Gülen reagisce alle accuse di aver dato del bugiardo al premier turco


The End of Erdogan?
By John Hannah


Tangentopoli in Turchia


La fine di Erdogan è made in Islam?


Un Potere arbitrario in Turchia
di Diana Gonzalez, Ferhat Taylan, Hamit Bozarslan, Vincent Duclert, Yves Deloye


La guerra AKP - Fethullah Gülen
di Hikmet Cetinkaya e Pierre Pandele


AKP contro Gülen pronti per la battaglia finale
di Vercihan Ziflioglu


Hürriyet Daily News
December/20/2013

AKP contro Gülen pronti per la battaglia finale
di Vercihan Ziflioglu

La lotta di potere tra il partito al governo della Turchia e il movimento dello studioso islamico Fethullah Gülen non sarà interrotta fino a quando uno di loro verrà sconfitto, ha detto Nedim Şener, importante giornalista.

Decine, tra cui i figli di tre ministri, un sindaco e un amministratore delegato della banca di stato, sono stati arrestati nell'ambito di un’indagine per corruzione che è diventata pubblica il 17 dicembre, in quello che si crede essere un altro capitolo nello scontro tra la maggioranza al governo con il Partito per la giustizia e lo Sviluppo (AKP) e il movimento di Gülen (Cemaat, Congregazione, ndr).

Dopo l'inchiesta, il governo ha evitato di nominare il movimento di Gülen, che ha membri chiave in Turchia nel sistema giudiziario e di polizia, ma il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha definito un'operazione sporca contro il suo partito e ha puntato il dito contro  alcuni ambienti all'interno e al di fuori della Turchia. Alcuni esperti l’hanno definita l'operazione di uno stato parallelo, ma Şener ha respinto l’ipotesi.

"Questo non è uno stato parallelo, ma c'è un'entità segretà all'interno dello Stato. Il primo ministro è anche parte di questa entità, quindi c’è il movimento Gülen. Le due parti condividono il potere … Questo non sarà un processo facile, ha detto il giornalista … O Cemaat smaltirà l'Akp, o l'AKP smaltirà loro"

Sener, è l’autore di un libro del 2009 dal titolo "Fethullah Gülen e Cemaat in Ergenekon", è stato arrestato nel 2011 nell'ambito del caso della OdaTV, portale di notizie online noto per la sua feroce critica delle politiche del governo. Come parte del caso, che è iniziato nel corso delle indagini di polizia sul golpe Ergenekon, S¸ener e un altro giornalista di spicco, Ahmet S¸ık, hanno trascorso un anno dietro le sbarre, redigendo critiche da parte del pubblico.

Sener rivendica la sua prigionia e quella di S¸ık come il risultato dell'influenza del movimento Gülen nel sistema giudiziario, che ha anche creato una spaccatura tra le due parti.

Sener dice che lo scontro tra l'AKP e il movimento Gülen è emerso dopo il raid dei soldati israeliani sulla Mavi Marmara, che portava aiuti a Gaza insieme alla Fredom Flotilla, nel maggio 2010. E' montata con un'indagine dell'Organizzazione di National Intelligence (MIT) il 7 febbraio 2012, ed è uscita allo scoperto con la crisi di Dershane. Il governo voleva chiudere le scuole di preparazione private, chiamate dershanes, molte delle quali sono di proprietà di persone vicine al movimento di Gülen.

"Ma la vicenda Dershane era solo il detonatore. Questa operazione iniziava ufficialmente la guerra tra l'AKP e il Cemaat" ha detto Şener. "Il movimento di Gülen vuole far fuori Erdoğan, perché vogliono un AKP senza Erdogan. Il movimento di Gülen vuole avere voce parola in capitolo. Finora, Gülen e l'AKP hanno avuto un destino unito, come lo chiamano. Insieme hanno realizzato numerose ingiustizie e sono in debito l’uno con l'altro. Una volta, il primo ministro ha detto: Abbiamo dato loro quello che volevano. Il primo ministro dovrebbe spiegare questa affermazione".


Hürriyet Daily News
December/20/2013

AKP vs Gülen set for battle until end
By Vercihan Ziflioglu

The power struggle between Turkey’s ruling party and Islamic scholar Fethullah Gülen’s movement will not be stopped until one of them is brought down, prominent journalist Nedim Sener has said.

Dozens, including three ministers’ sons, a mayor and a state bank CEO, were detained as part of a gripping bribery and corruption investigation that became public on Dec. 17, in what is believed to be another chapter in the clash between ruling Justice and Development Party (AKP) and the Gülen movement (Cemaat).

Following the investigation, the government shied from naming the Gülen movement, which has key members in Turkey’s justice and police system, but Prime Minister Recep Tayyip Erdog˘an called it “a dirty operation” against his party and pointed the finger at “some circles inside and outside of Turkey.” Some pundits called the source of the operation as “a parallel state,” but S¸ener rejected the claim.

“This is not a parallel state, but there is a secret entity within the state. The prime minister is also part of this entity, so is the Gülen movement. The two sides share the power,” Şener said.

“This will not be an easy process,” the journalist said. “Either Cemaat will finish off the AKP, or the AKP will finish off them.”

