Europaquotidiano.it
26 Luglio 2013

La versione dei Fratelli musulmani:
«In piazza fino alla caduta dei generali»
Alessandro Accorsi e Giovanni Piazzese intervistano Mohamed el Beltagy, segretario generale della Fratellanza musulmana.

Ventitrè giorni dopo l’intervento dei militari in Egitto, i Fratelli musulmani continuano la loro protesta, Mohamed Morsi è ancora desaparecido e la riconciliazione nazionale sembra una chimera, anche sull’onda degli oltre duecento morti nel paese. Duecento morti Sinai escluso. Uno stallo politico che non allontana le prospettive di una guerra civile. Specialmente dopo il discorso di mercoledì del generale Abdel Fatah al Sisi, con cui il “nuovo Nasser” ha invitato il popolo a scendere in piazza oggi per conferirgli la legittimità per «combattere il terrorismo».

I negoziati tra islamisti e militari sono falliti circa dieci giorni fa. Le forze armate chiedevano la smobilitazione della protesta, ma il movimento di Morsi non è in grado, a questo punto, di farlo. I Fratelli, infatti, hanno aggregato simpatizzanti salafiti, sottolineando gli elementi cari alla galassia islamista: il progetto di uno stato basato sulla sharia, la persecuzione dei militari, il martirio.

I pochi leader della Fratellanza rimasti in libertà – come il segretario generale Mohamed el Beltagy, intervistato da Europa – continuano intanto a sostenere la legittimità della propria protesta e denunciano le logiche anti-democratiche dell’opposizione e delle forze armate. Senza fare i conti però con la perdita di sostegno popolare. Chiudendo la porta, di conseguenza, ad ogni compromesso.

I Fratelli musulmani hanno definito quanto avvenuto in Egitto un colpo di stato. Considerando la quantità di persone che ha protestato il 30 giugno, non ritiene che si tratti anche di una reazione popolare contro il governo?

Il 30 giugno è stata la “rivoluzione di Photoshop”. È stata fatta da un gruppo di ribelli e da persone del vecchio regime che non vogliono nessun cambiamento. Hanno creato un gruppo numeroso, ma artificioso. Ci sono i sette milioni del vecchio Partito nazional democratico di Hosni Mubarak, i trecentomila della baltageya (teppisti, ndr), i cristiani e un milione di normali cittadini. Persone che non appartengono a nessun partito politico, ma che sono state spinte a scendere in strada da una crisi prefabbricata, dalle code alle stazioni di benzina, dalla carenza di gas, dai continui blackout e dalla mancanza di elettricità. Tutti problemi creati dal vecchio regime. Era una crisi prefabbricata, ma queste persone normali non lo sapevano e si sono sfogati su Morsi.

Le proteste contro l’operato del presidente Morsi sono iniziate lo scorso ottobre e sono proseguite sino alla sua destituzione. Ritiene davvero si tratti di un fotomontaggio?

Morsi ha detto che se le persone non lo volevano più, si sarebbe dimesso da solo. Per quale motivo allora non accettiamo di lasciare il governo? Perché dieci milioni di persone hanno votato il candidato del vecchio regime Ahmed Shafiq e hanno perso, ma continuano a non accettarlo. Dovrebbero aspettare le prossime elezioni e provare a vincerle. E quella del 30 giugno non è una rivoluzione. Scendere in strada per sei ore non è una rivoluzione. Ventiquattro giorni di sit-in a Nasr City per chiedere il ritorno di Morsi… questa sì che è una rivoluzione!

Morsi ha commesso degli errori mentre era al governo?

Morsi ha ottenuto un risultato storico vincendo le prime elezioni democratiche con circa undici milioni di voti. Inoltre, i Fratelli musulmani hanno sempre vinto tutte le sei tornate elettorali svolte sinora, inclusa quella sulla Costituzione. Morsi, tuttavia, ha fatto un grave errore. Ha dato fiducia al vecchio regime perché si aspettava che il cambiamento partisse da loro. Invece no, hanno atteso, hanno aspettato che Morsi abbassasse la guardia e hanno cospirato alle sue spalle. Il vecchio regime ha radici profonde e difficili da estirpare.

Eppure, Morsi ha scelto sia il capo dell’intelligence militare che il ministro dell’interno. Perché non ha coinvolto maggiormente le forze d’opposizione, per disfarsi del vecchio regime?

