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10 Dicembre 2013

I motivi per cui la Conferenza di Helsinki è fondamentale per il Medio Oriente
di Johannes Hautaviita e Bruno Jäntti
Traduzione di Maria Chiara Starace

Secondo gli specialisti di Medio Oriente e di non-proliferazione nucleare, affinché la Conferenza di Helsinki, che è stata rinviata riesca bene in futuro, è richiesto un impegno genuino da parte dell’Occidente, specialmente da parte degli Stati Uniti.

Il significato  della Conferenza di Helsinki

Alla Conferenza degli Stati, parte il riesame del Trattato di non-Proliferazione delle Armi Nucleari (NPT), il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha chiesto di progredire verso l’istituzione di una zona denuclearizzata in Medio Oriente”. Il documento finale della conferenza  sottolineava l’importanza dell’istituzione di una NWFZ (zona libera da armi nucleari) “specialmente in Medio Oriente”. L’ONU ha sostenuto che tutti gli stati  della regione si riuniscano in una conferenza programmata per il 2012 per accordarsi riguardo  all’attuazione dell’iniziativa.

Nell’ottobre 2011, la Finlandia è stata scelta come sede  della Conferenza che doveva tenersi sotto gli auspici dell’ONU, a Helsinki nel dicembre 2012.

L’Iran è stata d’accordo a partecipare ai negoziati. Israele, però ha rifiutato. A novembre gli Stati Uniti hanno cancellato la Conferenza di Helsinki.

Non essere riusciti a far entrare le parti rilevanti nei negoziati, segna una notevole battuta di arresto e mostra il fragile stato del regime del NPT nel ventunesimo secolo. Le parti del NPT hanno un obbligo legale vincolante di “perseguire  negoziati in buona fede” sulle misure relative alla “cessazione della corsa alle armi nucleari” e al “disarmo nucleare” (Articolo VI dell’NPT). Nel 1996 questo obbligo è stato rafforzato con una decisione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), il più alto organismo giudiziario del mondo.

Oltre alle gravi conseguenze per la fattibilità del regime NPT, il fallimento della Conferenza ha potenzialmente ripercussioni sfavorevoli per la sicurezza e la stabilità del Medio Oriente.

Nel gennaio 2013, il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che esprime la sua delusione per il rinvio della conferenza e ha chiesto che venga stabilita una nuova data il più presto possibile.

Per i sostenitori di un Medio Oriente libero da armi nucleari, il processo di Helsinki resta il principale strumento per impedire una corsa regionale alle armi nucleari e deviare la minaccia di uno scontro militare su vasta scala in Medio Oriente.

E’ perciò fondamentale che gli ostacoli politici che bloccano la Conferenza di Helsinki vengano analizzati a fondo e attentamente. Senza un accurato resoconto dei motivi che sono dietro allo stato di stallo attuale, i tentativi per la Conferenza di Helsinki è probabile che rimangano infruttuosi.

L’Iran e l’NPT

Gli Stati Uniti hanno appoggiato, in varia misura, l’India, il Pakistan e Israele per i loro rispettivi programmi nucleari. Tutti e tre sono paesi che possiedono armi nucleari e che si rifiutano di firmare l’NPT. Inoltre, gli Stati Uniti continuano a minare la NWFZ (zona denuclearizzata) sia in Africa che nel Sud Pacifico non ratificando i trattati. E’probabile che gli Stati Uniti vogliano usare le loro dipendenze nel Pacifico e anche l’isola africana di Diego Garcia per immagazzinarvi armi nucleari. Alla luce dei suddetti precedenti, gli Stati Uniti si mostrano probabilmente come coloro che hanno violato nel modo più grave l’NPT.

Nel novembre del 2012, quando l’amministrazione Obama ha annunciato unilateralmente l’annullamento della Conferenza di Helsinki, faceva riferimento “al subbuglio e ai sensazionali cambiamenti politici che avvenivano in Medio Oriente a al continuo disprezzo dell’Iran rispetto ai suoi obblighi a livello internazionale per la non proliferazione.”

Contrariamente alle ripetute asserzioni dell’amministrazione Obama, non c’è alcuna prova che l’Iran non sia riuscito ad adempiere agli obblighi dell’NPT. In effetti le prove e la documentazione schiacciante  che confutano questa affermazione, sono spesso ignorate.

Secondo la Comunità dell’Intelligence degli Stati Uniti, l’Iran non ha un programma di armi  nucleari dal 2003. Questi risultati sono stati riportati al Congresso degli Stati Uniti.

