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22 gennaio 2013

Non tutti gli antisionisti sono pro palestinesi, non tutti gli antimperialisti sono anticapitalisti
a cura del Comitato Ricordare la Nakba

A seguito degli argomenti trattati nel dibattito avvenuto domenica scorsa, promosso dal Centro Falastin a Torino, si propone il seguente elaborato (un punto sulla situazione in Palestina e Medio Oriente) del comitato Ricordare la Nakba.

29/09/2012

Lo sviluppo della situazione in Medio Oriente e nel mondo arabo, gli atti dell’imperialismo nordamericano ed europeo, in modo sempre più esplicito si muovono nella direzione di costruire le basi politiche, economiche e militari per realizzare il disegno di un Nuovo Grande Medio Oriente sotto la direzione ed il controllo dell’imperialismo. Disegno funzionale alla realizzazione di equilibri in grado di garantire, al capitalismo occidentale in crisi, le risorse, i mercati e gli equilibri strategici e militari nei confronti delle economie di nuova espansione, necessari per bloccare la caduta dei tassi di profitto e, quindi, per rinviare gli effetti più pesanti della crisi del sistema che, per il capitale rischia di non avere altrimenti alcuno sbocco.

Appare più chiara, seppur non meno grave, la strategia imperialista che, nel vicino Oriente, ha rimesso in discussione ruoli e schieramenti che apparivano consolidati.

Ogni giudizio sulla partecipazione popolare e delle forze progressiste alla cosiddetta “primavera araba”, viene offuscato dal risultato ottenuto dal sistema imperialista, che è anche riuscito a far rinascere aspetti del vecchio colonialismo europeo, e che ha stretto sotto il proprio controllo la grande parte delle forze islamiche reazionarie.

I tradizionali alleati degli Stati Uniti e dell’Occidente in medio oriente, le monarchie del Golfo Persico, Giordania e Marocco hanno acquisito un’egemonia più decisa sulla Lega Araba. Le Repubbliche Arabe filo-Occidentali, Egitto e Tunisia alla fine della stagione “primaverile”, si trovano in condizione più subalterna rispetto all’imperialismo atlantico e con un condizionamento più stretto dell’islamismo politico più opportunista. A tutto questo va aggiunta una più marcata presenza militare della NATO che occupando Irak, Afganistan e Libia, controlla ormai senza soluzione di continuità, un’area che va dai confini afgani e pakistani con la Cina, fino alla costa atlantica.

Decisiva la svolta della Turchia che, dopo alcuni anni di apparente affrancamento dal condizionamento nordamericano e di ricerca di nuove alleanze in Medio Oriente, appare oggi voler affermare un ruolo autonomo di potenza regionale, da imperialismo ottomano, alleata dell’occidente e facendo leva sulla partecipazione alla NATO, per stabilire i contorni economici, politici e militari più consoni alle proprie ambizioni.

Altrettanto decisivo appare il ruolo assunto dalla Fratellanza Musulmana che, ormai decisamente schierata in senso filo occidentale e sempre più vicina all’Islam salafita ed alle petromonarchie del golfo, rappresenta un tassello fondamentale per liquidare le forze progressiste, nazionaliste e laiche del mondo arabo.

La guerra, praticata contro la Siria e preparata contro l’Iran, si annuncia come una guerra di carattere macro-regionale, finalizzata al controllo dell’intero Medio Oriente, delle sue risorse energetiche ed idriche, sulle grandi vie di trasporto del gas e delle produzioni dell’Oriente. Ma si preannuncia anche come guerra per contenere l’espansione delle produzioni di Paesi quali la Russia, la Cina e l’India ed il classico sbocco della crisi capitalista, teso a distruggere le forze produttive “eccedenti”.

La guerra contro Siria ed Iran è anche lo strumento attraverso il quale mantenere in gioco Israele. L’entità sionista, che per oltre sessanta anni ha rappresentato il principale strumento di penetrazione imperialista nell’area, nella nuova situazione regionale può apparire meno centrale e determinante, così come, d’altra parte appare meno centrale e determinante il ruolo della Resistenza Palestinese.

Israele continua però ad essere fondamentale per l’imperialismo per una serie di motivi. Essendo uno stato artificiale completamente dipendente sia in termini politico-militari, che economici dagli Stati Uniti e dalle altre potenze imperialiste, rimane il miglior bastione contro ogni forma di nazionalismo arabo-progressista che potrebbe intralciare, dall’interno, la costruzione di nuovi equilibri regionali.

