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15 Agosto 2013

Egitto paese impazzito
di Nicola Mirenzi

Tutto è partito in mattinata al Cairo, con un’operazione delle forze dell’ordine per rimuovere i sit-in dei Fratelli musulmani – il partito del presidente Mohamed Morsi, deposto dall’esercito il 3 luglio scorso – in due quartieri della città. La polizia ha attaccato violentemente i manifestanti, lanciando gas lacrimogeni e – secondo alcune testimonianze – sparando su di essi con armi automatiche, aprendosi così la strada per penetrare nei due accampamenti di el-Nahda e Rabaa al-Adaweya.

La situazione è subito degenerata, e il caos si è esteso ben oltre la capitale: scontri e manifestazioni ci sono state nelle principali citta egiziane, da Alessandria a Suez. Mentre nella parte centrale del Paese, almeno tre chiese sono state prese d’assalto, una nella città di Sohag, nota per ospitare un largo numero di cristiani coopti tra i suoi residenti.

Secondo i sostenitori di Morsi i morti sarebbero più di 2000. Le cifre diffuse dal ministero della sanità si fermano invece a 235. Comunque abbastanza per condurre il vicepresidente dell’Egitto Mohamed ElBaradei a dimettersi, consegnando una lettera al presidente della Repubblica Adly Mansour.

«I beneficiari di ciò che è accaduto oggi (ieri per chi legge n.d.r.) – è quanto scrive nella missiva – sono coloro che vogliono la violenza, il terrorismo e i gruppi più estremi». Secondo ElBaradei, c’erano infatti delle «vie pacifiche per mettere fine agli scontri», delle «soluzioni accettabili» per costruire un consenso nazionale intorno al governo. Ma queste strade non sono state percorse. Per questo, confessa ElBaradei, «è diventato difficile per me assumermi la responsabilità per decisioni che non condivido e per le cui conseguenze provo paura».

La presidenza della Repubblica ha dichiarato ieri lo stato d’emergenza per un mese. E il coprifuoco è previsto nella provincia del Cairo e in altre 10 a partire dalle 19 di sera sino alle 6 di mattina.

Negli scontri di ieri hanno perso la vita anche due giornalisti: si tratta di un cameraman di Sky News, Mick Deane, e di un corrispondente di un sito d’informazione di Dubai, Habiba Ahmed Abd Elaziz. Uccisa anche la figlia 17enne di uno dei leader dei Fratelli musulmani, Asma el-Beltagy. Tra gli arrestati eccellenti si contano pure due figure di primo piano del partito pro-Morsi: el-Erian ed el-Beltagi.

Sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti sia l’Onu hanno condannato l’eccessivo uso della forza da parte del governo, invitando ad agire con maggiore equilibrio. La Casa Bianca ha detto che la violenta azione del governo egiziano «va esatamemente nella direzione opposta a quella della riconciliazione» che era invece l’obiettivo del governo in carica. Il portavoce del governo di Washington ha dichiarato che gli Usa premono sul «governo egiziano e su tutte le parti coinvolte perché abbandonino la violenza e risolvano le loro differenze pacificamente».

Dura anche la condanna del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, il quale ha accusato la comunità internazionale di aver «aperto la via» al massacro, non condannando debitamente e per tempo la deposizione del presidnete eletto Morsi: «È chiaro che rimanendo silente, la comunità internazionale ha incoraggiato l’intervento di oggi». Da quando egli è stato rovesciato, il 3 luglio scorso, i morti accertati sono più di 250. Ma dopo l’intervento di ieri il numero è destinato a crescere.

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