S¸ener, the writer of a 2009 book titled “Fethullah Gülen and Cemaat in Ergenekon,” was arrested in 2011 as part of the case of the OdaTV, online news portal known for its fierce criticism of government policies. As part of the case, which started during the police’s Ergenekon coup plot case investigations, S¸ener and another prominent journalist, Ahmet S¸ık, spent a year behind bars under arrest, drawing criticism from public.

S¸ener claims his and S¸ık’s imprisonment were a result of the Gülen movement’s influence in the judiciary system, and that has also created a rift between the two sides.

S¸ener says the clash between the AKP and the Gülen movement emerged after a raid on the Mavi Marmara aid flotilla by Israeli soldiers in May 2010. It mounted with an investigation on the National Intelligence Organization (MI˙T) on Feb. 7, 2012, and blew into the open with the “dershane” crisis. The government wanted to close the private prep schools, called dershanes, many of which are owned by people with close links to the Gülen movement.

“The dershane row was just a trigger. This operation officially started the war between the AKP and the Cemaat,” Şener said. “The Gülen movement wants to finish off Erdoğan, because they want an AKP without Erdoğan. The Gülen movement wanted to have a word in power. So far, Gülen and the AKP had a ‘united fate,’ as they call it. Together they made many injustices and they are indebted to each other. Once, the prime minister said, ‘We gave them whatever they wanted.’ The prime minister should explain this.”

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version originale en dessous

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mercredi 23 octobre 2013

Un Potere arbitrario in Turchia
di Diana Gonzalez, Ferhat Taylan, Hamit Bozarslan, Vincent Duclert, Yves Deloye

L’11 novembre 2011, abbiamo pubblicato in queste pagine una minuta analisi della draconiana svolta Turca. In due anni  la situazione è peggiorata, è diventata addirittura insostenibile per molti attori della democrazia in Turchia.

Già nel 2011, la preoccupazione era grande. Dopo aver offerto alcune garanzie al processo di democratizzazione richiesto dall'Unione Europea, il governo conservatore guidato da Recep Tayyip Erdoğan, ha adottata in questo periodo la logica nazionalista del potere statale. La Turchia ha ritrovato le pratiche di persecuzione sistematica dell’opposizione politica, sociale e intellettuale. Il dissenso democratico si è visto di nuovo colpito, e con una determinazione che ha svelato l’errore di molti analisti che ritenevano valido il modello turco.

Questa svolta draconiana, ha interessato per cominciare intellettuali e giornalisti il cui unico crimine era quello di sfidare il potere personale di Erdoğan e i metodi autoritari dell’AKP. Il processo detto "Ergenekon" aperto contro militari accusati di cospirazione contro lo Stato, ha amalgamato questi Democratici agli ultranazionalisti; tutti condannati ad una prolungata prigionia e a lunghissime procedure giuridiche, completato quest’estate da pesanti sanzioni. Poi il governo ha attaccato il partito filo-curdo BDP, del tutti legale, e gli intellettuali democratici turchi che hanno sostenuto la sua azione, convinti che la soluzione della questione curda dovesse passare attraverso il processo politico e l'estensione delle libertà civili. Per abbattere questa opposizione, il governo ha organizzato un secondo processo di stato chiamato "KCK ". Con successivi arresti. Che, nel mese di ottobre 2011, hanno raggiunto un livello arbitrario, senza paragoni, giustificando la costante della draconiana svolta turca.

Centinaia di studenti sono stati poi arrestati, spesso per ragioni ridicole, per aver dato una lezione sulla politica di Aristotele nel contesto delle attività culturali del BDP, lo studente e redattore per la casa belga Deniz Zarakolu fu imprigionato a Istanbul il 4 ottobre, con altri 91 studenti tra cui lo studente Busra Beste Önder. Altri arresti seguirono, colpendo il traduttore Ayse Berktay poi, il 28 ottobre, il fondatore e direttore della casa belga, Ragip Zarakolu e l’universitario Busra Ersanli, professore di scienze politiche e diritto costituzionale.

Poiché la situazione stava degenerando, giustificando la costante di un potere arbitrario in Turchia. Ragıp Zarakolu e Busra Ersanlı sono stati rilasciati preventivamente nella primavera del 2012, a seguito di una forte mobilitazione internazionale, tuttavia la maggior parte degli imputati dell’autunno 2011 rimasero agli arresti. Altri intellettuali e membri del BDP si ritrovarono a loro volta arrestati, sempre nel campo di applicazione della legislazione anti-terrorismo, a causa dell’estensione illimitata della criminalizzazione delle possibilità di terrorismo, che permette l'arresto di qualsiasi opposizione pubblica. A questo si aggiunge una manipolazione dell'opinione pubblica da parte del monopolio di governo sui media, lo sviluppo di teorie del complotto straniero e/o ebreo per sfidare meglio la legittimità dell’opposizione arbitraria: sono stati così spiegato il fallimento della gara di Istanbul per i Giochi Olimpici del 2020 e il movimento democratico Gezi la scorsa primavera a Istanbul. Quest’ultimo schiacciato con estrema violenza dalla polizia turca nella notte del 15 giugno, è stato decapitato da ondate di arresti dei leader chiave della protesta civile, mentre rinviava a giudizio gli autori, come Erol e Nurten Özkoray, dei primi libri sull'argomento.

