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5 Set 2013

Verso un fronte di resistenza rivoluzionario
Redazione PalestinaRossa Rete di solidarietà con la Palestina - Milano

Noi di PalestinaRossa, con la Rete di Solidarietà con al Palestina - Milano, riteniamo doveroso sostenere con forza tutte le lotte di resistenza dei popoli e delle masse che insorgono per la propria autodeterminazione all'interno di un processo rivoluzionario che porti alla giustizia sociale, unica reale soluzione per ottenere pace e stabilità.

Per questo abbiamo sempre sostenuto le rivolte esplose nei paesi arabi (non li definiremo Medio Oriente perché questo è un termine coniato dal colonialismo, presente in tutta la regione con Israele come avanguardia); tuttavia crediamo che una rivolta dovrebbe essere sempre inserita in un contesto rivoluzionario, maturata in seno al popolo e da questi portata avanti, se no si troverebbe inevitabilmente costretta a interfacciarsi con le stesse dinamiche e gli stessi giochi di forza contro cui è scoppiata, rischiando quindi di implodere su se stessa ed essere domata. Questo perché l'imperialismo, che attraverso il capitale e il capitalismo ha interesse a trasferire ricchezza e sfruttamento, cerca sempre di controllare e manipolare le ribellioni popolari e se la rivoluzione perde di vista il suo scopo primo e ultimo, come si è detto, arriva ad essere inghiottita dalle fauci imperialiste. Per questo nella regione araba l'imperialismo continua a innescare guerre coloniali, soprattutto dopo la caduta dei regimi pre-esistenti a cui hanno portato le "rivoluzioni". A volte il sistema coloniale non riesce ad instaurare un nuovo equilibrio con una nuova forza a lui congeniale, si veda il caso dell'Egitto e dei Fratelli Musulmani che, nel voler portare avanti il loro percorso di politicizzazione dell'Islam contro la volontà popolare, hanno fallito la loro missione di stabilizzatori dell'area. Quando il tentativo di ristabilire una leadership controllabile risulta difficile da raggiungere si decide di mantenere la regione destabilizzata, come nel caso di Libia, Iraq e più di recente Siria, lasciando invece intatti i sistemi di potere presenti nei paesi allineati al sistema, come Israele, Giordania e petromonarchie. Stati, questi, in cui si è instaurato un pieno rapporto di sudditanza tra le leadership e l'imperialismo occidentale, e all'interno dei quali i popoli continuano a subire ingiustizia sociale e assenza di libertà soprattutto a causa delle scelte filo-imperialiste dei poteri al comando. Ora è il momento della Siria. Riconosciamo che si debbano fare delle analisi di geopolitica per capire con chi schierarci in un fronte di resistenza in caso di attacchi imperialisti, ad esempio con l'esercito siriano e con quanti tra Hezbollah, Teheran, etc (che giocano oggettivamente un ruolo antimperialista) decidano di sostenerlo. Le riflessioni di geopolitica però non possono prescindere in maniera assoluta dai valori di giustizia sociale che spesso e volentieri sono contraddetti da quanti arrivano persino a sostenere i regimi dittatoriali perché contrastano l'imperialismo statunitense. Noi perciò non ci troviamo d'accordo con quanti sostengono la non ingerenza in Siria e la sovranità di Damasco elogiando il clan di Assad. Si tratta di un regime forte, che monopolizza la scena mediatica in tutto il suo territorio e che è dotato di uno dei sistema di polizia segreta più capillare ed efficiente, che arresta e tortura i cittadini dissidenti e che, a nostro avviso, ha strumentalizzato la questione palestinese senza mai dare reali segni di interesse verso il benessere dei profughi e della popolazione curda che continua in ogni occasione a portare avanti il suo processo di indipendenza; riconosciamo tuttavia l'importante lavoro di laicità fatto nella regione ed alcuni processi di democratizzazione avviati tra il regime e l'opposizione. Allo stesso modo non ci schieriamo con quanti chiedono un intervento esterno di stampo imperialista, e condanniamo anche l'intervento già in atto, praticato attraverso l'invasione di mercenari stranieri che servono per destabilizzare l'area praticando forme di terrorismo. Noi sosteniamo le componenti rivoluzionarie che da anni combattono contro questo regime - e che chiaramente hanno continuato con la loro lotta anche durante le rivolte che sono scoppiate - e che non hanno mai perso di vista lo scopo della loro ribellione, vale a dire l'autodeterminazione e la giustizia sociale per il popolo siriano. Per questo qualsiasi interferenza straniera risulterebbe dannosa e controproducente, e non porterebbe allo scopo della rivolta, che non si limita alla caduta di Assad, ma ricerca appunto giustizia sociale e libertà, attraverso processi ora diplomatici ora di scontro diretto, a seconda delle circostanze e dei momenti storici. Per noi questo significa sostenere una terza via, che supera il bipolarismo "con Assad o con l'intervento esterno", bipolarismo che mostra la debolezza dei gruppi che lavorano a sostegno di queste cause, spesso arenati nella sola scelta di una delle due opzioni presentate

