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27 Ott 2013

In Tunisia andrà a finire come in Egitto?
di Davide Vannucci

Scontro tra islamisti e laici sulle dimissioni del premier. Mentre le piazze tornano a riempirsi

Getta la spugna oppure no? Le dimissioni del premier tunisino Ali Larayedh, anticipate a fine settembre, date per certe mercoledì scorso – 23 ottobre, secondo anniversario delle elezioni libere tenutesi dopo la caduta di Ben Ali – ribadite giovedì sera in televisione, non sono ancora arrivate ufficialmente sul tavolo. Lo stallo politico a Tunisi ha una data d’inizio ben precisa: il 25 luglio 2013, giorno dell’assassinio di un deputato dell’opposizione laica, Mohammed Brahmi, sei mesi dopo l’uccisione del suo leader politico, Chokri Belaid. Dietro i due omicidi, con ogni probabilità, la mano del fondamentalismo salafita. Gli islamisti di Ennahda, al governo, sono finiti sul banco degli imputati con molteplici capi di accusa: incapacità di garantire la sicurezza, eccessiva tolleranza verso le scorribande fondamentaliste, performance economiche di bassissimo livello.

Le manifestazioni di protesta – epicentro quella Avenue Bourghiba che era stata in prima fila nella cacciata del despota – e il crollo nelle intenzioni di voto hanno portato Ennahda a più miti consigli, anche per evitare una replica dello scenario egiziano, dove un governo islamista, come è noto, è stato spodestato dall’esercito, su pressione della piazza. Larayedh ha avviato trattative con la coalizione larga e composita delle opposizioni, riunita nel Fronte di salvezza nazionale, raggiungendo un’intesa di massima sulla roadmap da seguire: dimissioni, governo tecnico, nuove elezioni.

Il «dialogo nazionale» tra Ennahda e il Fronte – mediato dal cosiddetto quartetto, formato dai principali sindacati, tra cui la potentissima Union générale tunisienne du travail – sarebbe dovuto partire quattro giorni fa. A sabotare l’inizio dei negoziati sul nuovo esecutivo è stato l’attentato jihadista che ha ucciso sei militari e un poliziotto nella regione di Sidi Bouzid, quella che era stata la scintilla della rivolta contro Ben Ali, con l’auto-immolazione del giovane Mohammed Bouazizi.

La reazione del côté laico non ha tardato ad arrivare. Ennahda è stata accusata ancora una volta di ambiguità e lassismo, gli uffici del partito a Kef e a Béja, nel nord-ovest della Tunisia, sono stati dati alle fiamme. A Kasserine, ai piedi del Monte Chaambi, dove l’esercito in estate ha finalmente avviato una grande operazione contro i terroristi legati ad al Qaeda, ci sono stati disordini. Avenue Bourghiba si è nuovamente riempita al grido di “Ennahda, vattene”.

In termini politici, l’accordo vacilla su un punto fondamentale. L’opposizione pretende dimissioni immediate, contestuali al dialogo nazionale. Larayedh, pur accettando in linea di principio di passare la mano, ritiene che si debba completare la stesura della nuova Costituzione – mancano solo alcuni dettagli, e i lavori sarebbero dovuti terminare già un anno fa – chiede che venga votata la nuova legge elettorale e che sia fissata la data delle prossime elezioni. Tutte queste prerogative, sostiene Ennahda, non devono essere un compito del futuro governo tecnico.

La decisione del premier di prendere un impegno scritto verso il Fronte, annunciata venerdì pomeriggio, è un passo in avanti. L’auspicio è che quella frattura tra laici ed islamisti divenuta insanabile in Egitto non si ripeta tragicamente in Tunisia. Molti segnali, a livello di classe dirigente, vanno in un’altra direzione. Ennahda ha iniziato a dare la caccia ai fondamentalisti e ha mostrato disponibilità verso una condivisione del potere, un atteggiamento molto diverso rispetto a quello tenuto dall’ex presidente egiziano Morsi. L’esercito tunisino non ha un peso specifico paragonabile a quello egiziano. Le opposizioni, in cui è emerso il ruolo dell’ex premier Essebsi e della sua creatura politica, Nidaa Tounes, non hanno mai utilizzato toni particolarmente bellicosi.

Il pericolo, semmai, viene dalle piazze, dove le motivazioni ideologiche si uniscono alle frustrazioni generate dall’assenza di prospettive economiche, formando una miscela esplosiva. La violenza non risparmia Tunisi, dove ieri un fondamentalista islamico ha ucciso un poliziotto e i laici presidiano le strade, in attesa dell’agognata svolta.

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