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31/01/2013

Siria-Israele, business as usual
di Lorenzo Trombetta

Il presunto raid israeliano a due passi da Damasco non cambia per ora gli equilibri regionali e si inserisce solo indirettamente nella dinamica del conflitto interno in corso in Siria. Hezbollah e Iran abbaiano ma non mordono. Asad usa l’aviazione contro i suoi civili e non contro Israele.
Nessuna guerra aperta sta per scoppiare in Medio Oriente.


E nessun equilibrio dello statu quo in vigore da decenni sta per saltare. Il regime siriano non ha alcuna intenzione di rispondere militarmente al presunto raid aereo compiuto da caccia israeliani a due passi da Damasco contro un obiettivo di natura ancora incerta. L’azione israeliana solo indirettamente è legata alle dinamiche del conflitto intestino in corso in Siria e non è destinata ad avere nel breve periodo altri seguiti.
Nella notte tra martedì 29 e mercoledì 30 gennaio, una “esplosione senza precedenti” è stata udita dagli abitanti di Jamraya e Hamma, località a metà strada tra Damasco e il confine libanese. Le fonti parlano di un boato “assai più potente di quelli uditi in passato” e di un incendio scoppiato all’interno del Centro di ricerche scientifiche, protetto da tre lati da terreni controllati dalle Forze armate.
Fonti di stampa israeliane hanno indicato in quella stessa zona l’obiettivo del raid. Ma fonti diplomatiche e d’intelligence (anonime) affermano che ad esser stato colpito è un convoglio di missili destinati agli Hezbollah libanesi, gli alleati di Damasco che controllano di fatto ampie porzioni del territorio oltre confine.
In un comunicato, il governo siriano ha ammesso il bombardamento israeliano, affermando che è stato preso di mira un Centro di ricerche e che nell’attacco sono morti due impiegati. Sulla vicenda finora le informazioni a disposizione sono insufficienti e fornite da fonti non identificate; le ricostruzioni sono di parte e contraddittorie.
Quel che è certo è che da giorni l’aviazione israeliana aveva intensificato l’attività di pattugliamento sopra i cieli libanesi. Un fatto confermato dal ministero della Difesa di Beirut e dalla forza Onu dispiegata nel sud del Libano.
L’innalzamento delle misure di sicurezza israeliane era seguito alle dichiarazioni delle autorità dello Stato ebraico circa il pericolo che le armi chimiche in possesso del regime siriano potessero finire in mano ai suoi alleati, gli Hezbollah. Che per Israele sono il vero nemico alle porte.
La Siria degli Asad da decenni non costituisce una minaccia reale alla sicurezza di Israele. Anzi, come hanno più volte affermato in modo diretto e indiretto i politici israeliani, la permanenza al potere del presidente Bashar al Asad è una garanzia e non un pericolo per lo Stato ebraico. Che non ha mai nascosto di preferire il suo miglior nemico all’ignoto.
I segnali che nessuna guerra sta per scoppiare nella regione provengono anche dai due principali alleati di Damasco: gli Hezbollah hanno condannato verbalmente il raid ma, pur avendone ampiamente i mezzi, non hanno fatto nulla per evitare che i caccia israeliani bombardassero un obiettivo a due passi dalla capitale siriana.
Gli aerei di Israele sono entrati – lo ha confermato il ministero della Difesa di Beirut – da Naqura, sul mare, e in direzione nord-est, hanno attraversato quasi tutta la valle della Beqaa passando sopra le retrovie, i depositi e i campi di addestramento della milizia sciita. Se Hezbollah intendeva proteggere davvero il suo alleato – e scatenare una nuova guerra con Israele – poteva usare almeno uno dei ventimila missili che si dice siano in possesso del movimento filo-iraniano.
E se Israele voleva sostenere i ribelli siriani anti-regime – è la tesi dei sostenitori di Asad, che grida al complotto straniero guidato dai sionisti – non si sarebbe limitata a bombardare solo un obiettivo e dopo quasi due anni dell’inizio della rivolta, ma avrebbe da tempo avviato una campagna su più fronti per accelerare la caduta del raìs.
L’Iran, dal canto suo, aveva nei giorni scorsi affermato che “ogni attacco alla Siria sarà considerato un attacco all’Iran”. Ma dalla dichiarazione di condanna espressa nelle ultime ore da Teheran – dal sottosegretario agli esteri e non dal ministro della Difesa – appare evidente che la Repubblica islamica non agirà militarmente in soccorso del suo storico alleato arabo.
Il governo siriano – tramite l’ambasciatore a Beirut, non il presidente Asad – afferma che si riserva il diritto di rispondere alla vile aggressione, ma che lo farà a sorpresa. Come se l’effetto sorpresa fosse un’eccezione in questo tipo di azioni e non la norma.
La difficile posizione del regime siriano è messa in queste ore ancor più a nudo dalla constatazione – segnalata non solo da fini analisti ma dal più semplice degli uomini della strada in Siria – che nessun velivolo militare siriano si è alzato in volo per proteggere il paese dal raid israeliano.
E che l’aviazione di Damasco non sarà usata contro il “nemico” bensì che continuerà ad essere usata contro ospedali da campo dove sono ammucchiati feriti, panetterie di fronte alle quali si allungano file di donne e bambini, moschee dove sono rifugiati famiglie di sfollati.

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