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28 agosto 2013

Egitto, polemiche sulla bozza di Costituzione tra sharia e democrazia
di Laura Cappon

Dieci "saggi" (tutti uomini) hanno stilato una bozza della Carta che dovrebbe sostituire quella approvata nell'era Morsi. Nel testo, la legge islamica resta "il fondamento della giurisprudenza" e resistono tutte le limitazioni all'uguaglianza di genere. Ma un nuovo articolo vieta la formazioni di partiti su base religiosa

Mentre continua la tensione per le strade egiziane il governo a interim fa un passo avanti sui punti della road-map della nuova transizione democratica annunciata dai militari in concomitanza con la destituzione di Mohammed Morsi. Il primo riguarda la modifica della costituzione del 2012 sospesa dal consiglio militare supremo. Martedì scorso il presidente Adly Mansour ha ricevuto la nuova bozza del documento stilata da una commissione di dieci esperti. Ora, come previsto dalla road-map, un’assemblea di 50 personalità appartenenti al mondo della politica e della società civile esamineranno il testo che, nonostante non sia stato ancora presentato pubblicamente, sta già suscitando molte critiche da parte dell’opinione pubblica e degli attivisti per i diritti umani. “L’approccio dello stato è quello di non realizzare una vera riforma costituzionale” – spiega a ilfattoquotidiano.it Zaid Al-Ali, consulente del think tank liberal Constituion Building for Idea. “Per ora non sappiamo con precisione quante cose sono state cambiate, ma l’essenza del documento non è affatto diversa da quella precedente”.

Per il momento il cambiamento più efficace sembra essere quello relativo al riferimento della sharia come base della legislazione egiziana. Mentre resta immutato l’articolo 2 (“ i principi della legge islamica sono il fondamento della giurisprudenza egiziana”) viene cancellato il 219 – introdotto con la costituzione del 2012 – che introduceva l’utilizzo di diverse interpretazioni della sharia.

Inoltre, la nuova bozza, che elimina la Camera Alta del Parlamento (Maglis al-Shura), sembra restringere i poteri del presidente legittimando il Parlamento a formare e sfiduciare il governo senza necessariamente passare per nuove elezioni. La Costituzione approvata a dicembre 2012 e spinta dall’allora presidente Morsi con un decreto costituzionale contestato con violente proteste, aveva aumentato in maniera esponenziale il potere del presidente a discapito di quello del parlamento. Ma secondo Al-Ali le modifiche sarebbero solo apparenti. “In pratica il parlamento non avrà più poteri – dice – il sistema sarà sempre sbilanciato a favore del governo e del presidente”.

Per il resto il documento mantiene quello che molti esperti hanno definito l’“impronta antimoderna” del sistema costituzionale egiziano. Una delle modifiche più controverse è l’emendamento dell’articolo 6 che proibisce la formazione di partiti su base religiosa. Se questo comma verrà approvato dalla commissione allargata porterà allo scioglimento dei partiti di ispirazione islamica compreso l’Hizb Horreya wa Adala, la costola politica dei Fratelli Musulmani.

Per quanto riguarda i diritti delle donne, gli emendamenti non migliorano il quadro del documento stilato durante il governo islamista. La commissione, composta da soli uomini, ha lasciato intatto il comma che limita l’eguaglianza tra i generi “secondo i principi della sharia”. A questi si aggiungono gli articoli 10 e 11 che indicano lo Stato come “protettore di valori originali della famiglia” e garantiscono l’assistenza statale per le donne “affinché adempiano i loro diritti verso la famiglia e la società”.

“Pochissime richieste della società civile sono state accolte – continua Al-Ali – il problema fondamentale delle persone che hanno scritto i nuovi articoli è che non c’era nessuna intenzione di migliorare la situazione sui diritti dei lavoratori e dei soggetti più deboli della società”.

Per il momento il governo non ha ancora ultimato la nomina della commissione allargata, ma il referendum, previsto tre mesi dopo l’approvazione definitiva, potrebbe aprire – con i fratelli musulmani fuori dalla scena politica – una nuova occasione di scontro tra i militari e i movimenti secolari che appoggiano il governo.

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