NOW AFP - July 9, 2013 - Gli Stati Uniti hanno speso miliardi in aiuti all'Egitto, ma la formazione di migliaia di ufficiali nelle accademie americane di elite è altrettanto vitale per gli stretti legami militari tra Washington e il Cairo. Mentre l’Egitto viene sconvolto da un mortale tumulto politico, il pluridecennale nutrimento delle relazioni militari emerge come un elemento chiave con cui Washington impegna un alleato mediorientale vitale all'indomani della cacciata del presidente Mohamed Morsi la scorsa settimana. Dal 1979, l'Egitto è stato il maggior beneficiario degli aiuti bilaterali degli Stati Uniti dopo Israele, con 68 miliardi dollari di sostegno americano, secondo il Congressional Research Service (CRS). L’Egitto, ancorato ad un accordo di pace con il vicino Stato ebraico, serve come punto focale della politica degli Stati Uniti nel mondo arabo, e garantisce il diritto di passaggio per le navi della Marina degli Stati Uniti attraverso il Canale di Suez.


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July 5, 2013

stralci da: Un ritrovato amore dell'America per gli eserciti arabi

La fascinazione che rivive l'America con i legami tra militari e militari sta ora dominando la sua politica estera in Medio Oriente.

Un Memo di Kerry ragiona sul Finanziamento di eserciti stranieri che contribuisce a sostenere gli interessi americani, riassumendolo come segue: - Fermare la circolazione di merci illecite attraverso i confini egiziani, aumentare la sicurezza nel Sinai e aiutare a prevenire attacchi da Gaza verso Israele, lottare contro il terrorismo, e garantire il transito attraverso il Canale di Suez, oltre ad aumentare i privilegi estesi dall'Egitto ai nostri militari. -

L’aiuto di Kerry all’Egitto, o più specificamente al suo esercito, non è subordinato all'inversione di articoli nella nuova costituzione egiziana che limitano la libertà di parola o minano i diritti delle donne, come durante gli anni di Bush. L’aiuto americano è ora focalizzato sui legami diretti tra militari, un forte partenariato per la sicurezza degli Stati Uniti con l'Egitto mantenendo anche un canale privilegiato con la leadership militare egiziana.

Il Medio Oriente può chiamare le sue rivolte "primavere arabe", ma Washington probabilmente le vede come semplici sconvolgimenti. Gli Stati Uniti non stanno cercando di aiutare gli arabi a costruire democrazie per sostituire gli autocrati deposti, ma sono piuttosto alla ricerca di giunte militari che mantengano le leve del potere, accanto ai governi miscuglio che comprendono tutti i chiunque e i nessuno.

Quindi non solo l'America crede che i suoi interessi debbano essere protetti dai militari mentre gli egiziani sono in rivolta, Washington pensa anche che l'esercito possa e debba influenzare la politica come un opinion maker, e che sia anche pagato per farlo.

In Giordania, gli Stati Uniti hanno condotto esercitazioni militari congiunte lasciandosi alle spalle un distaccamento di F-16 e missili Patriot. In Iraq e in Libano, il Capo di Stato Maggiore Martin Dempsey, ha suggerito che Washington invii addestratori per aiutare a preparare i due paesi che devono affrontare le conseguenze dello straipamento degli sfollati dalla Siria.

Gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa erano riluttanti ad armare l’esercito libanese per timore che le armi potessero cadere nelle mani di Hezbollah, sembrano aver gettato al vento l’iniziale prudenza e oggi sostengono pienamente l'esercito libanese. Durante i recenti scontri a Sidone, quando l'esercito si è scontrato con il partito dello sceicco Ahmed al-Assir e la sua banda armata, Washington si è gettata a capofitto in aiuto dell'esercito, anche se né Assir né il suo gruppo compaiono nella lista dei terroristi. A Washington non importa che l’esercito libanese agisca indipendentemente dalle autorità civili.

L’infatuazione incondizionata dell'amministrazione Obama per gli eserciti arabi è diventata palese. Forse per questo i funzionari americani dicono ripetutamente che desiderano un colpo di stato militare in Siria, che potrebbe far cadere Assad e magari sponsorizzare l’immaginato governo inclusivo e la democrazia.


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July 5, 2013

America's newfound love for Arab armies
By Hussain Abdul-Hussain

Kerry's memo reasoned that this "Foreign Military Financing" contributed to supporting U.S. national security interests, which he outlined as follows: "[S]topping the movement of illicit goods across Egyptian borders, increasing security in the Sinai, helping prevent attacks from Gaza into Israel, countering terrorism, and securing transit through the Suez Canal, [in addition to] over flight privileges extended by Egypt [to] our military."

Kerry's aid to Egypt, or more specifically to its military, was not conditional on the reversal of articles in the new Egyptian constitution that limit freedom of speech or undermine women's rights, like during the Bush years. America's aid is now focused on "military-to-military ties, a strong US security partnership with Egypt [that] maintains a channel to Egyptian military leadership, who are key opinion makers."

The Middle East may call its uprisings the Arab Spring, but Washington probably sees them as mere upheavals. The United States is not trying to help Arabs build democracies to replace the deposed autocrats, but is rather searching for military juntas to hold the levers of power, next to ceremonial, non-functional, hodge-podge governments that include everyone who is anyone.

So not only does America believe its interests should be protected by the military while Egyptians revolt and counter revolt, Washington also thinks it is all right for the army to influence politics as "opinion makers," and still get paid for it.

America's revived fascination with military-to-military ties is now dominating its foreign policy toward the Middle East.

In Jordan, the United States conducted joint military exercises and left behind a detachment of F-16s and Patriot missiles. In Iraq and Lebanon, U.S. Chief of Staff Martin Dempsey suggested that Washington send trainers to help prepare both countries face spillover contingencies from Syria.

The U.S., which until recently was reluctant in arming the LAF for fear that arms might fall into the hands of Hezbollah, seems to have thrown caution to the wind and fully endorses the Lebanese Army today. During the recent Sidon clashes, the army – some say jointly with Hezbollah – took on the party's nemesis Sheikh Ahmed al-Assir and his armed gang. Washington was head-over-heels in its support of the army, even though neither Assir nor his group are on America's terrorism list. Washington did not care either that the LAF was acting independently of civilian authorities.

The Obama administration's unqualified infatuation with Arab armies has become flagrant. Perhaps that is why U.S. officials repeatedly say they wish a military coup in Syria could take out Assad and maybe sponsor the imagined "all inclusive government" and democracy thereafter.

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