Questa resistenza liberale e civile continua a sfidare il governo dell'AKP nella sua marcia verso un ordine autoritario e i sogni imperiali del Primo Ministro. In questo senso, l'avanguardia intellettuale del 2011 deve essere messa a tacere. Dalla fine dell'estate, la giustizia turca accelera tutte le procedure. Attualmente negli enormi complessi carcerari di Silivri le udienze giudiziarie del "KCK" che potrebbe disporre lunghe pene detentive per atti che sono unicamente un esercizio della libertà di espressione e di associazione. L'Europa deve esercitare la massima vigilanza prima degli accordi di cooperazione giudiziaria rivendicati dalla Turchia e misurare quanto la giustizia in questo paese sia oggi arbitraria. Essa deve quindi, attraverso le sue istituzioni, l’opinione pubblica, gl’intellettuali, mobilitarsi al fianco di attori della democratizzazione turca. E quindi affermare il suo scopo originale.


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mercredi 23 octobre 2013

Un pouvoir arbitraire en Turquie
par Diana Gonzalez, Ferhat Taylan, Hamit Bozarslan, Vincent Duclert, Yves Déloye

Le 11 novembre 2011, nous avions publié dans ces pages une analyse à chaud du « tournant liberticide turc ». En deux ans, la situation s’est aggravée, elle est devenue même intenable pour les nombreux acteurs de la démocratie en Turquie.

Déjà, en 2011, l’inquiétude était grande. Après avoir donné certains gages au processus de démocratisation réclamée par l’Union européenne, le gouvernement conservateur dirigé par Recep Tayyip Erdoğan adoptait en effet à cette période la logique nationaliste récurrente du pouvoir d’État. La Turquie retrouvait les pratiques de persécution systématique de l’opposition politique, sociale et intellectuelle. La dissidence démocratique se voyait à nouveau frappée, et avec une détermination qui a pris en défaut beaucoup d’analystes persuadés de la validité du « modèle turc ».

Ce « tournant liberticide » affecta pour commencer des intellectuels et journalistes dont le seul crime était de contester le pouvoir personnel d’Erdoğan et les méthodes autoritaires de l’AKP. Le procès dit « Ergenekon », ouvert contre des militaires accusés de complots d’État, a amalgamé ces démocrates aux ultranationalistes ; ils ont subi un emprisonnement prolongé et des procédures judiciaires interminables achevées cet été par de lourdes peines.
Puis le gouvernement s’attaqua au parti légal pro-kurde BDP et aux intellectuels démocrates turcs qui soutenaient son action - convaincus que la solution à la question kurde passait par la voie politique et l’extension des libertés civiles. Pour abattre cette opposition, le gouvernement organisa un second procès d’État dit « KCK ». Les arrestations se succédèrent. Au mois d’octobre 2011, elles atteignirent un niveau d’arbitraire sans équivalent, justifiant le constat du « tournant liberticide turc ».

De centaines d’étudiants ont été alors arrêtés, souvent pour des raisons ubuesques : pour avoir prononcé une conférence sur La politique d’Aristote dans le cadre des activités culturelles du BDP, le doctorant et éditeur pour la maison Belge Deniz Zarakolu fut emprisonné à Istanbul le 4 octobre, avec 91 autres personnes dont l’étudiante Büsra Beste Önder. D’autres arrestations suivirent, frappant la traductrice Ayse Berktay puis, le 28 octobre, le fondateur et directeur de Belge, Ragip Zarakolu et l’universitaire Büsra Ersanli, professeure de science politique et de droit constitutionnel.

Depuis la situation a dégénéré, justifiant ce constat d’un pouvoir arbitraire en Turquie. Si Ragıp Zarakolu et Büsra Ersanlı furent libérés préventivement au printemps 2012, à la suite d’une forte mobilisation internationale, en revanche l’essentiel des inculpés de l’automne 2011 furent maintenus en détention. D’autres intellectuels et membres du BDP se trouvèrent à leur tour arrêtés, toujours sous le coup de la législation anti-terreur qui, par suite des possibilités d’extension illimitée de l’incrimination de terrorisme, permet l’arrestation de tout opposant public. A cela s’ajoute une manipulation de l’opinion par des médias gouvernementaux en position de monopole, développant des théories du complot (complot de « l’étranger », complot « juif ») pour mieux récuser le caractère légitime de cette opposition à l’arbitraire : furent ainsi expliqués l’échec de la candidature d’Istanbul aux Jeux Olympiques 2020 et le mouvement démocratique de Gezi du printemps dernier à Istanbul. Ce dernier, écrasé avec une violence extrême par la police turque dans la nuit du 15 juin, est depuis décapité par des vagues d’arrestation des principaux leaders de cette protestation civile tandis que des inculpations visent les auteurs (comme Erol et Nurten Özkoray) des premiers livres sur le sujet.

Cette résistance civile et libérale ne cesse d’inquiéter le gouvernement AKP dans sa marche vers un ordre autoritaire et les rêves impériaux du premier ministre. Dans cette logique, les avant-gardes intellectuelles de 2011 doivent être réduites au silence. Depuis la fin de l’été, la justice turque accélère toutes les procédures. Actuellement se tiennent dans l’énorme complexe judiciaro-pénitentiaire de Silivri les audiences du procès « KCK » susceptibles d’ordonner de longues peines d’emprisonnement pour des actes qui relèvent du seul exercice de la liberté d’expression et d’association. L’Europe doit faire preuve de la plus grande vigilance devant les accords de coopération judiciaire réclamés par la Turquie et mesurer combien la justice sert aujourd’hui dans ce pays l’arbitraire d’État. Elle doit ainsi, au travers de ses institutions, de ses opinions publiques, de ses intellectuels, se mobiliser aux côtés des acteurs de la démocratisation turque. Elle affirmera ainsi sa vocation première.

