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5 Dic 2013

Egitto, la Costituzione dei militari. Un passo avanti, due indietro
di Alessandro Accorsi e Giovanni Piazzese

La bozza di Carta costituzionale migliora i diritti fondamentali, ma è fatta su misura per trasformare l'uomo forte al Sisi in un nuovo Mubarak. Tensioni in vista

Bisogna voltare pagina, ed è bene farlo presto. Mentre si riaccendono nuovi focolai di dissenso, l’Egitto vuole chiudere con il passato recente e per farlo si affida ad una nuova bozza costituzionale – da approvare per via referendaria a gennaio – e ad una durissima legge sulle proteste.

Eppure, la costituzione non guarda al futuro ma al “passato più prossimo”, premiando militari e potere giudiziario, ponendo le basi per un uomo forte al comando e riflettendo – anche per i continui richiami alla sicurezza nazionale – le preoccupazioni degli ultimi mesi.

«È una buona costituzione rispetto a quella islamista del 2012, ma non ci sono idee rivoluzionarie per garantire l’accesso ai servizi di base», dice Zaid Al-Ali dell’Istituto Internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (Idea). Secondo la ricercatrice Dina Yehia, «la parte relativa ai diritti fondamentali ha visto dei miglioramenti, ma quel che danno con la mano destra lo tolgono con la sinistra». A preoccupare è soprattutto il continuo richiamo a leggi ordinarie che regolino i diritti e che, secondo Zaid, «potrebbero portare alla negazione di quegli stessi principi costituzionali».

Per questo, più che dalla nuova costituzione il futuro e la stabilità politica del paese dipenderanno dal risultato delle prossime scadenze elettorali. La roadmap potrebbe essere stravolta anticipando le elezioni presidenziali e favorendo la candidatura del generale Abdel Fattah al Sisi. Anticipando le presidenziali, Sisi potrebbe candidarsi con ancora un ottimo margine di consensi.

Ma il potere in Egitto logora chi ce l’ha e il nuovo “idolo delle folle egiziane” non si è ancora sbilanciato. Il suo obiettivo era di riportare sul piedistallo l’istituzione militare e ci è riuscito. I militari si assicurano in ogni modo ampio spazio di manovra e influenza con le continue clausole in difesa della sicurezza nazionale, i processi militari per i civili, la segretezza del bilancio dello Stato e l’approvazione, almeno per i primi otto anni, del ministro della difesa.

Anche se una nuova dittatura non sarebbe possibile – il parlamento può destituire il presidente – un capo dello stato sostenuto dai poteri forti come Sisi avrebbe il tempo di formare un’alleanza elettorale per le parlamentari. Potrebbe, quindi, schiacciare la classe politica, dare un primo indirizzo all’applicazione dei diritti costituzionali – o alla loro limitazione – e far rivivere un regime semi-autoritario.

Intanto, il governo ha annunciato di voler restaurare l’ordine e la sicurezza ma, adottando una legge draconiana che limita fortemente il diritto di manifestare, ha aperto un nuovo fronte di lotta con quei rivoluzionari “laici” rimasti sinora in silenzio. Così, sotto la cortina di nazionalismo e militarismo esasperato, si intravedono, per la prima volta negli ultimi mesi, dei segnali di dissenso pubblico e di rottura dell’idillio tra militari e popolazione.

Si assiste sbigottiti a scene fino a poco tempo fa inimmaginabili, come quella di un uomo che chiede agli altri passeggeri della metro «avete visto che cosa hanno fatto a quelle ragazze?». Quelle ragazze cui fa riferimento sono le attiviste picchiate, arrestate, molestate sessualmente e rilasciate dalla polizia nel deserto dopo una manifestazione contro i processi militari di fronte al parlamento. O, ancora, le adolescenti condannate a undici anni di prigione per aver mostrato in pubblico dei cartelli pro-Fratelli musulmani.

Una protesta studentesca all’Università del Cairo è terminata, invece, con uno studente ucciso dai colpi della polizia che è tornata a rincorrere, picchiare, torturare come sotto Mubarak. Le immagini della repressione delle manifestazioni hanno scioccato un paese che era rimasto impassibile persino di fronte all’uccisione di 1.300 islamisti in estate.

Un anno fa, durante gli scontri al palazzo presidenziale tra sostenitori e oppositori di Morsi, optando per la repressione e ignorando il dialogo, l’ex presidente aveva sancito l’inizio della sua fine. Se il governo filo-militare non risolverà la crisi economica, migliorerà l’accesso ai servizi e garantirà le libertà chieste dalla popolazione, rischia non di voltare pagina, ma di aprire un nuovo capitolo di proteste e rivolte.

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