non è certo la presenza di truppe africane al fianco dell’esercito francese che può mutare la natura delle relazioni della Francia con questi paesi africani, una sfilza di Stati largamente informali che sono il risultato della politica francese nel continente. Non esistono interventi militari disinteressati. Quando i popoli dell’Africa, schiacciati dal saccheggio, chiedevano soccorso, l’ex metropoli, che sembra spenda oggi 400.000 euro al giorno nell’avventura militare maliena, ha loro inviato il FMI e la Banca Mondiale. Per fare accettare una guerra, occorre evitare ragionamenti complicati, lo schematico e il sommario sono appropriati. Così si possono occultare i problemi di fondo, che essi stessi hanno creato. Il Mali ne è un esempio.


L’emergere tra la popolazione tuareg di movimenti jihadisti è il tragico risultato dell’abbandono di intere popolazioni e regioni. E questi desperados forniscono oggi il pretesto ideale per l’intervento extra-continentale. E, come altrove in Africa, sarebbe illusorio pensare che questa guerra asimmetrica sarà confinata alla zona di origine del conflitto. Il raid in una base petrolifera a In Amenas ne è una dimostrazione e sarebbe peraltro vano pensare di affidarsi ad un dispositivo militare, per quanto sofisticato possa essere, che garantisca la sicurezza di regioni immense e miserabili. La crisi maliena è la conseguenza della avventura libica condotta dalla Francia e Dio solo può immaginare le conseguenze di questa nuova guerra.  E se François Hollande dice che la Francia non ha intenzione di restare in Mali, questo suona come una sorta di avvertimento e intimazione. Adesso che il fuoco è stato acceso nel Sahel, gli altri, tra cui l’Algeria, devono provvedere a spegnerlo. Il fatto è compiuto e il dado è tratto.  

top