Sources

Un pouvoir arbitraire en Turquie - le Monde.fr du lundi 21 Octobre 2013 
Par Hamit Bozarslan (Directeur d’études à l’EHESS), Yves Déloye (Professeur à Sciences Po Bordeaux et à l’université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, secrétaire général de l’Association française de science politique), Vincent Duclert (Chercheur à l’EHESS (CESPRA)), Diana Gonzalez (Enseignante à Science-Po Paris), Emine Sarikartal (Doctorante et éditrice) et Ferhat Taylan (Directeur de programme au CIPH) 
Ils sont également fondateurs du Groupe international de travail-GIT, « Liberté de recherche et d’enseignement en Turquie »

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L’insegna del venerabile maestro Fethullah Gülen, è appesa proprio sopra la scrivania.
La setta degli Illuminati come forma di realizzazione, viene mostrata come il simbolo dell’organizzazione segreta.

version originale en dessous

http://turquieeuropeenne.eu
samedi 30 novembre 2013

La guerra AKP - Fethullah Gülen
di Hikmet Cetinkaya e Pierre Pandele

Un articolo che rivela alcuni retroscena della lotta feroce all’apice del potere tra il governo e la fratellanza di Fethullah Gulen ... Sullo sfondo, la questione della chiusura delle scuole serali, che sono diventate un'istituzione parallela in Turchia allineando 4.000 scuole, 50.000 insegnanti e 20.000 altri dipendenti. Un settore che raccoglie circa 1.200.000 studenti all’anno e compensa la mancanza di un sistema educativo e, talvolta, almeno molto diseguale. Molto probabilmente più della metà degli alunni turchi passano direttamente dalla scuola ai corsi serali, che svolgono anche sia durante il giorno che durante i fine settimana e le vacanze, nella speranza di ottenere un buon posto all'esame di ammissione (YGS) per l’accesso univesitario. Il concorso annuale segna la fine della scuola secondaria e permette un migliore accesso alle università di loro scelta. Così come ai meno capaci di abbandonare ogni speranza di continuare la loro formazione ...

La pressione è dunque enorme, e non è raro che gli studenti ripetano più volte al solo scopo di ottenere la città e la scuola di loro scelta. Essi saranno quindi per un anno, due o più anni a studiare in una dershane per preparare l' esame di ammissione QCM. Ma gran parte di questi centri di lezioni private sono detenuti dai membri della Congregazione di Gülen, così l'annuncio della futura azione fu subito visto come un attacco frontale contro la Fratellanza. Questa è stata seguita da una vera e propria campagna di stampa da parte dei media gülenisti, con il quotidiano Zaman in prima linea. Creando in breve, l’inimicizia ... [ndt]


http://turquieeuropeenne.eu
samedi 30 novembre 2013

Turquie: «La guerre AKP-Fethullah Gülen»
par Hikmet Cetinkaya et Pierre Pandelé

Un article qui dévoile quelque peu les coulisses des luttes féroces sommet du pouvoir entre le gouvernement et la confrérie de Fethullah Gülen… En arrière-plan, la question de la fermeture des dershane, ou « cours du soir » qui sont devenus une véritable institution parallèle en Turquie, alignant 4000 écoles, 50000 enseignants et 20000 autres employés. Le secteur concernerait environ 1 million deux cent mille écoliers par an, et vient suppléer aux manques d’un système éducatif parfois défaillant et à tout le moins très inégalitaire. Une bonne partie (probablement plus de la moitié) des écoliers turcs passent en effet directement de l’école aux cours du soir, qui se tiennent d’ailleurs aussi bien en journée pendant les week-end et les jours fériés, dans l’espoir de parvenir à décrocher une bonne place lors du concours d’entrée (YGS) à l’enseignement supérieur. Ce concours annuel sanctionne la fin de la scolarité secondaire et permet aux meilleurs d’accéder aux universités de leur choix. Ainsi qu’aux moins bons d’abandonner tout espoir de poursuivre leurs études… 
La pression est dès lors énorme, et il n’est pas rare que les écoliers redoublent plusieurs fois aux seules fins d’obtenir la ville et l’école de leur choix. Ils passeront dès lors un an, deux ans voire plus à étudier dans une dershane et à se préparer aux QCM du concours d’entrée. Or une bonne part de ces centres de cours privés sont détenus par des membres de la confrérie Gülen, si bien que l’annonce des mesures à venir a été immédiatement perçue comme une attaque en règle contre la confrérie. S’en est suivie une véritable campagne de presse menée par les médias proches des gülenistes, avec le grand quotidien Zaman en première ligne. Bref, le torchon brûle… [ndt]

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http://ilmondodiannibale.globalist.it
domenica 22 dicembre 2013

La fine di Erdogan è made in Islam?

Lo scontro mortale tra Erdogan e la confraternita islamica Gulen non può finire in pareggio. Erdogan sembra solo, il suo partito si spezzerà. E poi?