Israele è poi una potenza militare, anzi è una dittatura militare basata su un’ideologia reazionaria, il sionismo, e dotata di armi nucleari, che può compiere azioni eccezionali senza dover rispondere, più di tanto, alla propria opinione pubblica; cosa per la quale i paesi della NATO e gli stessi Stati Uniti d’America, incontrerebbero maggiori difficoltà.

E’ probabile, quindi, che il via ai bombardamenti dell’Iran sia destinato a confermare il protagonismo guerrafondaio di Israele e che, fin’ora, sia rimasto in posizione di attesa a causa delle prossime elezioni USA.

Alcuni avvenimenti interessanti si stanno però muovendo con un segno diverso da quelli sin qui descritti. Cina e Russia, che si sentono ormai minacciati direttamente ai loro confini e nel loro sviluppo economico dai disegni del capitalismo occidentale e dalla strategia interventista della Nato, non solo hanno posto il veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, rispetto ad un intervento militare delle Nazioni Unite contro la Siria, ma hanno iniziato a muoversi, congiuntamente e autonomamente, per porsi in modo alternativo a quello occidentale disegnando possibili sbocchi opposti.

La conferenza svoltasi a Damasco ad agosto, sotto il loro patrocinio, cui hanno partecipato oltre ai loro ambasciatori anche esponenti dell’opposizione interna non coinvolta nei combattimenti e nella collusione con l’aggressione militare esterna, che ha consentito il rientro di parte degli ufficiali che avevano precedentemente disertato, appare come una importante novità.

Innanzi tutto apre la possibilità di una ripresa di confronto fra le forze nazionali siriane che può isolare in maniera netta le forze guerrafondaie ed integraliste, legate agli interessi delle potenze straniere che vogliono cancellare il ruolo della Siria quale stato nazionale, laico e direttamente impegnato sul fronte anti-sionista. Il fatto, poi, che la conferenza si sia svolta in Siria, sotto la protezione del governo e dell’esercito siriani, sta ad affermare che i protagonisti del processo di pace devono essere siriani e non personaggi accreditati a Bruxelles presso gli uffici della NATO, od alle corti medioevali delle monarchie sunnite.

E’ solo un primo passo che sta però ad indicare la possibilità che non si ripeta il copione già scritto nelle crisi precedenti, dalla Jugoslavia all’Afganistan, dall’Iraq alla Libia.

In questo contesto generale e regionale la situazione del popolo palestinese appare sempre più difficile e compressa.

L’ANP e la forza politica che la dirige, AL Fatah, pur vivendo ancora contraddizioni interne, sono ormai definitivamente subordinate agli Stati Uniti, alla UE ed alla stessa Entità sionista. Hamas che, per un lungo periodo di fronte al venir meno del ruolo nazionale della principale forza della Resistenza, ne aveva surrogato la funzione ed aveva assunto il ruolo di maggior antagonista del sionismo, sia nel governo di Gaza che nella sua azione politica autonoma, sembra stia ripercorrendo la strada tracciata dall’ANP. In sempre maggiore consonanza con l’islam politico sunnita, Fratelli Musulmani e monarchie del Golfo, si candida, in concorrenza a Fatah, a rappresentare la Palestina nei nuovi equilibri regionali.

Un ruolo simile a quello svolto dalla DC in Italia, nel secondo dopoguerra: l’utilizzo della religione e della solidarietà caritatevole organizzata dalle strutture religiose, per garantire la pace sociale e politica all’interno, in una collocazione di fedeltà subalterna alla potenza imperialista.

D’altra parte questo è il ruolo cui si candida la Fratellanza Musulmana negli altri paesi quale forza emergente ed egemone dopo le “primavere arabe”.

Di fronte a questa situazione si riaprono spazi di intervento per le forze della sinistra e progressiste che assieme alla Jihad islamica, ancora allineata con il cosiddetto asse della Resistenza mediorientale e sempre più distante da Hamas, possono candidarsi ad essere punto di riferimento per tutte quelle forze, soprattutto fra i giovani che, in Palestina, vogliono continuare sulla strada della Resistenza al sionismo ed all’imperialismo.

In questo senso alcuni episodi di ripresa delle forze di sinistra sia nei territori del ’48 che in Cisgiordania e Gaza e le ribellioni armate nel Sinai Egiziano, ci possono far sperare in un’evoluzione della situazione in senso positivo.

Occorre poi ribadire che Israele è un’entità colonialista inventata dal capitalismo mondiale, quello europeo in primis, sostenuta e protetta dai paesi imperialisti sotto l’ombrello nord-americano; lo stesso capitalismo ed imperialismo che affama ed uccide i popoli.