Lo stesso accade con la situazione palestinese, in cui le opzioni politiche si sono polarizzate tra chi sostiene di dover trattare con l'occupante (che per inciso non ha nessuna intenzione di creare uno stato palestinese) e chi, d'altra parte, segue la linea dei Fratelli Musulmani, connotati inizialmente come antisionisti, ma che si stanno rivelando anch'essi sudditi del sistema capitalista e interessati ad una dinamica di repressione interna a garanzia della loro leadership, scelte che stanno facendo perdere il sostegno popolare di cui prima godevano. Ed è proprio a seguito di queste dinamiche che anche il panarabismo o almeno la solidarietà araba sono state dimenticate: è di qualche giorno fa la notizia dell'attacco di due pescatori palestinesi da parte dell'esercito egiziano e dell'arresto di altri cinque, oltre alla demolizione di alcune abitazioni vicino al valico di Rafah per creare una buffer zone per la sicurezza egiziana e la totale chiusura dei tunnel, unico sostentamento per la Striscia di Gaza. Scelte, quelle egiziane, non dissimili dalle politiche sioniste.

Anche nella lotta a sostegno del popolo palestinese bisogna cercare la terza via, quella al fianco della sinistra palestinese, che rappresenta davvero la resistenza e che continua a lottare per la liberazione dei prigionieri, per il ritorno dei profughi e per l'unità del popolo palestinese nella lotta contro l'occupazione e la colonizzazione della Palestina.

Tuttavia, ancor prima di poter scegliere in che modo sposare la lotta palestinese, è necessario un ulteriore passaggio: in una visione globale e universalmente antimperialista bisogna riconoscersi come parte della stessa classe sociale, che seppur in luoghi e contesti sociali differenti, deve lottare per vedersi riconosciuti gli stessi diritti e per contrastare il sistema capitalista che la sfrutta, la controlla e tenta di affondarla. La battaglia va portata avanti in Palestina così come in casa propria, perché si tratta di una lotta parallela che va nella stessa direzione, solo combattuta in luoghi differenti.

Sionismo è sinonimo di razzismo ma anche di imperialismo, ed è nostro dovere lottare anche contro il sionismo sempre più presente e radicato nel nostro paese. Chiediamo quindi a tutte le realtà presenti di cominciare già da ora a collaborare con i compagni di Torino (una prima occasione sarà il secondo Convegno Nazionale del 7 settembre a Firenze: Dalla Solidarietà alla Lotta Internazionalista – A fianco della Resistenza palestinese per organizzare insieme la manifestazione del 30 novembre contro gli accordi tra il nostro paese e Israele, sempre più stretti e solidi, per dare un chiaro messaggio antisionista e anticapitalista, globale e trasversale a tutte le realtà.

Vogliamo rimarcare che in genere le due opzioni servono a mantenere lo status quo, mentre la terza opzione, certo quella più difficile ed incerta, è rivoluzionaria - e la rivoluzione è il superamento dello stato di cose presente.
 

La nostra lotta proseguirà in Italia come in Palestina, contro il sionismo, fino alla vittoria!
 

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