Da una parte il partito, dall'altra la comunità. Da una parte Erdogan, dall'altra quella che molti chiamano l'Opus Dei islamica, la confraternita di Fetullah Gulen, il predicatore turco emigrato in America e che ha costruito un impero globale.

Insieme, i gulenisti e gli erdoganisti, hanno creato la nuova Turchia e scalzato i generali. Ma poi sono cominciati i dissapori, secondo alcuni dal tempo della rottura con Israele, l'incidente della Navi Marmara. 

In questo schema Erdogan è visto come espressione dei Fratelli Musulmani, autocrate di tendenza anti occidentale, poco interessato ai buoni rapporti con le altre religioni. Moderato, filo occidentale e attentissimo al dialogo inter religioso invece Gulen. Per definirlo, un "democristiano" musulmano. La guerra, che si leggeva anche nei toni opposti usati da Gul e Erdogan durante la "crisi" esitiva di Gezy Park, è esplosa quando Erdogan ha pensato una mossa che ha dell'incredibile; chiudere le scuole della confraternita. Guerra totale. 

Ecco che i gulenisti, ben radicati negli apparati dello stato, tanto che a loro fa appunto riferimento il capo dello stato, Gul, avrebbero lanciato la "guerra anti corruzione". Una guerra che ha già portato a galla episodi molto gravi, ma altri ne potrebbe evidenziare. Si parla di un ministro ripreso mentre riceve una tangente da un milione e mezzo di dollari, ma soprattutto di un uomo d'affari azero, Reza Zerrab, che avrebbe gestito per conto di Tehran transazioni finanziarie irregolari per un totale di 87 miliardi di euro. Una colossale operazione che doveva consentire a Tehran di resistere alle sanzioni internazionali. 

Erdogan ha parlato di complotto, coinvolgendo l'ambasciatore Usa tra i complottisti e rimosso gli inquirenti. Gulen in persona ha reagito dicendo che è incredibile che davanti a un ladro si critichi il poliziotto che lo scopre. 

La confraternita di Fetullah Gulen non è un nemico di cui Erdogan può fare un sol boccone. Quel che sta accadendo in Turchia avrà ripercussioni enormi sugli assetti regionali. Una sfida che incredibilmente i nostri giornali non capiscono essere la sfida tra i due Islam dell'oggi e del domani mediterraneo.

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http://www.iljournal.it
22 dic, 2013

Tangentopoli in Turchia

Si allarga la "tangentopoli" turca. Lo scandalo “mani pulite” ha portato una ventina di persone, vicine al governo, in manette con l’accusa di corruzione e frode. Arrestati i figli di due ministri

Il “sultano” Erdogan” vacilla. A tre mesi dalle elezioni amministrative la Turchia è scossa da un’ondata di corruzione senza precedenti. Il blitz della polizia che ha portato in carcere 52 nomi eccellenti della nomenclatura legata al potere islamico, fra cui i figli di tre ministri – fa scricchiolare il potere del premier Recep Tayyip Erdogan.
Come durante le grandi proteste di Gezi Park, Erdogan è tornato a denunciare un complotto internazionale contro il paese accusando di «azioni provocatorie» non meglio precisati «ambasciatori», minacciati di espulsione. «È uno sporco complotto contro la volontà nazionale» ha dichiarato.
Nel mirino del premier ci sarebbe l’ambasciatore Usa Francis Ricciardone, che giovedi ha visto il capo dell’opposizione Kemal Kilicdarolu. La stampa di opposizione scrive Che Ue e Usa ora hanno `mollato´ Erdogan.
La Stampa.it fa un’accurata ricostruzione dei giochi di potere che si intrecciano tra i palazzi di Ankara. Il partito islamista, salito alla guida del paese tuonando contro la corruzione, ora trova il suo ex principale alleato che lo accusa, a sua volta, dello stesso peccato.

Il governo starebbe silurando i dirigenti della polizia vicini alla potente confraternita Islamica Hizmet del predicatore Fetullah Gulen – l’ex-alleato ora ora in lotta aperta di potere con Erdogan – ritenuta all’origine della Mani Pulite turca. I ministri Guler, Caglayan e Bayraktar, con il titolare degli Affari Europei Egemen Bagis, sarebbero direttamente nel mirino degli inquirenti. Secondo il quotidiano Bugun una richiesta di autorizzazione a procedere nei loro confronti è stata trasmessa al parlamento: sarebbero accusati di avere intascato bustarelle per decine di milioni di euro, fra l’altro dal faccendiere Reza Zarrab, finito nella retata di martedi. Il suo fermo è stato trasformato in arresto oggi dalla corte di Istanbul, con fra l’altro quelli dei figli di Caglayan e Guler. Il figlio di Bayraktar, il magnate dell’ edilizia Ali Aagoglu e il sindaco Akp di Fatih Mustafa Demir, sono stati invece rimessi in libertà in attesa del processo. Diversi analisti prevedono a breve un imminente rimpasto di governo, per sostituire i quattro ministri lambiti dallo scandalo insieme a quelli candidati sindaco in marzo. Una mossa, sostiene però Murat Yetkin su Hurriyet, «probabilmente insufficiente per salvare la situazione».

