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mercoledì 2 ottobre 2013 09:47

L'immenso bagno di sangue iracheno
di Sonia Grieco



La violenza settaria travolge il Paese: 975 morti negli attentati di settembre. Il governo alimenta le divisioni. La scorsa settimana 23 "terroristi" giustiziati in due giorni

Roma, 2 ottobre 2013, Nena News - Il drammatico bilancio, 975 morti, degli attentati di settembre getta sull'Iraq l'ombra di una guerra civile, facendo tornare alla memoria gli anni dal 2006 al 2008, quando le violenze settarie fecero decine di migliaia di vittime.

Lo scontro tra sciiti, che guidano il Paese, e sunniti, che al tempo di Saddam Hussein erano la classe dirigente, si è acuito da mesi e ormai il l'Iraq è teatro di attentati suicidi o con autobombe, che quasi quotidianamente colpiscono i quartieri, le moschee e i luoghi frequentati in prevalenza dagli sciiti. Le vittime sono soprattutto civili e la città più colpita è la capitale Bagdad. Ma lo scorso fine settimana una serie di attacchi a Erbil, la capitale della provincia autonoma del Kurdistan, ha interrotto un periodo di relativa calma in quest'area che non veniva colpita dal terrorismo da sei anni.

La "rappresaglia" sunnita contro gli sciiti si è intensificata lo scorso aprile, in seguito al blitz delle forze governative nel campo di protesta allestito dai sunniti, che lamentano discriminazioni, nella città di di Hawija, nella provincia di Kirkuk. Nell'operazione di polizia furono uccise oltre 50 persone e 110 rimasero ferite. Da allora gli attentati si sono moltiplicati e in cinque mesi sono morte circa cinquemila persone. Al Qaida ha firmato molti di questi attacchi ed è tornata a controllare alcune zone del Paese, quelle al confine con la Siria, dove tanti iracheni stanno combattendo tra le file degli oppositori del presidente Bashar al Assad. E alcuni analisti temono che il conflitto siriano alimenti lo scontro interno all'Iraq.

Dopo l'invasione statunitense iniziata nel 2003 e terminata nel 2011, gli sciiti hanno iniziato a dominare la vita politica del Paese, dove le violenze in realtà non si sono mai fermate del tutto. L'Iraq non è mai diventato lo Stato stabile che Washington diceva di volere lasciare agli iracheni. Al contrario, il conflitto tra sciiti e sunniti è peggiorato e il primo ministro, Nuri al Maliki, al potere dal 2006, è accusato di alimentare le violenze per emarginare gli avversari.

La graduale esclusione dei sunniti dalla vita pubblica e le leggi anti terrorismo applicate soprattutto contro di loro non favoriscono un dialogo che di fatto non è mai stato tentato veramente. Da oltre un anno la comunità sunnita ha iniziato un movimento di protesta, ma la risposta di Bagdad è stata la repressione: ogni forma di opposizione è considerata una insurrezione settaria che giustifica l'uso della forza da parte del governo. La polizia fa continui blitz nei quartieri sunniti, arrestando decine di "terroristi" e alimentando il malcontento della popolazione, senza peraltro sortire effetti sull'ondata di violenze che spazza il Paese. La scorsa settimana in due giorni sono state giustiziate 23 persone condannate a morte per attività terroristiche. Dall'inizio dell'anno le pene capitali eseguite sono state 90, tra le proteste internazionali. Nena News

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