Anche se è stato un errore non coinvolgere gli altri soggetti politici, è pur vero che nessuno di loro ha mai realmente provato a lavorare con Morsi. Tutte le forze politiche, infatti, si sono rifiutate di formare una coalizione con noi, creando una distanza sempre più grande tra islamisti e rivoluzionari. Questo ha consentito alle forze armate e all’intelligence militare di colmare il vuoto e di organizzare il colpo di stato non appena si è presentata l’occasione.

Qual è adesso il vostro obiettivo? Un ritorno di Morsi o elezioni anticipate?

Chiediamo che Morsi torni al suo posto.

E dopo?

Il problema non riguarda semplicemente Morsi. Dalla Costituzione sino alle due camere del parlamento, tutto il sistema deve tornare a essere operativo, perché è stato messo in piedi con metodi legittimi e democratici.

Lei sostiene che la vostra è una lotta per il ritorno alla democrazia. Cos’è per lei la democrazia?

Tutti conoscono il significato e il funzionamento della democrazia. Anzi, siete voi occidentali ad aver definito cosa vuol dire vivere in un sistema democratico ed è quello che chiedete di applicare in molti paesi in giro per il mondo. Noi abbiamo avuto sei elezioni e le abbiamo vinte tutte con ampi margini. L’opposizione non ha accettato questi risultati e così ha chiesto l’intervento delle forze armate. L’Europa, che parla tanto di democrazia, sostiene un colpo di stato militare che ha estromesso le forze democratiche.

Ma democrazia significa governo della maggioranza o rispetto delle minoranze?

Sono le minoranze che stanno governando al momento, sono loro che stanno imprigionando la maggioranza uscita dall’urna elettorale e che doveva governare il paese pacificamente e in coalizione con loro. Voi europei parlate tanto di diritti umani. Ora non parlo più di elezioni, ma dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Parlo della libertà di parola, della libertà di protestare, della libertà di stampa. Libertà che ci sono state portate via dal primo minuto del golpe militare. Parlo del diritto dei cittadini di protestare pacificamente senza che qualcuno gli spari contro, il diritto delle donne di non essere uccise nelle manifestazioni. E gli europei supportano ancora il colpo di stato e un regime militare oppressivo. Il presidente Morsi è stato rapito da quasi tre settimane, nessuno sa dove sia e non ci sono accuse a suo carico. Questi sono i più semplici diritti vitali.

Nelle democrazie il popolo ha, però, il diritto di protestare e ribellarsi.

In uno stato democratico un partito vince le elezioni e qualche giorno dopo i cittadini scendono in strada. Deve dimettersi? Bisogna tornare a nuove elezioni?

A volte le proteste possono portare alla caduta del governo, anche negli stati democratici.

Sì, il parlamento può essere sciolto e si va a nuove elezioni. Ma abbiamo vinto le elezioni tutte e sei le volte. Cosa volete? Che ad ogni protesta torniamo alle elezioni e le rivinciamo?

Morsi ha vinto con il 51 per cento e non solo con i voti della Fratellanza musulmana, ma anche con quelli di liberali e rivoluzionari.

Se Obama vince con il 51 per cento e, subito dopo, il suo avversario scende in piazza e chiama un generale del Pentagono che rimuove Obama, è accettabile per voi? È democrazia?

Può confermare la volontà di appellarsi al Tribunale internazionale dell’Aja per ottenere il rilascio di Morsi?

Sì, ma è un’iniziativa della famiglia del presidente, non del movimento dei Fratelli musulmani.

Lei ha dichiarato che se Morsi non tornerà al potere, il Sinai esploderà. Cosa significa?

Non è vero, è una dichiarazione creata ad hoc e diffusa dall’intelligence militare. Tutti sanno che la Fratellanza musulmana non ha mai utilizzato la violenza, non solo qui o nel Sinai, ma ovunque.

Come giudica il comportamento dei vostri ex alleati salafiti del partito Nour e della Da’wa Salafiyya?

Non ci preoccupiamo del loro comportamento, le persone li giudicheranno alla fine. Quello che ci preoccupa ora è restaurare la legittimità nel paese.

Quali sono le vostre prossime mosse? Cosa volete?

Rimarremo in piazza non solamente fino al ritorno di Morsi, ma fino a che non saremo sicuri che tutte le persone legate al vecchio regime di Mubarak non saranno rimosse da tutte le posizioni ufficiali tanto nell’apparato militare, quanto in quello governativo.

top