Oggi Fetullah Gulen ha lanciato una sorta di `fatwa´ diretta, senza citarlo a Erdogan. «Coloro che non vedono il ladro, ma se la prendono con chi cerca di catturarlo, non vedono l’omicida ma accusano persone innocenti», ha tuonato, meritano che «Dio porti il fuoco nelle loro case, le bruci, e distrugga le loro famiglie»

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http://www.foreignpolicy.com
Dic 20, 2013

The End of Erdogan?
By John Hannah

Why a power struggle over Turkey's deep state could bring down the government.

There's a very big story developing in Turkey that all foreign policy mavens should be watching closely. Exactly how big remains to be seen, but the stakes are huge. At issue: Will the decade-long domination of Turkish politics by Prime Minister Recep Tayyip Erdogan and his Islamist-leaning Justice and Development Party (AKP) continue? Or is the Erdogan era about to come crashing down, fatally weakened by scandal, infighting, and authoritarian overreach?

Early Tuesday morning, police in Istanbul and Ankara carried out a wave of stunning arrests that included powerful businessmen, the sons of three cabinet ministers, and the head of an important state-owned financial institution, Halkbank. The operation flowed from a series of corruption-related investigations that have apparently been underway for a year or more. All the key targets swept up in the raids are closely linked to Erdogan's government.

Erdogan, characteristically, responded by going on the offensive and hurling accusations at his opponents. He attacked the action as a "dirty operation," the goal of which was to smear his administration and undermine the progress that Turkey had made under his leadership. He alluded to a dark conspiracy launched by terrorist gangs, both foreign and domestic

that were operating a state within the state. While insisting that Turkey was a democracy, not some two-bit banana republic, he proceeded to engineer within a day the sacking of more than 20 high-level police officers in Istanbul and Ankara, including those directly in charge of the units that carried out the raids. More heads seem almost certain to roll. Rumors that the lead prosecutor supervising the investigations had also been removed were vehemently denied -- though two new prosecutors were suddenly (and mysteriously) added to the probe. Howls of political interference in an ongoing judicial matter erupted. The crisis deepened.

These dramatic events were simply the latest escalation in a long-simmering battle royale within the AKP's Islamist coalition. On one side: Erdogan and his followers, whose political roots lie in the transnational Muslim Brotherhood movement founded in Egypt in 1928. On the other: the Gulenists, a secretive society whose religious ideology bears a more distinctly Turkish flavor, led by Fethullah Gulen, a septuagenarian cleric who fled Turkey in the late 1990s and now lives in exile in rural Pennsylvania. Partners for much of the past decade in the AKP's systematic efforts to undermine the foundations of Ataturk's secular republic and bring the Turkish military to heel, Erdogan and the Gulenists have now turned on each other with a vengeance.

Figuring out exactly why is no easy matter. Ultimately, it's about power, of course. More specifically, it's about Erdogan and the intensifying megalomania that has become an increasingly prominent feature of his governing style. The man now appears more or less incapable of brooking any challenge to his authority. Egged on by an inner-circle of sycophants who live in fear of his wrath, Erdogan appears genuinely convinced that his personal interests and agenda, and those of the Turkish nation, are now largely synonymous. What he wants is, ipso facto, what the Turkish people need. Anyone who disagrees with him is resisting the popular will. Anyone who criticizes him is attacking Turkey and constitutes, by definition, an enemy of the state, a traitor that must be broken and neutralized.

It's a world where independent centers of power, wealth, influence, and allegiance are always a danger. Eventually, they must be cowed into submission, co-opted, or crushed, deploying as necessary the coercive levers of the state to do so -- threats, wiretaps, blackmail, tax liens, arrests, manufactured evidence, long-term imprisonment, all are fair game. In no small part, the story of the first decade of AKP rule has been its slow but methodical march through the commanding institutions of Turkish society. One by one, by hook or by crook, they have been brought into line. The bureaucracy: check. The media: check. Business: check. The courts: check. And, of course, the big enchilada, the military: check. Or, more accurately, checkmate.

From this perspective, it was perhaps only a matter of time before Erdogan set his sights on the Gulenists. They oversee a worldwide network of schools. They control their own business and media empire. They have a charismatic leader, a distinct ideology, and, it is believed, millions of loyal followers throughout Turkey. Most threatening of all, Gulenists are said to be seeded throughout the Turkish power structure, with particular influence over the police and the judiciary. Indeed, Gulenists have almost certainly been the tip of the spear in the AKP's multi-year campaign to marginalize and subjugate Turkey's military, as well as the other former pillars of the Kemalist state. But with that task largely complete, Erdogan appears to have come to the conclusion that the time was ripe to take them down a peg -- or more. Paranoid he may be, but leave it to Erdogan to recognize a threat, or at least a potential threat, to his authoritarian ambitions when he sees one.

It's been downhill ever since. Erdogan allegedly began ousting Gulenists from positions of authority in the bureaucracy. When Turkey was rocked last summer by the Gezi Park protests, Gulen and his supporters not so subtly came out against the government's heavy-handed response. Gulen's media have kept up a steady drumbeat of criticism against many of Erdogan's most controversial policy positions, both foreign and domestic, as well as his increasingly autocratic rule. Then, in a major escalation of the conflict that amounted to more or less a declaration of all-out war, Erdogan proposed eliminating the dershanes, a system of exam-prep courses that serve as a major source of revenue and influence for Gulen's empire. In short order, the Gulenists retaliated on multiple fronts. In late November, their media published a classified 2004 memo from Turkey's National Security Council, signed by Erdogan, which recommended a series of measures targeting the Gulen movement. On Monday this week, a well-known Gulenist member of parliament resigned in protest from the AKP. And immediately thereafter came the police raids against Erdogan's allies, followed by Erdogan's purging of the police chiefs.

