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15 agosto 2013

Il massacro del Cairo: quale musulmano si fiderà ancora dell’urna elettorale?
di Robert Fisk

Il crogiolo egiziano si è rotto. La “unità” dell’Egitto – quella colla onnicomprensiva, patriottica, essenziale  che ha tenuto legata insieme  la nazione fin dal rovesciamento della democrazia e dal governo di Nasser – si è squagliata tra i massacri, le battaglie con le armi da fuoco, e la furia della repressione di ieri della Fratellanza Musulmana. Cento morti -200, 300 “martiri” – non fanno alcuna differenza per il risultato:  per milioni di egiziani la strada verso la democrazia è stata fatta a pezzi tra il fuoco delle armi e la brutalità. Quale musulmano che cerca uno stato basato sulla propria religione si fiderà mai di nuovo dell’urna elettorale?

Questa è la vera storia del bagno di sangue di ieri. Chi può essere sorpreso che dei sostenitori dei Fratelli Musulmani imbracciassero dei Kalashnicov nelle strade del Cairo? O che i sostenitori dell’esercito del “governo a interim” – in zone della classe media della capitale, nientemeno – abbiano acchiappato le loro armi o ne abbiano prodotte di loro e abbiano iniziato a rispondere al fuoco. Qui non si tratta della  Fratellanza contro l’esercito, sebbene questo sia il modo in cui i nostri statisti occidentali cercheranno di rappresentare falsamente questa tragedia. La violenza di oggi ha creato una divisione crudele all’interno della società egiziana e per guarirla ci vorranno anni; tra le persone di sinistra e laiche e Cristiani Copti e gli abitanti musulmani sunniti dei villaggi, tra la gente e la polizia, tra la Fratellanza e l’esercito. Questo è il motivo per cui Mohamed el-Baradei stasera si è dimesso. L’incendio delle chiese è stato un corollario inevitabile di questa terribile faccenda. More>

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