Avere, quindi, messo sotto il proprio controllo le due maggiori organizzazioni politiche palestinesi ha lo scopo di togliere ogni alibi alle persone comuniste e di coscienza che si battono per la giustizia, l’uguaglianza e la pace mondiale. Per tutti questi motivi crediamo sia imprescindibile la lotta a fianco del popolo palestinese, dalla lotta antimperialista. Uno stato che reprime i propri cittadini non ha nessuna remora nell’opprimere altri popoli.

La colonizzazione della Palestina prende piede grazie al progetto sionista, manu armata dell’imperialismo nella regione e ne consegue che per risolvere la questione palestinese, occorra un processo di decolonizzazione. Nessuna pace giusta potrà prescindere da questo fatto e nessuna trattativa potrà evitare di basarsi su questo punto d’arrivo.

Non tutti i sionisti sono ebrei e non tutti gli ebrei sono sionisti. Sembra uno slogan, ma è la verità e, al di là dei vari Napolitano e Fassino, Vendola o Fini, arabi e palestinesi si sono fatti assoldare dal movimento sionista per diventare il suo protettore più fedele. La soluzione “due stati due popoli” implica l’accondiscendenza e l’accettazione del progetto imperialista e sionista.

Rinunciare ad un millimetro di Palestina, vuol dire fare un regalo a questa entità. Fatah, nel momento in cui ha accettato di intavolare trattative basate su questa soluzione, si è messa al servizio del sionismo e dei sionisti, diventando una costola del sionismo mondiale.

Oggi tutto questo lo possiamo vedere attraverso le collaborazioni nei campi della polizia/sicurezza, dove l’elemento palestinese è diventato un guardiano degli interessi sionisti; lo vediamo attraverso le politiche economiche e sociali volte a trasformare l’elemento palestinese in un’appendice/consumatore dei prodotti sionisti, incapace di sviluppare una propria indipendenza economica o produttiva. I sionisti palestinesi hanno praticamente distrutto tutto il mercato del lavoro palestinese, creando una società la cui sopravvivenza si basa sul flusso di denaro proveniente dall’estero, sotto forma di aiuti/donazioni.

Prendere le distanze da questi sionisti palestinesi è il minimo comune denominatore per chi si batte contro l’imperialismo, contro il sionismo e per la liberazione della Palestina.

Unica soluzione plausibile è lo Stato unico, dove non ci sarà spazio/posto né per il sionismo, né per i sionisti.

Il Comitato “Ricordare la Nakba” conferma le sue posizioni storiche:

-  Sostegno alla formazione di uno stato unico in Palestina, democratico e pluralista, dentro i confini della Palestina storica in cui possano vivere pacificamente tutti coloro che oggi vi risiedono, al di là di ogni appartenenza etnica e religiosa, e che accolga tutti i palestinesi e i loro discendenti, che dal 48, in poi, sono stati costretti ad abbandonare la loro terra.
 

-   Diritto all’Autodeterminazione dei popoli.
 

-   Sostegno alla resistenza antisionista ed antimperialista.
 

-   Lotta intransigente contro il sionismo, quale ideologia razzista e colonialista, incompatibile con i diritti fondamentali dei popoli e dell’umanità.

L’imperialismo negli ultimi venti anni ha inventato di tutto per giustificare le sue guerre di aggressione e per poterle chiamare “umanitarie”. Dai “ feroci serbi che massacravano gli “”indifesi”” kossovari, dall’ “odioso burka delle donne afgane”, alle “armi di distruzione di massa irakene”, ai “diecimila morti in una notte per i bombardamenti di Gheddafi”, in Libia.

Adesso è l’ora della” bomba atomica iraniana”.

Nessuno ha elementi certi per affermare che l’Iran sta costruendo la bomba atomica; però sappiamo per certo che in Medio Oriente, Israele possiede l’unico arsenale nucleare e quindi rappresenta la sola concreta minaccia d’impiego.

Così come sappiamo che nel Mediterraneo, anche nelle acque e nei porti i italiani, circolano sottomarini nucleari degli USA e della NATO armati di missili con testate nucleari ed anche sappiamo che in Italia, ceduti dagli alleati della NATO, vi sono missili con testate nucleari di proprietà e sotto comando italiano, pronti per essere lanciati.

Di fronte ai pericoli di guerra e di aggressione imperialista contro i popoli della regione medio orientale e del Mediterraneo, il Comitato lavora per una forte controinformazione e mobilitazione antimperialista ed antisionista, in appoggio alle azioni di pace e di resistenza, basate sui principi dell’autodeterminazione e dell’indipendenza di tutti i popoli, ma soprattutto per lo smantellamento di tutte le armi nucleari nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, perché sia una regione denuclearizzata militarmente e pacificata.
 

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