Where this confrontation goes from here is anyone's guess. It seems almost certain to get worse, even much worse -- especially in the run-up to a series of all-important local, presidential and parliamentary elections that are scheduled to kick off in March 2014. Gulen's allies in the police and prosecutor's office have already leaked a series of gory details about the corruption probe: Millions of dollars found stashed away in shoeboxes and safes belonging to the head of Halkbank and the Turkish interior minister's son.

Tens of billions of dollars in illicit transactions with Iran. The existence of hours of incriminating wiretaps. And that's just the tip of the iceberg, we're told. There are ominous threats of more to come, including, it is said, videotape of a government minister with close ties to Erdogan accepting a seven-figure bribe. How much of a leap to suspect that the Gulenists could be holding in reserve some kind of nuclear option, a dossier of sorts that potentially touches the prime minister, himself? No one knows. But anything seems possible in this environment. In part it depends on just how far the Gulenists are prepared to go. Is their aim simply to get Erdogan to back off or are they really seeking to bring him down for good? At the moment, it sure feels like the latter, but nothing's certain. And that includes what steps an increasingly desperate Erdogan might be prepared to take against his opponents, with all the substantial powers at his command and feeling himself under siege and pushed to the wall.

One hopes this showdown will play itself out consistent with the rule of law and the democratic process, with the ultimate verdict delivered at the ballot box. But that's by no means a sure thing. Who can say that some revelation may not emerge, some provocation may not occur, some spark won't be lit that -- like Gezi last summer -- puts millions of angry people from opposing camps back into the streets? And this time with a ruling elite that appears irreversibly fractured and at each other's throats. Moreover, one has to ask: What do the police and other forces charged with maintaining public security do when Erdogan calls upon them yet again to crack heads and restore order? It's not too hard to see how this nastiness could get really out of hand.

Short of that, it's still almost certainly the case that Erdogan's political fortunes have been seriously weakened. Starting with his intolerant, imperious, and menacing response to Gezi six months ago, he's clearly lost his golden touch. He's making mistakes and miscalculations, repeatedly. He appears increasingly erratic, authoritarian, and thuggish. He's alienating enemies, to be sure, but allies as well -- not just among the Gulenists, but within his own camp, too. His aura of invincibility has been cracked. The widespread fear he induced in large swathes of Turkish society has been partially breached. For the first time in a decade, there are signs that he may be vulnerable politically.

Already, there are rumors that there soon could be further resignations of Gulenists from the AKP parliamentary coalition, including perhaps a small number of cabinet ministers. On the economic front, this week's news sent Turkey's stock market and currency tumbling, and it is entirely possible that a drawn out crisis could precipitate large-scale capital flight from the Turkish market. Depending on how bad the news gets, one can even imagine Erdogan's own comrades in the AKP starting to look for ways to distance themselves from him in an attempt to salvage their careers. The implosion of the AKP coalition, while perhaps still not likely, suddenly seems within the realm of possibility.

Nevertheless, given Erdogan's near-total mastery over Turkey's political scene for more than a decade, it's still probably a stretch at this point to bet against him -- much less count him out. Even in the wake of Gezi and other events, there's not yet a lot of hard evidence that either he or the AKP have suffered a major hit in popularity. And it's even harder to make the case that Turkey's rather hapless secular opposition parties have been major beneficiaries of the Islamists's internecine showdown.

What does seem far more probable today than six months ago, however, is the prospect of an Erdogan who has been seriously chastened, weakened, and constrained. If in upcoming elections, the AKP loses control of certain key cities and sees its majority in parliament significantly eroded, it will be viewed as a direct repudiation of Erdogan's alarming bid to become a modern-day sultan. It could empower other figures within the AKP with greater inclinations toward a more tolerant, moderate, and consensus-driven form of politics. It would signal that Turks had at long last grown fed up with Erdogan's particular brand of demagoguery, bullying, and creeping Islamist authoritarianism.

That could only be a good thing for Turkey's democracy and, most probably, for its relations with the rest of the world, including the United States.

On that note, it's worth highlighting that the Halkbank element to the current corruption probe should merit special interest in Washington. The state-owned bank has long been under suspicion for its relationship to Iran. But initial hints from the investigation suggest that it might have been much, much worse than anyone thought, involving potentially tens of billions of dollars in illicit transactions in a massive sanctions-busting scheme, the direct beneficiary of which would have been the Iranian nuclear program. If proven out, that's an international scandal of the first order, especially if one assumes, not unreasonably, that it could not have been carried out without the complicity of some very high-level officials in the Turkish government. It would certainly reinforce the concern that many have long-held about Erdogan's efforts to move Turkish foreign policy in directions decidedly unfriendly to America and the West. Let's wait and see what the evidence shows, but if there's a there there, it would be one more powerful reason for the United States to harbor hope that the Erdogan era as we've known it may now be coming to a close.

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http://www.hurriyetdailynews.com
December/23/2013

Gülen reagisce alle accuse di aver dato del bugiardo al premier turco

Lo studioso islamista Fethullah Gülen ha contestato le osservazioni del primo ministro turco, promettendo di reprimere "quei bugiardi", durante l’escalation della guerra di parole tra le due parti, per l’indagine di corruzione in corso.

