Fonte: La Jornada
http://comune-info.net/
15 aprile 2013

No. Basta
di Gustavo Esteva

La Val di Susa vista con gli occhi di uno degli scrittori più vicini al movimento indigeno del Chiapas: si respira ovunque un’aria zapatista. Il loro «Ya Basta!» è arrivato dalla necessità di fermare la locomotiva impazzita del progresso scientifico-tecnologico, adesso è la capacità di vivere in un altro modo. Nessuno sa spiegare bene come sia nato un movimento tanto grande come quello di questa piccola valle. È proprio grazie a un mega-progetto tecnologico autoritario quanto inutile, tuttavia, che i No Tav hanno saputo inventarsi come qualcosa di molto più un importante di un movimento di protesta. Sono diventati un soggetto sociale formato da donne e uomini comuni che, nel resistere, costruisce una nuova società in un luogo di una bellezza impressionante

Il loro “Basta!” è arrivato con un treno. Un treno che li ha aiutati a inventarsi e a camminare con i nuovi venti che percorrono il mondo, i venti della rivoluzione.

La Val di Susa è una piccola valle di una bellezza impressionante, nel nord dell’Italia. Vi abitano più o meno 80 mila persone. Sono contadini, docenti, lavoratori di piccole industrie, impiegati del piccolo commercio e di servizi turistici, persone che ogni giorno vanno a lavorare a Torino. Sono suddivisi in 37 comuni, l’unità di base dell’amministrazione municipale. Alcuni fanno parte di famiglie presenti da secoli in questa valle, la maggioranza, però, è arrivata dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Non sono spuntati fuori dal nulla. Mi è capitato di arrivare qui il giorno di un evento affollato: quello che ogni anno ricorda la lotta armata contro il fascismo. Le lotte attuali, si è detto lì, sono sempre una battaglia della memoria contro l’oblio, in particolare quando lassù vogliono cancellare il passato per ripeterlo. La gente ricorda con orgoglio i lavoratori che rifiutarono di produrre pezzi per l’industria bellica in una piccola fabbrica della valle. Ricordano con rammarico le loro sconfitte: non sono riusciti a impedire l’arrivo della linea di alta tensione né quello dell’autostrada, contro la quale hanno lottato per oltre venti anni. “E’ che non s’è mai accesa”, mi dicono “è stata una lotta d’elités, nella quale alcuni parlavano di danni all’ambiente. Niente di più”.

In una riunione sull’autostrada, nel 1989, Claudio seppe del progetto di un treno ad alta velocità che avrebbe attraversato le Alpi e la valle. L’informazione prese a circolare rapidamente. Nessuno potrebbe spiegare il modo in cui è nato il movimento.

Ci sono momenti chiave che tutti possono identificare. Per esempio, il 6, 7 e 8 dicembre del 2005, quando la polizia ha aggredito un gruppo di manifestanti pacifici. Poche ore dopo la valle era completamente bloccata. La gente è uscita a occupare le strade, la linea ferroviaria, tutto. Fino a che sono stati liberati i loro compagni.

Alberto, Leonora, Claudio, Sandra, Nicoletta, Bruno… I nomi di alcune persone, forse, sono più visibili di altri ma non ci sono eroi né leader. E’ la gente, sono gli uomini e le donne comuni, che si sono opposti radicalmente al potere e, lungo la via, hanno inventato il soggetto sociale che comincia ovunque a formare una nuova società.

Il Comitato Habitat è stato per molto tempo un nucleo d’informazione e di gestione ma i comitati si sono moltiplicati. Possono formarsi in qualsiasi momento e per diverse iniziative. Fanno periodicamente assemblee dei comuni, completamente aperte, alle quali tutte e tutti possono partecipare. Di tanto in tanto, poi, organizzano un’assemblea di tutta la valle. Aperta. Senza alcun controllo. Senza voti. L’assemblea è basata sull’accurata ricerca del consenso.

Il “No Tav”, no al treno ad alta velocità, è solo il simbolo generalizzato di una lotta molto complessa. Quel che si rifiuta è molto di più di un treno. Si vuole fermare la locomotiva impazzita del “progresso scientifico-tecnologico”, della velocità, delle opere inutili, dell’autoritarismo. Si vuole uscire dal pantano sociale e politico nel quale, come in Messico, non è possibile distinguere il mondo del crimine dal mondo delle istituzioni. Tutti sanno che gli interessi della mafia sono coinvolti nel progetto, così come sanno che le migliaia di tonnellate di cemento dell’autostrada sono servite e riciclare denaro sporco…

Mi hanno portato a un presidio e me ne hanno mostrati altri. Con quel nome peculiare, designano certi “posti di controllo” della società civile. Sono piccole costruzioni in cui si installano per vedere cosa succede – per esempio -con le ruspe e i bulldozer protetti dalle postazioni militari. In altri casi, alcune persone si fermano nei presidi per cominciare a vivere in un altro modo, cioè al di là dell’individuo e delle merci, e così mostrano il significato della lotta.

Si respira zapatismo in tutta la valle. “ Qui comanda il popolo e il governo obbedisce”, ha fatto scrivere un sindaco sui muri del suo comune. L’affermazione della dignità si estende. Ci si prende cura della rete di relazioni, della rigorosa autonomia, della solidarietà, della reciprocità sociale. A Tunisi, nel Forum sociale mondiale, si è appena unita la Rete Europea contro le Opere Inutili. Sebbene il rifiuto radicale di queste opere sia il motore di movimenti ben localizzati, in Val di Susa sanno bene che la lotta non è per i metri che verranno espropriati per il treno e nemmeno per i danni ambientali. La difesa del territorio è un atto di sovranità popolare in cui si difende molto di più che la terra. E la resistenza, che dura già da un quarto di secolo, si consolida in modo chiaro nel tentativo di creare una nuova società. In una rivoluzione.

 

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