Sebbene l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AEIA) abbia speso, negli scorsi dieci anni, più risorse per le ispezioni all’Iran che in qualsiasi altro paese del mondo, non ha trovato alcuna prova che l’Iran abbia un programma operativo di armi nucleari. Inoltre l’AEIA non ha trovato alcuna prova che l’Iran abbia dirottato  materiale nucleare a scopo militare.

Secondo Asl Bâli, professore Assistente di legge della Scuola di Giurisprudenza dell’Università della Califonia a Los Angeles, la Risoluzione 1696 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che fa appello all’Iran perché sospenda  ogni forma di arricchimento di uranio, non è basata sulla scoperta che l’Iran abbia violato l’NPT. Dato che non c’era alcuna base secondo la legge internazionale per adottare la risoluzione 1696, essa effettivamente ha “ignorato il regime legale esistente che governa la non proliferazione nucleare”, dice Asl Bâli, “dettando i requisiti dell’Iran che non è dato di trovare in quell’insieme di leggi.

L’NPT garantisce agli stati che lo approvano, come l’Iran, il dritto di arricchire l’uranio in base a salvaguardie internazionali.

Se gli Stati Uniti sono preoccupati per il programma nucleare dell’Iran, stabilire una NWFZ nella regione sarebbe la strategia più efficace per assicurarsi che l’Iran in futuro rimanga uno stato senza armi nucleari .

Eric Hooglund, professore di Studi iraniani all’Università di Lund, e autorità accademica sull’Iran contemporaneo, scrive: “La preoccupazione pubblica degli Stati Uniti e di Israele per un presunto programma nucleare in Iran è una copertura  per il vero obiettivo politico di Washington: il cambiamento di regime a Teheran.”

La minaccia costruita del programma nucleare dell’Iran devia l’attenzione dall’unico serio ostacolo all’istituzione di una NWFZ in Medio Oriente, cioè il massiccio arsenale di armi nucleari di Israele.

La posizione di Israele

Nel settembre 2012, Shaul Horev, direttore del Comitato Israeliano per l’Energia Nucleare che riferisce direttamente al Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha espresso la volontà della posizione israeliana verso la zona libera da armi nucleari in Medio Oriente:

“Questa è un’idea nata in altre zone e aliena alla realtà e alla cultura politica della zona. Le demilitarizzazione nucleare in Medio Oriente, secondo la posizione israeliana, sarà possibile soltanto dopo che si sarà stabilita la pace e la fiducia tra gli stati della zona, come risultato di un’iniziativa locale, non di coercizione esterna.”

Sembra piuttosto insolito che un alto rappresentante dell’unico stato che ha armi nucleari (NWS – Nuclear Weapons State) in una regione cerchi di convincere la comunità internazionale che la demilitarizzazione nucleare è ” aliena alla realtà e alla cultura politica” di quella zona. A parte questo, la parte più  insostenibile della posizione ufficiale israeliana, è la pre-condizione che “bisogna stabilire la pace”,dato il rapporto che ha Israele rispetto a questo tentativo.

Un esame generale della “storia” diplomatica  del conflitto israelo-palestinese denota che il modus operandi di tutti i governi israeliani  è basato sul rifiuto degli accordi politici che rafforzerebbero i diritti garantiti al popolo palestinese dalla legge internazionale. I partiti politici ebrei di Israele sono uniti nel loro rifiuto categorico del ritorno dei profughi palestinesi. Inoltre, la cultura politica ebraica di Israele è stata e rimane ostinatamente contraria al riconoscimento uno  stato palestinese sui confini riconosciuti in campo internazionale, o lungo le linee dell’armistizio del 1949.

Conformemente, il Jerusalem Post, riferisce, nel giugno 2013, approfondendo il dibattito internazionale che si svolge all’ONU, l’asserzione di Israele che “il concetto del diritto di ritorno per i palestinesi nello stato di Israele, mina il principio fondamentale di una soluzione dei due stati”, e che Israele ha rifiutato l’idea di una soluzione dei due stati lungo le linee precedenti al 1967 o di fermare l’attività degli insediamenti come pre-condizione per i colloqui.

L’iniziativa di pace più completa nella storia del conflitto, è l’Iniziativa araba di pace, presentata dalla lega Araba. Proposta nel 2002 al Vertice di Beirut dall’allora Principe della Corona, Re Abdullah dell’Arabia Saudita, e appoggiata di nuovo al Vertice di Riyadh del 2007, il piano di pace richiede la normalizzazione delle relazioni tra gli stati arabi e Israele, in cambio di un ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati e di “una giusta soluzione” al problema dei rifugiati palestinesi.

L’offerta è stata costruita sulle premesse e le  prescrizioni   della legge internazionale e avrebbe reso possibili progressi significativi per risolvere il conflitto tra Israele e i palestinesi. Il piano è stato appoggiato da ogni singolo membro della Lega Araba e dell’ Organizzazione della Cooperazione Islamica.