«Dio vede che è il bugiardo", ha detto nel suo ultimo discorso in onda il 22 dicembre da herkul.org, un sito web a lui vicino.

"Vedere la ristrettezza di alcune persone, che vogliono trascorrere la loro vita in quella ristrettezza per non mendicare da persone o non essere ingiuste per gli altri, è come per un bugiardo non sapere che cosa è un bugiardo" ha detto lo studioso, che vive in un esilio auto-imposto, nello stato americano della Pennsylvania.

Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan aveva detto che il giro di vite sulle persone dietro l'inchiesta di corruzione sarebbe continuato e il governo avrebbe separato i bugiardi da queste persone.

"Coloro che vogliono creare una struttura parallela a fianco dello Stato, coloro che si sono infiltrati nelle istituzioni statali ... verremo nelle vostre tane e abbatteremo queste organizzazioni nel territorio dello Stato", ha detto il 21 dicembre in un discorso nella città settentrionale di Ordu.

L’indagine per corruzione di alto livello ha scosso l'establishment politico turco, inasprendo il conflitto tra il governo di AKP e la Congregazione di Gülen, i cui seguaci detengono posizioni chiave nella polizia, nella magistratura e nei servizi segreti.

Ventiquattro persone sono state formalmente arrestate nell'ambito dell'inchiesta di corruzione che ha colpito la Turchia, compresi i figli di due ministri del governo e il direttore generale di Halkbank, banca di proprietà statale, mentre i conti sono stati sequestrati.

In risposta, circa 70 poliziotti, tra cui il potente capo della polizia di Istanbul, ora sono stati licenziati o trasferiti, in seguito alla detenzione dei sospetti di corruzione iniziata la settimana scorsa.

Attraverso un comunicato del suo avvocato subito dopo il lancio dell'operazione, il 17 dicembre, Gülen aveva negato di avere alcun collegamento con l’indagine, ma per tutta la scorsa settimana, lui e il primo ministro hanno incautamente continuato a litigare sul processo.

Una sfilza di imprecazioni

Gülen il 21 dicembre aveva montato un attacco senza precedenti contro il governo, accusandolo di ignorare le accuse di corruzione, ma andando a seguito delle indagini di polizia.

"Coloro che non vedono il ladro, ma vanno dopo quelli che inseguono il ladro ... Possa Allah portare il fuoco alle loro case " ha detto Gülen, imprecando in un video messaggio ai suoi seguaci che è stato mostrato sulle emittenti televisive turche.

Parlando prima della sua partenza per il Pakistan, il 22 dicembre, Erdoğan ha stigmatizzato le imprecazioni di Gülen.

"Preghiamo per i musulmani, che possano raggiungere la strada giusta non la loro dannazione. Imprecare è un trucco tra i musulmani, che tornerà a colui che lo ha fatto come un boomerang" ha detto.


http://www.hurriyetdailynews.com
December/23/2013

Islamic scholar Gülen responds to Turkish PM’s ‘lair’ remark in heated row over graft probe

Islamist scholar Fethullah Gülen has countered the Turkish prime minister’s remarks vowing to clamp down on “the ones in lairs,” escalating the heat of the war of words between parties amid the ongoing corruption probe.

“God sees who is in a lair,” he said in his latest speech aired on Dec. 22 by herkul.org, a website close to him.

“Seeing the narrowness of some people, who want to spend their lives in that narrowness in order not to beg from people or not to be unfair to others, as a lair means not knowing what a lair is,” the scholar, who lives in self-imposed exile in the U.S. state of Pennsylvania, said.

Prime Minister Recep Tayyip Erdog˘an had said the crackdown on people behind the corruption investigation would continue and the government would pull apart the “lairs” of these people.

“Those who want to establish a parallel structure alongside the state, those who have infiltrated into the state institutions ... we will come into your lairs and we will lay out these organizations within the state,” he said on Dec. 21 in a speech in the northern city of Ordu.

The high-level graft probe has shaken the political establishment, exposing a bitter feud between the Justice and Development Party (AKP) government and Gülen, whose followers hold key positions in the police, judiciary and secret services.

Twenty-four people have been formally arrested under the corruption investigation that hit Turkey, including the sons of two government ministers and the general manager of state-owned Halkbank while scores have been detained.

In response, about 70 police officers, including the powerful head of Istanbul’s force, have now been sacked or moved to different posts since the detention of bribery suspects began last week.

Through a statement release by his lawyer right after the launch of operation on Dec. 17, Gülen had denied having any connection with the probe, but throughout the past week, he and the prime minister incautiously sparred over the process.

Cursing row

Gülen on Dec. 21 had mounted an unprecedented attack on the government, accusing it of ignoring the corruption allegations but going after police investigating the charges.

“Those who don’t see the thief but go after those who chase the thief ... May Allah bring fire to their homes,” Gülen said, cursing in a video message to his followers that was shown on Turkish television stations.

Speaking ahead of his departure to Pakistan on Dec. 22, Erdoğan touched on Gülen’s cursing.

“We pray for Muslims to reach the right way not for their damnation. Cursing is such a trick among Muslims it will return to one who did this like a boomerang,” he said.

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