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19 novembre 2013

No Tav-agente, quel bacio d'odio
di Carlo Rognoni

Che delusione. La mia età mi ha tradito. Mi ha fatto tornare a un tempo lontano che non c’è più. Quando ho visto la foto di quella ragazza che dava un bacio sulla visiera del poliziotto ho pensato: chissà che non tornino i figli dei fiori.

Quando alla violenza delle istituzioni, in particolare della polizia di allora, siamo negli anni Sessanta, si rispondeva con segni di pace. Gli hippy indossavano vestiti coloratissimi, con disegni che ricordavano fantasie psichedeliche e ai poliziotti vestiti di grigio gridavano «fate l’amore non la guerra». Vi ricordate quell’altro slogan? «Mettete dei fiori nei vostri cannoni».

Davvero belle e pacifiche provocazioni più efficaci di qualsiasi lancio di pietre o uso di spranghe o assalti alle camionette delle forze dell’ordine. Quei ragazzi e quelle ragazze sono entrati nella storia del costume. Chi lancia pietre e usa spranghe al massimo resta nella cronaca nera. Ebbene sono sicuro che quella foto della ragazza No Tav che bacia la visiera del celerino ha fatto il giro del mondo, proprio perché conteneva un messaggio d’altri tempi, sicuramente contraddittorio rispetto agli anni della rabbia e dell’odio, gli anni che stiamo vivendo.

E penso che tanti della mia generazione, ma non solo, abbiano pensato a quel bacio come a un segno che chissà forse qualcosa stava cambiando. Ti puoi ribellare, ti puoi opporre al sistema senza usare la stessa violenza di cui accusi proprio lo stesso sistema di far largo uso. Ora la mia illusione è durata meno di ventiquattro ore. È bastato che qualche giornale rintracciasse prima il poliziotto e poi la ragazza del bacio per capire che la verità era molto diversa da quella che volevo immaginare io. L’unico autorizzato a parlare è stato il caposquadra del giovane poliziotto, che ha spiegato: «È stato un gesto fondamentalmente ostile e che quasi rasenta un reato penale, oltraggio a pubblico ufficiale... I nostri reparti in Val Susa hanno un compito delicatissimo, quello di consentire che le proteste, legittime in un paese democratico, si svolgano nella legalità».

Certo che se Nina De Chiffre, 20 anni, la ragazza del bacio, militante del collettivo milanese Remake, se ne fosse stata zitta, avrebbe avuto un risultato molto più forte e, perché no, rivoluzionario. Poteva semmai lasciare che fossero i suoi amici a immedesimarsi nel militante duro e puro, come per altro hanno fatto, pronto a dibattere contro ogni segno di distensione e a prendere le distanze da quel bacio.

E invece Nina ha parlato. E immediatamente la storia del bacio si è trasformata in un racconto di odio. Che cosa ha detto la ragazza? Intanto che sa bene quello che faceva e che non correva rischi: «So quali siano le regole di ingaggio delle forze dell’ordine: so bene che non possono reagire alle provocazioni. Non mi sono limitata a baciarlo come si è visto in foto. Gli ho detto delle cose per vedere se reagiva, ma lui è rimasto immobile. Era grottesco». Lui grottesco? O lei che dichiara: «Volevo ridicolizzare, umiliare». E poi: «È sempre molto divertente vedere come vengono reinterpretate le foto. La ragazza in questione sono io. Nessun messaggio di pace, anzi, questi porci schifosi li appenderei solo a testa in giù».

E poi spiega la sua rabbia ricordando un episodio avvenuto a Pisa nel mese di luglio quando durante una manifestazione la sua amica Marta fu «molestata e picchiata, senza nessuna conseguenza per gli agenti». Nina parlando ha perso un’occasione. Noi leggendo questa rabbia, questa faziosità, questo desiderio di vendetta, abbiamo perso una speranza. Che sarà anche l’ultima a morire, e tuttavia qui più che fare l’amore si pensa ancora a fare la guerra.

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