Israele ha rifiutato il piano etichettandolo come “una perdita di tempo” e dichiarando che avrebbe portato alla distruzione di Israele.

Ogni anno l’Assemblea Generale dell’ONU esprime il proprio voto per un accordo pacifico della questione palestinese. La risoluzione chiede di decidere il conflitto in base allo stesso consenso internazionale che era anche la base dell’Iniziativa Araba di Pace.

Riflettendo analoghi approcci delle parti del conflitto rispetto alla struttura della legge internazionale, tutta la Lega Araba ogni anno dà il suo sostegno alla risoluzione, mentre Israele, gli Stati Uniti e solitamente un gruppetto di piccoli stati insulari dell’Oceano Pacifico, in via di sviluppo votano contro di essa.

Merita risalto il fatto che, mentre Israele si oppone ostinatamente sia alle risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU per risolvere il conflitto israelo-palestinese che all’ Iniziativa Araba di Pace, il governo dell’Iran appoggia entrambi i tentativi.

“Medio Oriente libero dal nucleare  o Iran libero dal nucleare?

Gli esperti di politica mediorientale e di non proliferazione nucleare, mettono in rilievo che la riuscita attuazione dell’iniziativa per una NWFZ in Medio Oriente e la Conferenza di Helsinki, sono di importanza primaria per la sicurezza della regione.

Mouin Rabbani, che è un esperto all’Istituto per gli Studi palestinesi e condirettore di Jadaliyya, fa notare che le armi nucleari non sono l’unico tipo di armi di distruzione di massa [Weapon of Mass Destruction - WMD] che si trovano in Medio Oriente.

“Dato che il Medio Oriente è ultrasaturo di armi di tutti i tipi, comprese le WMD”, osserva Rabbani, una NWFZ è l’unico modo di evitare una corsa alle armi nucleari in Medio Oriente.”

Robert Kelley, ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AEIA) sottolinea che il fallimento dell’importante conferenza per la NWFZ  in Medio Oriente mostra la tenue natura del NPT in questi giorni.” Kelley approfondisce: “Se la Conferenza per il riesame del NPT promette una conferenza per la NWFZ in Medio Oriente e gli Stati che hanno le armi nucleari (NWS) non riescono neanche a far venire l’unico stato che di fatto le possiede, è un segno di tremenda debolezza.”

Noam Chomsky,  Institute Professor (la carica accademica più prestigiosa) e Professore Emerito al Massachusetts Institute  of Technology, è stato tra i sostenitori più espliciti della Conferenza di Helsinki a livello internazionale. Commentando la decisione unilaterale di Stati Uniti e Israele di cancellare la Conferenza, Chomskly sostiene che “il problema essenziale è ottenere l’accordo degli Stati Uniti, non soltanto di partecipare, ma di prendere seriamente l’iniziativa. Uno sforzo coordinato dell’Europa potrebbe fare la differenza, e la Finlandia,  come nazione ospitante, potrebbe avere un ruolo importante in questo. Lo sforzo principale dovrebbe essere fatto negli Stati Uniti.”

Qui Chmosky rieccheggia l’analisi di Rabbani. Secondo quest’ultimo, “l’attuale posizione americana è di assicurasi che Israele mantenga un monopolio nucleare nella regione, una posizione che è effettivamente sostenuta dall’Europa, particolarmente da quegli stati europei che continuano consapevolmente a fornire a Israele i sistemi di armi con capacità nucleare, e  perfino a finanziarli.”

Rabbani sottolinea che per affrontare efficacemente il problema “dell’arsenale nucleare israeliano operativo e in aumento…è necessario un impegno dell’Occidente – e particolarmente dell’America, per un  Medio Oriente libero da armi nucleari.”

“Fino a quando l’Occidente non inizierà a promuovere  un Medio Oriente libero dal nucleare invece che soltanto un Iran libero dal nucleare, la regione rimarrà  sul filo del rasoio di una possibile e catastrofica corsa agli armamenti nucleari,” conclude Rabbani.

In effetti, per i programmatori della Conferenza di Helsinki, e per coloro che appoggiano l’idea di una NWFZ in Medio Oriente e che vogliono che l’iniziativa abbia successo, è essenziale diagnosticare i problemi di sicurezza in Medio Oriente con  accuratezza  e meticolosità.


Johannes Hautaviita e Bruno Jäntti sono giornalisti specializzati in inchieste di politica internazionale.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/why-the-helsinki-conference-is-crucial-for-the-middle-east.by-johannes-hautaviita

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